Le misure di prevenzione tra nuove garanzie europee e contrasto alla criminalità organizzata

Le misure di prevenzione tra nuove garanzie europee e contrasto alla criminalità organizzata

Ogni istituto giuridico ha la necessità di cooperare e confrontarsi con il panorama giuridico europeo al fine di garantire l’omogeneità del diritto stesso; in particolare, per ciò che concerne le misure preventive è necessario considerare l’excursus dello stesso al fine di comprenderne l’attuale evoluzione e rapporto con la realtà giuridica europea.

Nato come garante del singolo nella realtà sociale e rivolto, soprattutto, al singolo stesso, con la limitazione di questo nella sua libertà personale, negli anni ‘80 e ’90, del secolo precedente, diventa il principale istituto volto a combattere la criminalità organizzata.

Colpisce queste, soprattutto, nel fulcro dell’associazione a delinquere, il “patrimonio”, sul quel poggia le fondamenta ed è con la legge 27 dicembre 1956, n. 1423: “Misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralità” che è introdotta, per la prima volta, la possibilità che: “ […] i mezzi e i programmi posseduti o utilizzati (siano) confiscati […]”.

Rivolto a: “[…] 1) coloro che debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che sono abitualmente dediti a traffici delittuosi; 2) coloro che per la condotta ed il tenore di vita debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che vivono abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose; 3) coloro che per il loro comportamento debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che sono dediti alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo l’integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica.[…]” limita, purtroppo, il raggio d’ azione e sarà integrata dalla legge del 13 settembre 1982, n. 646, circa le “ Disposizioni in materia di misure di prevenzione di carattere patrimoniale ed integrazione alle leggi 27 dicembre 1956, n. 1423”.

“[…] Art. 2-bis. – Il procuratore della Repubblica o il questore competente a richiedere l’applicazione di una misura di prevenzione procedono, anche a mezzo della polizia tributaria della guardia di finanza, ad indagini sul tenore di vita, sulle disponibilità finanziarie e sul patrimonio, anche al fine di accertarne la provenienza, delle persone nei cui confronti possa essere proposta una misura di prevenzione perché indiziate di appartenere ad associazioni di tipo mafioso o ad alcuna delle associazioni previste dall’articolo 1. Accertano fra l’altro se le suddette persone siano titolari di licenze di polizia, di commercio, di commissionario presso mercati annonari all’ingrosso, di concessione di acque pubbliche e diritti inerenti, nonché se risultino iscritte ad albi professionali, di appaltatori di opere o forniture pubbliche o all’albo nazionale dei costruttori. Le indagini sono effettuate anche nei confronti del coniuge, dei figli e di coloro che nell’ultimo quinquennio hanno convissuto con le persone indicate nel comma precedente, nonché nei confronti delle persone fisiche o giuridiche, associazioni od enti del cui patrimonio dette persone risultino poter disporre in tutto o in parte, direttamente o indirettamente. Il procuratore della Repubblica e il questore, a mezzo della polizia tributaria, possono richiedere ad ogni ufficio della pubblica amministrazione e ad ogni istituto di credito pubblico o privato le informazioni e copia della documentazione ritenuta utile ai fini delle indagini nei confronti dei soggetti di cui ai commi precedenti. Previa autorizzazione del procuratore della Repubblica indicato nel primo comma, gli ufficiali di polizia tributaria possono procedere al sequestro della documentazione con le modalità di cui agli articoli 338, 339 e 340 del codice di procedura penale […] il tribunale, anche d’ufficio, ordina con decreto motivato il sequestro dei beni dei quali la persona nei confronti della quale e’ stato iniziato il procedimento risulta poter disporre, direttamente o indirettamente, e che sulla base di sufficienti indizi, come la notevole sperequazione fra il tenore di vita e l’entità dei redditi apparenti o dichiarati, si ha motivo di ritenere siano il frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego. Con l’applicazione della misura di prevenzione il tribunale dispone la confisca dei beni sequestrati dei quali non sia stata dimostrata la legittima provenienza.”

Nel panorama europeo la Corte di Strasburgo assesta un duro colpo alla disciplina italiana delle misure di prevenzione personali con la sent. 23 febbraio 2017, de Tommaso c. Italia. “[…] Anzitutto, il fatto. Il ricorrente – con varie condanne alle spalle, una delle quali appena scontata a quattro anni di reclusione per traffico di droga – viene colpito nell’Aprile 2008 dalla misura di prevenzione personale della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno nel proprio comune di residenza ai sensi dell’allora vigente legge n. 1423/1956, avendo il Tribunale di Bari ritenuto che egli fosse abitualmente dedito a traffici delittuosi e che vivesse abitualmente con i proventi di attività delittuose.[…] Nel luglio 2009 il de Tommaso propone ricorso avanti alla Corte europea, lamentando la violazione degli artt. 5, 6 e 13 Cedu nonché dell’art. 2 Prot. 4 Cedu […] Nel 2014 la camera cui il ricorso era stato originalmente assegnato decide di rinunciare alla propria giurisdizione in favore della Grande Camera: ciò che – conviene rammentare – è possibile in forza dell’art. 30 Cedu allorché “la questione oggetto del ricorso solleva gravi problemi di interpretazione o se la sua soluzione rischia di dar luogo a un contrasto con una sentenza pronunciata anteriormente dalla Corte”.

Anzitutto: la sentenza è particolarmente importante, perché pronunciata – in prima e unica istanza – dalla Grande Camera, cui il caso era stato devoluto proprio in considerazione della speciale importanza dei principi di diritto in gioco. E l’esito – quanto meno secondo l’opinione di dodici dei diciassette giudici – è stato pesantemente negativo per il nostro paese: tanto la disciplina delle c.d. fattispecie di pericolosità generica di cui (oggi) all’art. 1 lett. a) e b)del codice antimafia, quanto la disciplina delle prescrizioni inerenti alla sorveglianza speciale, sono stati ritenute incompatibili con gli standard di qualità della legge richiesti per giustificare qualsiasi limitazione di un diritto ed inoltre, ancora più spinoso, problema concernerà infine i veri convitati di pietra di tutta questa discussione, e cioè le misure di prevenzione patrimoniali fondate sulle fattispecie di pericolosità ‘generica’, che parrebbero destinate a cadere sotto la medesima scure che ha colpito oggi le parallele misure personali.[…]”. In realtà, la posizione della Grande Camera è oggi il punto fermo con cui dovremo confrontarci, non essendo qui praticabile la via di fuga rappresentata dall’eventuale negazione del carattere di “giurisprudenza consolidata” dei principi di diritto espressi da questa pronuncia.


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Alberto Maria Acone

Laureato in Giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Napoli "Federico II" Diploma Accademico presso LUMSA Master School in "Cybercrime i lati oscuri della rete. Corso di Diritto Penale dell'Informatica" Corso di Perfezionamento in tecnica e Deontologica dell'Avvocato Penalista presso la Camera Penale Irpina Winter school presso Università degli Studi di Napoli "Federico II"- Spazio Giuridico Europeo e tutela dei diritti dell'imputato tra processo e carcere" Corso di Perfezionamento in Scienze Penalistiche Integrate presso Università degli Studi di Napoli Federico II Esercita la propria attività professionale presso lo Studio legale Associato Acone in Avellino

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