Le pratiche commerciali scorrette e le azioni ingannevoli nei rapporti tra professionista e consumatore

Le pratiche commerciali scorrette e le azioni ingannevoli nei rapporti tra professionista e consumatore

Nei rapporti tra professionista e consumatore assumono un ruolo centrale le cosiddette pratiche commerciali scorrette.

Il codice del consumo D. Lgs. 206 del 2005, ci fornisce la definizione di pratica commerciale scorretta, intendendo per tale qualsiasi azione, omissione, condotta o dichiarazione, comunicazione commerciale ivi compresa la pubblicità e la commercializzazione del prodotto, posta in essere dal professionista in relazione alla promozione, vendita o fornitura di un prodotto ai consumatori.

La nozione fornita dal Codice del Consumo risulta essere estremamente vasta ricomprendendo all’interno della stessa un insieme variegato ed eterogeneo di fattispecie che sono giocoforza strettamente collegate alla miriade di eventi tipici della vita umana.

Il Codice del consumo pone il divieto – gravante sul professionista- di porre in essere pratiche commerciali scorrette, e ciò per tutelare in primis l’integrità e la corretta conduzione non solo delle negoziazioni precontrattuali ma anche della stessa stipulazione del contratto con il consumatore.

Il Codice del consumo chiarisce altresì che le fonti comunitarie e il diritto interno prevalgono sulle disposizioni del codice medesimo.

Affinché una pratica possa dirsi scorretta dovrà necessariamente presentare due elementi fondamentali: quello relativo alla contrarietà della pratica ai canoni della diligenza professionale è quello riguardante la falsità o comunque la sua idoneità a trarre in inganno i consumatori con un normale bagaglio culturale e di media attenzione.

L’accezione di diligenza professionale è quella che può ricondursi al rispetto dei principi generali di correttezza e buona fede che sono tipici del settore del professionista, considerando tutti i possibili risvolti inerenti la propria attività.

Il consumatore medio è il soggetto che agisce invece per scopi estranei alla propria attività professionale o commerciale eventualmente esercitata e che è caratterizzato dal possesso di un medio grado di attenzione.

Altre problematiche possono riguardare la pubblicità menzognera, o pubblicità scorretta che va a danneggiare non solo la libertà di negoziazione dei consumatori ( la cosiddetta libertà contrattuale del consumatore) ma va anche a ledere l’integrità e il diritto a corretti rapporti commerciali e di mercato, proprio degli altri operatori del mercato.

Spetterà al giudice investito della questione, sindacare la lealtà e la veridicità dei singoli contenuti dei rapporti negoziali, considerando tutti gli elementi sottesi anche in relazione alla figura astratta del consumatore medio, soggetto più debole all’interno del mercato concorrenziale. In materia non possono non citarsi anche le c.d. azioni ingannevoli, collegate alla disinformazione e alle insidie che le stesse possono celare.

Una pratica commerciale può definirsi dunque ingannevole, nel caso in cui sia capace di persuadere il consumatore o a concludere un contratto che in altre circostanze non avrebbe stipulato o ad inserire nel regolamento del rapporto contrattuale una clausola che non avrebbe accettato altrimenti, o che avrebbe accettato in altre condizioni nel caso in cui fosse mancato l’inganno.

L’intera disciplina contenuta nel codice del consumo e inerente le pratiche commerciali scorrette deve intendersi espressamente applicabile non solo alla fase che riguarda la formazione ( negoziazioni precontrattuali, comunque regolate dall’articolo 1337 del codice civile) del contratto ma anche alla sua stipulazione e al momento successivo inerente l’attuazione dei singoli obblighi giuridici derivanti dal contratto medesimo.

Importante è inoltre il ruolo rivestito dall’Autorità Garante della Concorrenza che andrà ad esercitare tutti i poteri e potestà ad essa conferiti dalla legge, sulla base dell’art. 27.

Appare da ultimo importante sottolineare la liceità della pubblicità iperbolica, nella quale si dà risalto alle qualità e prestazioni della merce che viene pubblicizzata purché tuttavia tale enfasi non sia distorta e non contenga insidie atte ad imbrogliare. In sostanza il dolo buono (c.d. dolus bonus) non costituisce alcun pericolo al corretto svolgimento delle operazioni di mercato anche sulla base della direttiva 2005/29/CE.

Per approfondimenti:

Acquaiuo’, l’acqua è fresca?… Manco ‘a neve!


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