Le presunzioni in diritto civile ed i profili di comunicabilità con il diritto penale, con particolare riguardo alla legittima difesa

Le presunzioni in diritto civile ed i profili di comunicabilità con il diritto penale, con particolare riguardo alla legittima difesa

Le presunzioni in diritto civile si innestano nel più ampio contesto delle disposizioni in materia di prova. A tal riguardo, l’art. 2697 c.c. pone l’onere della prova dei fatti che costituiscono il fondamento di un diritto che si vuole far valere in giudizio a carico di chi agisce. Tuttavia, come si evince dal secondo comma della disposizione in esame, tale onere probatorio può incombere, talvolta, anche sul convenuto in giudizio, laddove questi eccepisca l’irrilevanza dei fatti oggetto di contenzioso o comunque la modificazione o l’estinzione del diritto vantato dall’attore.

Le prove sono inquadrabili in diverse tipologie a seconda della portata valoristica che assumono in ambito processuale. In particolare, esse possono essere precostituite o semplici a seconda che preesistano o meno al processo. Altresì sono classificate in storiche, laddove abbiano ad oggetto lo stesso fatto da accertare, e critiche, nel caso in cui consentano al giudice di argomentare da circostanze note per ritenere provata l’esistenza di fatti, altrimenti difficilmente dimostrabile.

Ebbene, proprio nel novero di queste ultime rientrano le presunzioni, che l’art. 2727 c.c. definisce, per l’appunto, come le conseguenze che la legge o il giudice trae da un fatto noto per risalire al fatto ignorato.

Laddove, quindi, sia la legge ad attribuire ad un fatto valore di prova in ordine ad un’altra circostanza (che viene appunto presunta) allora si parla di presunzioni c.d. legali, cui fa riferimento l’art. 2728 c.c.

Esse, a loro volta, sono distinte in assolute e relative, a seconda che ammettano o meno la prova contraria.Taluni autori affermano che le prime (note altresì come presunzioni iuris et de iure) sembrerebbero operare più su un piano sostanziale che su quello probatorio, dal momento che fisserebbero un’equipollenza fra un fatto produttivo di un determinato effetto ed altro fatto dalla legge equiparato.

Un discorso speculare viene effettuato per le presunzioni relative (c.d. anche iuris tantum), le quali nemmeno parrebbero rientrare indiscutibilmente nei confini del terreno probatorio, poiché, anche in questo caso, è pur sempre l’equipollenza a costituire oggetto di prova contraria e non piuttosto l’evento da provare.

In ordine a quanto fin qui rilevato è possibile pertanto asserire che la ‘ratio’ delle presunzioni, in generale, risiede nel principio dell’id quod plerumque accidit, in forza del quale si prendono in considerazione le conseguenze di una determinata circostanza nota e certa per dimostrare i fatti oggetto di giudizio.

A tal proposito notevoli criticità sono sorte in merito alla modifica della disciplina codicistica della legittima difesa, avvenuta nel 2006 tramite una legge che ha introdotto due nuovi commi destinati a disciplinare l’esercizio del diritto di autotutela in un privato domicilio.

Orbene, in via preliminare è opportuno effettuare alcuni cenni in relazione all’istituto della legittima difesa, contemplato dall’art. 52 c.p., che, come noto, rientra fra le cause di giustificazione del reato (c.d. ‘scriminanti’).

I relativi elementi costitutivi sono due: l’aggressione e la reazione. In merito alla prima, essa deve avere ad oggetto innanzitutto un diritto, da intendere in senso lato, comprensivo non solo dei diritti soggettivi ma anche degli interessi tutelati giuridicamente. L’aggressione deve essere altresì ingiusta, ossia contraria ai precetti dell’ordinamento o arrecata al di fuori di una qualsiasi norma che l’autorizzi o l’imponga. Il pericoloso d’offesa deve essere, inoltre, attuale, da intendersi come incombente, cioè che scaturisce da una situazione che, se non interrotta, sfocerebbe nella lesione di un diritto. È necessario, poi, che la situazione pericolosa non sia determinata volontariamente dall’agente, poichè, in mancanza di tale requisito, difetterebbe il presupposto della necessità della difesa.

Per quanto concerne, invece, la reazione, essa può definirsi legittima, in primo luogo, sussistendo una situazione di costrizione, in ragione della quale l’aggredito si trovi nell’alternativa bloccata di reagire o di essere offeso. In secondo luogo, è indispensabile la sussistenza della necessità di difendersi. Difatti, la reazione deve rappresentare la soluzione inevitabile per sottrarsi all’offesa risultando obiettivamente idonea a neutralizzarla, secondo una valutazione da effettuarsi in concreto.

In conclusione, l’ultimo  requisito richiesto dal legislatore, ai fini della configurabilità della scriminante di cui trattasi, è costituito dalla proporzione fra difesa ed offesa, avuto riguardo al rapporto fra i mezzi difensivi a disposizione dell’aggredito e quelli offensivi, ma anche con riguardo alla proporzione fra il male minacciato e quello inflitto, espressione del principio del bilanciamento degli interessi. La proporzionalità, così intesa, sussiste ove il male provocato dall’aggredito all’aggressore risulti inferiore, uguale o tollerabilmente superiore a quello subìto.

Proprio in merito al requisito della proporzione, profili di problematicità sono stati rilevati, come testè riportato, in merito alla relativa modifica attuata con la novella del 2006 tramite l’introduzione dei commi 2 e 3 dell’art. 52 c.p.

Difatti, il legislatore ha previsto che quando la reazione difensiva è diretta contro un intruso in una privata dimora, il giudice è dispensato dal verificare in concreto la proporzione fra offesa e difesa, essendo d’ora in avanti il requisito della proporzione, in questi casi, presunto legislativamente in maniera assoluta, ossia juris et de jure.

Alla luce di ciò è chiaro che la formulazione legislativa abbia elevato la privata dimora (od il privato domicilio) ad elemento di centralità, in forza del richiamo alle ipotesi contenute nell’art. 614, co. 1 e 2, c.p., appalesando l’intenzione parlamentare di creare una situazione qualificata di vera e propria autotutela, normativamente predeterminata, assistita da presunzione assoluta di non punibilità.

In ordine alla natura della presunzione si è accesa un’aspra diatriba in merito alla connotazione della stessa come assoluta o relativa, alimentata altresì da molteplici dubbi sulla legittimità della scriminante speciale, parametrata al sistema di valori costituzionalmente codificato.

L’impostazione che valorizza il dato letterale-teleologico relativo alla legittima difesa domiciliare sostiene la natura assoluta della presunzione di proporzionalità.

Aderendo a tale orientamento, al giudice non è più demandato il potere di delibare in ordine alla sussistenza del rapporto di proporzione fra aggressione illegittima e reazione legittima, dovendosi lo stesso limitare a verificare la sussistenza dei presupposti legali prescritti dalla norma per riconoscere l’operatività dell’effetto scriminante. Questi varrebbero, quindi, quali sintomi normativi dell’esistenza di un pericolo attuale talmente grave da indurre l’ordinamento a riconoscere proporzionato il ricorso alle armi, ove sia incombente un attacco al bene dell’incolumità individuale di taluni dei soggetti legittimati.

L’interpretazione strictu sensu intesa della previsione normativa, implicante il carattere assoluto della presunzione di proporzionalità, ha suscitato aspre critiche ed allarmi in chi ha prospettato il rischio di un’applicazione che di fatto legittima una ‘licenza di uccidere’, esposta, come tale, a fondati dubbi di incostituzionalità. Il nostro ordinamento, infatti, riconosce valori costituzionalmente inderogabili, in cima ai quali, all’apice della scala dei diritti inviolabili dell’uomo, vi è proprio quello della vita, consacrato a livello internazionale dall’art. 2 CEDU.

Tale disposizione stabilisce che la morte non è considerata illecito soltanto quando è assolutamente imposta dalla necessità di difendersi da una violenza illegittima. Da tale principio, pertanto, si evince che non è consentito aggredire la vita altrui per difendere diritti di natura meramente patrimoniale o, comunque, gerarchicamente inferiori alla vita ed all’integrità fisica della persona.

In ossequio a tali considerazioni, l’affermazione della natura assoluta della presunzione di proporzione concretizzerebbe una violazione del principio di ragionevolezza, nella misura in cui essa realizza un’irragionevole equiparazione fra il bene della vita e dell’incolumità personale da una parte ed i beni di carattere patrimoniale dall’altra. 

Alla luce di tali premesse, chi aderisce all’impostazione di cui trattasi, traendo spunto dalla ritenuta qualificazione della legittima difesa domiciliare quale ipotesi speciale di legittima difesa, afferma che, ai fini della sua configurabilità, debbano sussistere anche gli altri requisiti di cui al comma 1 dell’art. 52 c.p. salva l’eccezione per la proporzione.

Difatti, il giudice deve comunque sempre accertare la sussistenza di un pericolo attuale di un’offesa ingiusta e l’inevitabilità della lesione difensiva, sebbene i commi 2 e 3 tacciano sul punto.

Da ciò si evince che per invocare la legittima difesa, anche nell’ipotesi speciale di legittima difesa domiciliare, deve pur sempre sussistere un’aggressione ovvero il pericolo della stessa. La modifica del concetto di proporzionalità ha lasciato immutati, pertanto, i presupposti dell’attualità dell’offesa e dell’inevitabilità dell’uso dell’arma come mezzo di offesa dell’incolumità o dei beni dell’aggressore, che devono essere esaminati previamente ed in tale ordine, cosicché, se insussistenti i primi requisiti, non si potrà passare a valutare quello successivo della proporzionalità.

La presunzione di proporzione, secondo l’opinione in esame, avrebbe natura relativa atteso che il requisito della proporzione fra aggressione e reazione non è stato soppresso dalla riforma, ma esso è stato postulato come esistente e, proprio per questo, presunto.

In quanto presunzione poi, come già rilevato, la proporzione condivide il fondamento logico di tutte le presunzioni fondate sulla normalità dei casi, ossia sull’id quod plerumque accidit.

Lo specifico fondamento logico della presunzione di proporzione è ravvisabile nel fatto che la legittima difesa speciale riguarda comportamenti criminosi che, nella pressoché totalità dei casi, non si esauriscono nella messa in pericolo di soli beni patrimoniali, ma concretizzano un pericolo attuale per l’incolumità e per la vita altrui.

Se, invece, le venisse riconosciuta natura assoluta, dovrebbe essere postulata come esistente anche nei casi, pur se marginali, in cui una proporzione non esiste, dando, in questo modo, luogo ad uno stravolgimento della sua natura. Essa si porrebbe in contrasto con il principio di uguaglianza e con la gerarchia dei valori costituzionali, che colloca all’apice la vita e l’incolumità personale di chiunque, finanche dell’aggressore.

Pertanto, una lettura costituzionalmente orientata della scriminante speciale, che la armonizzi con la scala dei valori costituzionali e con il principio di ragionevolezza, evitando sia un’eventuale illegittimità costituzionale che un’interpretazione abrogante, conduce all’affermazione della natura relativa della presunzione di proporzione, che si presume quindi esistente, a meno che la pubblica accusa non ne provi l’inesistenza.

In tal modo si realizzerebbe un rafforzamento della posizione processuale dell’aggredito, nella misura in cui non incombe più sullo stesso l’onere di provare l’esistenza della proporzione, spettando invece alla pubblica accusa di offrire la prova non solo dell’esistenza della sproporzione obiettiva, ma anche dell’inesistenza di una proporzione putativa, ossia ritenuta sussistente dall’aggredito.


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