Le Sezioni Unite sul crocifisso a scuola

Le Sezioni Unite sul crocifisso a scuola

Con la recente pronuncia delle Sezioni Unite n. 24414/21 la Suprema Corte di Cassazione è tornata ad occuparsi della affissione del crocifisso nelle pubbliche istituzioni che ha molto diviso l’opinione pubblica e che investe le sfere più profonde della tradizione cattolica del nostro paese, ponendo interrogativi di grande rilievo in merito ai diritti inviolabili dell’individuo e ai valori etico culturali sottesi agli stessi.

La vicenda trae le mosse dal contegno comportamentale di un Professore di materie letterarie in servizio presso una scuola pubblica il quale era solito rimuovere il crocifisso dalla parete delle aule scolastiche prima dell’inizio delle lezioni per poi riaffiggerlo al termine delle stesse. Tale comportamento si poneva in contrasto con una circolare del Dirigente Scolastico che, recependo le volontà dell’assemblea studentesca, disponeva la costante permanenza nelle aule del simbolo religioso. A causa delle rimostranze di alcuni studenti, il Professore reclamò la propria libertà religiosa, di insegnamento e di coscienza, sottolineando l’importanza del principio di neutralità della scuola pubblica. Ciò condusse all’apertura di un procedimento disciplinare a carico del Professore per non avere lo stesso accettato, a fronte delle continue richieste della comunità studentesca, la permanenza del crocifisso nelle aule scolastiche durante il suo orario di lavoro. Tale procedimento disciplinare scaturì nell’irrogazione di una sanzione di sospensione dall’insegnamento per la durata di trenta giorni, atteso che il docente non aveva tenuto conto della “particolare sensibilità dei soggetti in età evolutiva a lui affidati” poiché il gesto di togliere e mettere il crocifisso “collegato all’ingresso in aula dell’insegnante, non era educativo“.

Con due separati ricorsi poi riuniti il Professore impugnava dinanzi al Tribunale di Terni Sez. Lavoro il provvedimento di sospensione adducendo a motivazione il principio di non discriminazione oltre che la libertà di insegnamento e di coscienza in materia religiosa. Il Tribunale di Terni, richiamando un precedente della Corte Europea dei diritti dell’uomo (caso Lautsi e altri c.Italia del 18.03.11), statuì con la sent. 122/13 che il crocifisso nelle scuole non pregiudica di per sé la funziona educativa affidata alle istituzioni scolastiche, né tanto meno si poteva ravvisare – relativamente al provvedimento avversato dal Professore – una qualche forma di discriminatorietà ai suoi danni.

La Corte di Appello di Perugia, aderendo all’orientamento del Giudice di prime cure, respingeva il gravame del Professore motivando in punto di diritto come segue: “Il ricorrente non ha titolo per dolersi dell’asserita violazione del principio di buon andamento ed imparzialità della pubblica amministrazione nonché di quello della laicità dello stato, perché gli stessi danno origine, non a diritti soggettivi dei singoli, bensì ad interessi diffusi, la cui tutela è affidata agli enti esponenziali agli enti esponenziali della collettività nel suo complesso e solo nei casi di espressa previsione di legge ad associazioni o enti collettivi che di quegli interessi sono portavoce”. A fronte della sentenza della corte territoriale di Perugia, il Professore ricorreva per la cassazione della sentenza ove la questione veniva rimessa alle Sezioni Unite. La pronuncia del Supremo Consesso ha il pregio di aver individuato un bilanciamento possibile tra la libertà di insegnamento intesa come libera autodeterminazione culturale del docente, il principio di non discriminazione dello stesso, il rispetto della coscienza morale degli alunni ed il principio di laicità della Repubblica in un orizzonte di sempre maggiore multiculturalità.

Anzitutto le Sezioni Unite si pongono il problema di individuare un referente normativo che ravvisano in una fonte di rango secondaria ossia i regolamenti concernenti gli arredi scolastici, non esistendo alcuna norma di rango legislativo idonea a disporre l’esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche. Attraverso un excursus giurisprudenziale, in seguito, i Supremi Giudici affermano la valenza squisitamente confessionale del simbolo connettendo quest’ultimo alle radici culturali italiane e alla sua storia millenaria. Viene altresì riconosciuta la valenza umana del crocifisso, la quale richiama, secondo la Corte, valori di dignità umana, fratellanza, pace, solidarietà compatibili con i principi costituzionali. Tuttavia, il solo simbolo costituzionalmente riconducibile alla Repubblica italiana è rappresentato dalla bandiera italiana. Da ciò discende la impossibilità di imporre il crocifisso come elemento identificativo della Repubblica nelle istituzioni scolastiche, salvo che non sia la comunità studentesca a richiederne l’esposizione. Solo in tal caso, invero, sarà possibile esporlo nel rispetto delle convinzioni religiose di tutti se del caso aggiungendo accanto al simbolo cristiano, i simboli religiosi delle altre confessioni. Ne consegue che è impossibile ravvisare come legittima un’imposizione autoritativa in tal senso bensì esclusivamente una facoltatività della collocazione del crocifisso ad istanza della platea degli studenti.

Alla luce di ciò, dunque, non sussistendo un obbligo impositivo in tal senso, non esiste nemmeno il suo contrario. In tal modo la Suprema Corte giunge a dichiarare l’Italia un paese accogliente e rispettoso del differente sentire religioso in un clima di arricchimento culturale. La scuola, come pubblica istituzione territorio d’elezione delle istanze di democraticità della cittadinanza, deve tendenzialmente realizzare uno spazio di crescita inclusivo ispirato alla multi-identità culturale e alla pluralità religiosa. La presenza del crocifisso va dunque deciso caso per caso e rientra nell’ambito di autonomia delle singole istituzioni scolastiche, in coerenza del ruolo di autonomia attribuito alle istituzioni scolastiche intervenuta con la Legge di revisione costituzionale 3/01. Il collegio rimarca, infine, il ruolo passivo del simbolo in considerazione, affermando che lo stesso non implica propaganda né tantomeno proselitismo, non richiedendo, a causa della fissità e staticità che lo contraddistingue, alcuna adesione ai valori che ispira. Da ciò consegue che il foro interno del docente non può dirsi intaccato per la presenza del simbolo in sé considerato né può dirsi lesa la sua libertà di autodeterminazione o la libertà di coscienza, posto che la sola presenza del crocifisso non impone al docente di aderire alla confessione religiosa né gli impedisce ex ante di mostrare la propria non credenza, pur nel rispetto della sensibilità religiosa della comunità studentesca. Ad argomentare diversamente si giungerebbe a realizzare, proprio attraverso il principio che si vorrebbe tutelato, la paradossale e illegittima negazione dello stesso.


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Avv. Fortunata Ilacqua

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