Le Sezioni Unite sull’aggravante della minorata difesa

Le Sezioni Unite sull’aggravante della minorata difesa

Sommario: 1. Introduzione – 2. Gli orientamenti in contrasto – 3. La ratio dell’aggravante della minorata difesa – 4. Il principio di offensività – 5. La minorata difesa e l’età della persona offesa

 

 

1. Introduzione

Le Sezioni Unite penali, di recente chiamate a dirimere il contrasto ermeneutico circa la configurabilità della circostanza aggravante della minorata difesa di cui all’art. 61, primo comma, n. 5, c.p., esclusivamente in ragione della commissione del reato in tempo di notte, hanno affermato i seguenti principi di diritto:

– «ai fini dell’integrazione della circostanza aggravante della c. d. “minorata difesa”, prevista dall’art. 61, primo comma, n. 5, cod. pen., le circostanze di tempo, di luogo o di persona, di cui l’agente ha profittato in modo tale da ostacolare la predetta difesa, devono essere accertate alla stregua di concreti e concludenti elementi di fatto atti a dimostrare la particolare situazione di vulnerabilità – oggetto di profittamento – in cui versava il soggetto passivo, essendo necessaria, ma non sufficiente, l’idoneità astratta delle predette condizioni a favorire la commissione del reato»;

– «la commissione del reato “in tempo di notte” può configurare la circostanza aggravante in esame, sempre che sia raggiunta la prova che la pubblica o privata difesa ne siano rimaste in concreto ostacolate e che non ricorrano circostanze ulteriori, di natura diversa, idonee a neutralizzare il predetto effetto» (Cass. Sez. Un. Pen., sent. 8 novembre 2021, ud. 15 luglio, n. 40275).

2. Gli orientamenti in contrasto

La questione rimessa alle Sezioni Unite ha avuto origine dalla contrapposizione di due orientamenti sul tema.

Stando al primo risalente e minoritario orientamento, la commissione del reato “in tempo di notte” integrerebbe di per sé gli estremi della circostanza aggravante della minorata difesa (cfr. Cass. pen., Sez. 2, n. 2947 del 13/10/1980, dep. 1981, Marino, Rv. 148284, in tema di furto in un museo di un centro urbano; Sez. 5, n. 34 del 16/01/1969, Baldi, Rv. 110728, in tema di violazione di domicilio, precisando che «è maggiore la possibilità di eludere la vigilanza interna ed esterna, mentre più facile è la probabilità di sottrarsi ad una sorpresa o ad un riconoscimento»).

Si tratta di un principio confermato, di recente, solo da due isolate pronunce (Cass. pen., Sez. 5, n. 20480 del 26/02/2018, Lo Manto, Rv. 272602, nella quale è stato ribadito che «la commissione di un furto in ora notturna integra gli estremi dell’aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 5, a causa della ridotta vigilanza pubblica che in tali ore viene esercitata, in considerazione anche delle minori possibilità per i privati di sorveglianza, a meno che particolari circostanze non contribuiscano ad accentuare comunque le difese del soggetto passivo, nel caso in esame, peraltro, del tutto insussistenti»; nello stesso senso Sez. 2, n. 2916 del 10/12/2019, dep. 2020, Ferrise, non mass.).

Tale interpretazione della norma è stata parzialmente mitigata in alcune pronunce che hanno precisato come l’aggravante della minorata difesa sia configurabile solo ove determini un’effettiva minorazione della capacità di difesa pubblica o privata (cfr. Cass. pen., Sez. 2, n. 352 del 17/02/1969, Colombi, Rv. 112006; Sez. 2, n. 9088 del 03/05/1991, Loschi, Rv. 188134; Sez. 5, n. 7433 del 13/01/2011, Santamaria, Rv. 249603; Sez. 5, n. 32244 del 26/01/2015, Halilovic, Rv. 265300).

Sulla scorta del secondo orientamento, l’aggravante della minorata difesa parrebbe configurabile solo in caso di concorso di ulteriori circostanze fattuali esterne, idonee a menomare in concreto le capacità pubbliche o private di difesa (cfr. Cass. pen., Sez. 1, n. 346 del 20/05/1987, dep. 1988, Raddato, Rv. 177396; Sez. 2, n. 6694 del 03/02/1976, Stipa, Rv. 136921; Sez. 1, n. 475 del 22/03/1968, Spinello, Rv. 108726; Sez. 5, n. 9569 del 01/02/2021, Zeneli, non mass.; Sez. 2, n. 20327 del 19/05/2021, Abbate, non mass.).

In tale contesto, è sorto un ulteriore contrasto interpretativo avente ad oggetto la valenza, ai fini dell’esclusione dell’ostacolo alla difesa pubblica o privata contro reati commessi in tempo di notte, della predisposizione nel locus commissi delicti di un sistema di videosorveglianza.

A fronte di un orientamento che esclude l’aggravante della minorata difesa ove sia verificata la concreta efficacia del sistema di videosorveglianza predisposto, vi è una diversa tesi che sostiene che la predisposizione di un simile sistema non faccia venir meno, di per sé, la situazione di minorata difesa, in quanto funzionale a consentire solo una più rapida identificazione del ladro.

Le Sezioni Unite hanno asserito che l’esistenza di un siffatto impianto potrà essere valorizzata per escludere la circostanza aggravante in esame nei casi in cui l’impianto di videoripresa sia collegato alla centrale operativa di polizia o di un istituto di vigilanza privata, così da consentire il tempestivo accorrere di soccorsi.

In altri casi in cui l’impianto sia spento o altrimenti disattivato dal soggetto agente, o sia privo del collegamento con centrali operative delle forze dell’ordine o di istituti di vigilanza privati, la sua installazione non rileverà ai fini dell’esclusione della circostanza aggravante in esame (Sez. 5, n. 12051 del 2021 cit.; Sez. 5, n. 20480 del 26/02/2018, Lo Manto).

È opportuno precisare come la questione concernente la rilevanza della predisposizione di un sistema di videosorveglianza venga spesso in rilievo con riguardo all’aggravante dell’esposizione alla pubblica fede in tema di furto, ai sensi dell’art. 625, comma 1, n. 7, c.p.

In tale contesto, le pronunce di questa Corte tendono ad escludere la configurabilità dell’aggravante dell’esposizione a pubblica fede ove è apprestata una sorveglianza “continua” e diretta da parte del proprietario o di soggetti a ciò preposti, risultando insufficiente una sorveglianza generica o saltuaria ed eventuale, come nell’ipotesi dell’utilizzo di sistemi di videosorveglianza (ex multis Cass. pen., Sez. 2, Sentenza n. 561 del 09/12/2008 Ud.  (dep. 09/01/2009) Rv. 242716 – 01; Sez. 5, Sentenza n. 35473 del 20/05/2010 Ud.  (dep. 01/10/2010) Rv. 248168 – 01).

3. La ratio dell’aggravante della minorata difesa

Dalla Relazione del Guardasigilli al Re sul codice penale del 1930 si evince che la ratio della minorata difesa si fonda sul maggior disvalore della condotta nei casi in cui l’agente approfitti di circostanze di agevolazione dell’attività delittuosa offerte dal contesto in cui la stessa viene svolta, in ragione della potenzialità di diminuire od ostacolare la pubblica o privata difesa.

L’interprete, pertanto, dovrà verificare, in relazione al caso concreto, l’esistenza di una circostanza di tempo, di luogo o di persona in astratto idonea ad ingenerare una situazione di ostacolo alla pubblica o privata difesa, la produzione in concreto di tale ostacolo e il fatto che l’agente ne abbia concretamente profittato, avendone consapevolezza.

Non si dubita circa la natura oggettiva dell’aggravante in esame, in quanto si valorizza il ruolo assunto dalla circostanza fattuale in relazione alla commissione del reato.

A riprova di tale assunto, rileva il riferimento al “tempo di notte”, contenuto nell’art. 70 c.p. che ricollega la natura oggettiva dell’aggravate al fatto che concerna il tempo dell’azione.

L’onere della prova della sussistenza in concreto delle ordinarie connotazioni del tempo di notte e dell’assenza di circostanze ulteriori, atte a vanificare l’effetto di ostacolo alla pubblica o privata difesa ricollegabile all’avere agito in tempo di notte, grava sul pubblico ministero.

Spetta, invece, all’imputato fornire le indicazioni e gli elementi necessari all’accertamento di circostanze fattuali altrimenti ignote che siano in astratto idonee, ove riscontrate, ad escludere la configurazione in concreto della circostanza aggravante.

4. Il principio di offensività

Le Sezioni Unite, nella pronuncia in esame, hanno sottolineato come l’interpretazione prescelta della circostanza aggravante rifletta una lettura costituzionalmente orientata della norma, in linea con il principio di offensività.

Come già chiarito dai giudici di legittimità, «l’interprete delle norme penali ha l’obbligo di adattarle alla Costituzione in via ermeneutica, rendendole applicabili solo ai fatti concretamente offensivi, offensivi in misura apprezzabile» (Cass. Sez. Un. Pen., n. 40354 del 18/07/2013, Sciuscio).

Ne consegue che devono considerarsi con sfavore gli automatismi sanzionatori fondati su presunzioni assolute, dovendosi, al contrario, preferire presunzioni relative valutabili in rapporto alle circostanze del caso concreto.

In una pluralità di arresti giurisprudenziali si coglie l’adesione alla suesposta interpretazione; in particolare è stato affermato che è insufficiente «il semplice riferimento al tempo di notte per ritenere sussistente l’aggravante della minorata difesa, apparendo, invece, necessario individuare ed indicare in motivazione tutte quelle ragioni che consentano di ritenere che in una determinata situazione si sia in concreto realizzata una diminuita capacità di difesa sia pubblica che privata» (Cass. pen., Sez. 5, Sentenza n. 8819 del 02/02/2010, Maero, Rv. 246160; nello stesso senso Sez. 5, n. 50500 del 04/07/2018, Vlaicu, Rv. 274724; Sez. 4, n. 30990 del 17/05/2019, Tanzi, Rv. 276794).

5. La minorata difesa e l’età della persona offesa

Le riflessioni operate dai giudici di legittimità in relazione alla minorata difesa e al tempio di commissione del reato, hanno sollecitato un’estensione analogica dei principi affermati in sentenza rispetto all’ipotesi in cui l’agente approfitti dell’età della persona offesa.

L’introduzione nel testo dell’art. 61, primo comma, n. 5, c.p. del riferimento all’età della vittima ha posto il problema di stabilire se esso comporti la necessaria ed automatica configurazione della circostanza aggravante valorizzando il solo dato oggettivo dell’età avanzata della persona offesa, ovvero se il legislatore abbia voluto introdurre una presunzione meramente relativa di minorata difesa legata all’età della vittima.

Si sono confrontati due orientamenti sul tema.

Secondo l’orientamento dominante, l’età avanzata della persona offesa non realizzerebbe una presunzione assoluta di minorata difesa in ragione della maggiore vulnerabilità e della conseguente ridotta capacità di resistenza della vittima, dovendosi verificare in concreto la sussistenza di circostanze funzionali ad agevolare la condotta dannosa in danno della vittima (cfr. Sez. 2, n. 35997 del 23/09/2010, Licciardello, Rv. 248163; Sez. 5, n. 38347 del 13/07/2011, Cavò, Rv. 250948, fattispecie in tema di furto di danaro in danno di un anziano; Sez. 2, n. 8998 del 18/11/2014, dep. 2015, Genovese, Rv. 262564, che ha valorizzato, in motivazione, il fatto che la sentenza impugnata avesse puntualmente evidenziato le ridotte capacità fisiche della settantaquattrenne vittima di una rapina, nonché la circostanza che quando ella aveva accennato a reagire alle minacce dell’imputato e del complice, era stata afferrata per le spalle; Sez. 2, n. 47186 del 22/10/2019, Bona, Rv. 277780).

Da ultimo, la Suprema Corte ha osservato che «l’età avanzata che – sulla base di massime di esperienza – risulta associata ad una minore reattività fisica e cognitiva e rileva dunque nei reati che richiedono una interazione diretta con la vittima, è un indice “relativo” di vulnerabilità che deve essere sottoposto ad un vaglio giudiziale che ne confermi o svaluti la rilevanza. Il processo di invecchiamento non è infatti omogeneo e, mentre alcune persone possono avere un rapido (e persino anomalo) decadimento cognitivo, altre possono mantenere lucidità e capacità reattiva a lungo, nonostante l’incedere dell’età; meno discontinuità si rinvengono nella perdita di reattività “fisica”, inevitabile con l’incedere dell’età. Ricondotta l’età avanzata ad indice non assoluto, ma relativo di vulnerabilità sarà compito del giudice di merito valutare se nella interazione con l’autore del reato l’età della vittima abbia svolto un ruolo agevolatore a causa del decadimento fisico o cognitivo dell’offeso» (Cass. pen., Sez. 2, n. 37865 del 23/09/2020, Chiaramida).

Un contrario orientamento ha sostenuto che, ai fini del riconoscimento della circostanza aggravante di cui all’art. 61, primo comma, n. 5, cod. pen., l’agevolazione all’agire illecito derivante dall’età avanzata della persona offesa è in re ipsa, senza che gravi in capo al giudice di merito uno specifico e ulteriore onere motivazionale rispetto al riscontro obiettivo dell’età della persona offesa. Non può essere messo in dubbio— in ossequio ad una massima di esperienza di indiscutibile affidabilità — che una persona offesa di età avanzata sia maggiormente vulnerabile di una giovane, perché dotata di una capacità di attenzione e di reazione decisamente più ridotta (il che, di conseguenza, costituisce un’obiettiva agevolazione per l’autore del reato), e che tale vulnerabilità venga in rilievo precipuamente nei casi in cui il reato presupponga un’interazione tra soggetto agente e vittima, nella quale potrebbe, in teoria, insinuarsi la reazione della persona offesa e non già in altre situazioni in cui tale interazione non vi sia perché il reato prescinde dai contatti autore-vittima. Non può, quindi, negarsi che i reati che producono un impatto sulla sfera fisica o psichica del soggetto passivo da parte dell’autore, e la cui buona riuscita dipenda dalla maggiore o minore capacità di reazione all’offesa da parte della vittima «rechino in re ipsa la dimostrazione quantomeno dell’agevolazione derivata dall’età avanzata della vittima, senza che sul giudice debba gravare un onere motivazionale specifico ed ulteriore (rispetto al rilievo del dato obiettivo dell’età) che appare superfluo, alla luce della massima di esperienza sopra ricordata». (Cass. pen., o da Sez. 5, n. 12796 del 21/02/2019, De Paola, Rv. 275305; nello stesso senso Sez. 5, n. 1555 del 15/10/2019, dep. 2020, Gaglioti).

Le Sezioni Unite, nella pronuncia in esame, hanno affermato che la questione riguardante la possibile valenza dell’età della vittima ai fini dell’integrazione della medesima circostanza aggravante andrà risolta applicando gli stessi principi sanciti con riguardo al tempo di commissione del reato, trattandosi di ipotesi  fondate sulla medesima ratio.


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Ilenia Vitobello

Ilenia Vitobello, nata a Trani (BT) il 18 maggio 1997. Ha conseguito il diploma di maturità classica presso il Liceo Classico "A. Casardi" di Barletta con votazione 100/100 e Lode. Termina il corso di laurea magistrale a ciclo unico in Giurisprudenza presso l'Università LUISS Guido Carli il 6 luglio 2020, con votazione 110/110 e Lode, discutendo una tesi in diritto penale dal titolo "Il trattamento punitivo dei sex offender". Attualmente svolge la pratica forense presso uno Studio Legale di Roma.

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