Le Start Up innovative a vocazione sociale

Le Start Up innovative a vocazione sociale

Sommario: 1. Premessa – 2. Le Start Up innovative a vocazione sociale – 3. Il confronto fra la Start Up a vocazione sociale e l’impresa sociale – 4. Gli adempimenti necessari

1. Premessa

Che cos’è la Start Up innovativa a vocazione sociale?

E’un modello di impresa che ha molte analogie con l’Impresa Sociale, che a sua volta è un tipo particolare di impresa.

Nel corso di questo articolo verrà svolto un confronto frai due casi, sottolineandone le differenze; infine, ne verrà illustrato uno singolare in cui una Start Up possa basarsi su entrambi i modelli.

2. Le Start Up innovative a vocazione sociale

Il comma 4 dell’articolo 25 d.l. n. 179/2012 disciplina un particolare modello di Start Up, la c.d. Start up a vocazione sociale.

La legge impone una disciplina particolare per tutte quelle società che hanno un alto valore sociale. Sono molto importanti nel contesto italiano e sono anche quelle numericamente più diffuse.

Al concetto di tecnologia viene quasi sempre associato un carattere di impersonalità, di indifferenza rispetto alle ripercussioni prodotte sugli individui e sulla collettività. Uno degli obiettivi del legislatore nel favorirne il riconoscimento è quello di scalfire questa superata stratificazione culturale e mettere in risalto tutte quelle nuove imprese ad alto contenuto tecnologico che possono impattare anche sul benessere della collettività.

Tali nuove società, oltre a dover soddisfare i requisiti generali, devono obbligatoriamente operare in via esclusiva in undici determinati settori come indicati dalla c.d. disciplina dell’impresa sociale; tali settori sono: 1. Assistenza sociale, ai sensi della L. 8 novembre 2000 n. 328, in materia di sistema integrato di interventi e servizi sociali;  2. Assistenza sanitaria, per l’erogazione delle prestazioni di cui al D.P.C.M. 14 febbraio 2001, in materia di livelli essenziali di assistenza; 3. Assistenza socio sanitaria, ai sensi D.P.C.M. 14 febbraio 2001, in materia di indirizzo e coordinamento per le prestazioni socio sanitarie; 4. Educazione, istruzione e formazione, ai sensi della L. 28 marzo 2003 n. 53, in materia di definizione delle norme generali sull’istruzione e sui livelli essenziali delle prestazioni per l’istruzione e la formazione professionale; 5. Tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, ai sensi della L. 15 dicembre 2004 n. 308, in materia di ambiente e misure di diretta applicazione; 6. Valorizzazione del patrimonio culturale, ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al d.Lgs. 22 gennaio 2004 n. 42; 7. Turismo sociale, di cui all’articolo 7, comma 10, della L. 29 marzo 2001 n. 135, recante riforma della legislazione nazionale del turismo; 8. Formazione universitaria e post universitaria; 9. Ricerca ed erogazione di servizi culturali; 10. Formazione extrascolastica, finalizzata alla prevenzione della dispersione scolastica e al successo scolastico e formativo; 11. Servizi strumentali alle imprese sociali, resi da enti composti in misura superiore al 70% da organizzazioni che esercitano un’impresa sociale.

Dal dettato normativo è possibile notare che la Norma non richiede la preventiva iscrizione dell’impresa nella Sezione Speciale del Registro delle Imprese, dedicata alle Imprese Sociali. Tuttavia, nulla osta alla compatibilità di tale iscrizione con quella delle Start Up a vocazione sociale.

3. Il confronto fra la Start Up a vocazione sociale e l’impresa sociale

Da quanto previsto nella normativa, si evince che la cosiddetta Start Up a vocazione sociale è individuata nell’impresa sociale di cui al D. Lgs. 155/2006.

L’impresa sociale può dirsi parte dello strumentario giuridico degli operatori del Terzo Settore: è una particolare figura di soggetto che riproduce gli elementi tipici dell’impresa tradizionale e si caratterizza per la finalità di natura sociale perseguita e dei settori di operatività tassativamente indicati.

Possono quindi acquisire la qualifica di impresa sociale tutte le organizzazioni private, ivi compresi gli enti di cui al libro V del c.c., che esercitano in via stabile e principale un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o servizi di utilità sociale, diretta a realizzare finalità di interesse generale.

Infatti, l’articolo 1, in combinato disposto con l’articolo 3, deroga alla regola generale dell’art. 2247 c.c.  e ammette la possibilità che la società sia utilizzata per conseguire un fine di natura ideale.

Con l’espressione “attività principale”, si considera l’attività per la quale i relativi ricavi siano superiori al 70% dei ricavi complessivi dell’organismo che esercita l’impresa sociale.

A prescindere dallo svolgimento dell’attività di impresa nei settori citati all’articolo 2 comma 1 D. Lgs. n. 155/2006, è possibile acquisire la qualifica di impresa sociale da parte delle organizzazioni che esercitino una qualsiasi altra attività d’impresa purché finalizzata all’inserimento lavorativo di soggetti come i lavoratori svantaggiati ed i lavoratori disabili.

I lavoratori svantaggiati e/o disabili devono essere in misura non inferiore al 30% dei lavoratori impiegati a qualunque titolo nell’impresa; tale stato di fatto deve essere attestato in conformità alla normativa vigente.

L’impresa in esame deve, inoltre, possedere i seguenti requisiti: 1. Avere per oggetto sociale lo svolgimento di attività di utilità sociale; 2. Essere costituita senza fine di lucro soggettivo; 3. Rispettare, in caso di aggregazione, la disciplina dei gruppi di imprese sociali.

Ci sono dei casi ostativi per assumere la qualifica di impresa sociale. Non possono assumerla: 1. Gli enti pubblici di cui all’articolo 1 comma 2 del D. Lgs. n. 165 del 30 marzo 2001; 2. Le organizzazioni i cui statuti limitino l’erogazione di beni e servizi in favore dei soli soci, associati o partecipi; 3. Gli imprenditori individuali.

L’organizzazione, che esercita un’impresa sociale, deve destinare gli utili e gli avanzi di gestione allo svolgimento dell’attività statutaria o ad incremento del patrimonio. A tale fine è vietata la distribuzione, anche in forma indiretta, di utili e avanzi di gestione, comunque denominati, nonché fondi e riserve in favore di amministratori, soci, partecipanti, lavoratori o collaboratori.

L’introduzione delle cosiddette Start Up innovative a vocazione sociale rappresenta un aspetto di grande interesse per le società che operano in via esclusiva nei settori indicati all’articolo 2, comma 1 del D. Lgs. n. 155/2006 e l’“accostare” le due figure non costituisce una novità.

È lo stesso legislatore che incentiva la nascita di imprese che, oltre a possedere le caratteristiche delle Start Up innovative, operino nei settori di attività tipici delle imprese sociali.

Le Start Up a vocazione sociale scambiano beni e servizi non solo ad alto valore tecnologico ma anche di utilità sociale, caratteristica, questa, che ne evidenzia la stretta connessione con il mondo dell’imprenditoria sociale. Nonostante ciò, non sono annoverabili tra i soggetti di terzo settore in quanto la loro natura resta quelle di ente lucrativo.

Emerge, chiaramente, come il citato D. Lgs. 155/2006 venga richiamato al solo fine di delimitare l’ambito di intervento e, di conseguenza, qualifica la “socialità” dell’attività posta in essere della nuova impresa, senza attingere in alcun modo alle disposizioni in esso contenute.

Anche il limite di non distribuzione di utili, che il legislatore impone loro, non è sufficiente a trasformarle in enti non profit, perché è limitato nel tempo come per le Start Up generali. Del resto, scopo di questa limitazione è assicurare che le agevolazioni riconosciute alle Start Up a vocazione sociale siano destinate a consolidare l’investimento nella fase iniziale di attività, e non “disperse” a vantaggio immediato e diretto dei soci.

Parlare di Start Up innovativa a vocazione sociale non equivale, quindi, a parlare di Start Up innovativa impresa sociale: quest’ultima, oltre a dover operare nei settori elencati dal D. Lgs. 155/2006, deve rispettare anche tutti gli altri requisiti previsti dalla disciplina ordinaria; solo così acquista a pieno titolo la qualifica di impresa sociale e dunque di ente non profit.

Il divieto di ripartizione di utili per l’impresa sociale, infatti, è un obbligo “permanente”, essendo addirittura espressamente previsto l’obbligo di devolvere il proprio patrimonio in caso di perdita della natura non lucrativa. Il c.d. decreto Crescita Bis ha impresso un’accelerazione rilevante all’obbligo di non distribuzione degli utili, considerato che il legislatore si spinge a qualificare, come “sociali”, enti con un vincolo di non distribuzione degli utili solo temporaneo prevedendo, inoltre, agevolazioni fiscali a favore di chi investe nelle Start Up innovative a vocazione sociale, addirittura maggiori rispetto a quelle previste per le Start Up ordinarie.

Il decreto in esame, affronta le due questioni nodali che affliggono le imprese sociali ex lege e sono: 1. l’impossibilità di distribuire utili; 2. La mancanza di agevolazioni fiscali.

La norma è sicuramente migliorabile e, di certo, prevedere un vincolo di distribuzione degli utili temporaneo, lasciando all’impresa la facoltà di determinare, trascorso tale periodo, la percentuale degli utili distribuibili, potrebbe forse generare qualche distorsione del meccanismo.

L’introduzione delle Start Up innovative a vocazione sociale è utile a comprendere, come sia possibile trovare soluzioni intermedie che possano coniugare innovazione e sostenibilità economica, attività di impresa ed interesse collettivo.

4. Gli adempimenti necessari

Ricapitolando, per costituire, quindi, una Start Up innovativa impresa sociale è necessario che lo statuto dell’ente contemporaneamente rispetti i requisiti dettati dall’art. 25 del d.l. 179/2012 e quelli del D. Lgs. 155/06: La società dovrà essere iscritta al registro imprese sia nel registro speciale delle Start Up innovative sia nella sezione speciale delle imprese sociali.

Il Ministero dello Sviluppo Economico traccia una nuova procedura strutturata per il riconoscimento delle Start Up vocazione sociale, ritenendo che sia necessario assicurare che possano beneficiare di un livello di certezza adeguato sulla presenza o meno di questo status speciale.

Per questo, il Ministero ha predisposto una guida dove individua sia dei Codici Ateco 2007 “consigliati” sia un esempio di struttura di relazione da presentare in fase di iscrizione con set di indicatori per superare la sola classificazione statistica che, a volte, può sembrare fuorviante. Anche se poi successivamente afferma che il sistema di riconoscimento delle Start Up vocazione sociale non è fondato esclusivamente sulla corrispondenza con la lista codici Ateco. Infatti, spesso, operano in modo trasversale, generando attività ibride che riguardano diversi settori e sfuggono a classificazioni rigide.

Pertanto, in fase di iscrizione devono indicare uno dei codici Ateco 2007 individuati dal Ministero dello Sviluppo Economico e autocertificare, in aggiunta al possesso degli altri requisiti: 1.di operare in via esclusiva in uno o più settori elencati all’articolo 2 comma 1 del D. Lgs. 24 marzo 2006, n. 155; 2. I settori nell’apposito codice 034 della modulistica del Registro delle Imprese; 3. I settori di una finalità d’interesse generale; 4. Dell’evidenza dell’impatto sociale prodotto.

L’impegno rappresenta un adempimento obbligatorio, e si sostanzia nella redazione di un “Documento di descrizione di impatto sociale” da compilare secondo le indicazioni fornite nell’apposita “Guida per Start Up innovative a vocazione sociale alla redazione del Documento di Descrizione dell’Impatto Sociale” disponibile sul sito del Ministero dello Sviluppo Economico.

La Start Up innovativa a vocazione sociale deve trasmettere tale documento in via telematica alla Camera di commercio competente con cadenza annuale. Esso riguarda nello specifico: un impatto atteso nel caso di imprese di nuova costituzione o, comunque, non ancora giunte al deposito del primo bilancio; un impatto generato nel caso di imprese che hanno già depositato il loro primo bilancio.

Nel primo caso, all’impresa è richiesto di fornire una previsione quanto più possibile accurata e attendibile circa l’impatto sociale che intende generare attraverso le proprie attività.

Nel secondo caso, la descrizione dell’impatto sociale assume maggiore concretezza mediante il ricorso ad elementi qualitativi e, laddove possibile, quantitativi e misurabili. Quello che è richiesto è l’obbligo di rendicontazione e misurazione, non un obbligo di performance. Le imprese sono incoraggiate a pubblicare il documento prodotto sul proprio sito web.

Nel caso di Start Up innovativa già iscritta nella sezione speciale del registro delle imprese, tale autocertificazione può essere presentata in qualsiasi momento, quindi, anche in occasione del primo adempimento utile, come in occasione dell’aggiornamento semestrale o al momento della conferma del possesso dei requisiti, ai sensi rispettivamente dei commi 14 e 15 dell’art. 25 del d.l. 179/2012. All’autocertificazione occorre inoltre allegare il “Documento di descrizione di impatto sociale”.


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Dott. Giuseppe Marco Antonio Stimoli

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