Legge Balduzzi: la scriminante per colpa lieve si applica anche alla negligenza

Legge Balduzzi: la scriminante per colpa lieve si applica anche alla negligenza

a cura di Antonio Caiazzo

Con sentenza n. 45527/2015, a meno di un anno dall’ultimo pronunciamento in tema di responsabilità penale per esercizio dell’attività medica, la Suprema Corte di Cassazione è tornata ad affrontare la controversa questione dell’estensione giuridica della limitazione di responsabilità predisposta, per le fattispecie di colpa lieve, dall’art. 3 del d.l. n. 158/2012, convertito in l. n. 189/2012 (c.d. “Legge Balduzzi”), così alimentando un contrasto giurisprudenziale sviluppatosi ormai da tempo in seno alla stessa corte di legittimità e che si spera possa determinare a breve l’intervento delle Sezioni Unite.

Di fatti, nella pronuncia giurisdizionale in commento, la Quarta sezione della Corte di legittimità non solo ha sottolineato come l’omessa valutazione della condotta del medico alla luce della novità normativa introdotta dalla c.d. legge “Balduzzi” costituisca una carenza motivazionale della sentenza di merito, censurabile in sede di sindacato di legittimità come violazione di legge, ma ha altresì ribadito, in senso difforme da quanto recentemente sancito con sentenza n. 26996/2015, che la scriminante della colpa lieve, pur trovando terreno d’elezione nell’ambito dell’imperizia, può tuttavia venire in rilievo anche nel caso in cui il parametro valutativo della condotta del sanitario sia quello della diligenza.

In particolare, il caso sottoposto alla valutazione degli Ermellini concerneva la vicenda di un medico astigiano di continuità assistenziale (ex guardia medica), al quale, in seguito alla morte di un paziente visitato domiciliarmente qualche ora prima, era stato contestato il delitto di omicidio colposo, per aver questi omesso di disporne l’immediato invio al più vicino Pronto Soccorso a causa di un errore diagnostico, consistito nell’aver erroneamente ritenuto la sussistenza di una patologia gastrica piuttosto che di una sindrome coronarica acuta in corso, causa quest’ultima del decesso. Assolto dal G.I.P. del Tribunale di Asti, in sede di giudizio abbreviato, per difetto dell’elemento soggettivo della colpa, il sanitario vedeva riformare la sentenza di primo grado dalla Corte d’Appello di Torino, che, ritenuta la condotta di quest’ultimo gravemente imperita e imprudente senza tuttavia compiere alcuna valutazione in merito alla fattispecie di esclusione di responsabilità per colpa lieve prevista dalla c.d. “legge Balduzzi”, lo condannava ad un anno di reclusione.

Investita della questione, la Corte di Cassazione ha innanzitutto rilevato che l’art. 3 del d.l. 158/2012 ha di fatto attribuito all’elemento del rispetto delle linee guida o delle buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica ed a quello del grado della colpa non più soltanto il ruolo di parametri di valutazione per la determinazione della pena, ma anche la valenza di elementi selettivi dell’atteggiamento psicologico tipico punito dai delitti normalmente contestati per l’esercizio dell’attività sanitaria, quali quelli previsti dagli artt. 589 e 590 c.p.

L’osservanza delle linee guida o delle buone pratiche riconosciute dalla comunità scientifica costituisce, dunque, un vero e proprio scudo protettivo contro tutte quelle istanze punitive che non trovino la loro giustificazione nella necessità di sanzionare penalmente errori gravi commessi dal medico nell’acritica applicazione del sapere scientifico codificato, ossia nel non aver adeguato le direttive, da quest’ultimo dettate, alla specificità del caso clinico concreto ovvero nel non aver scorto la necessità di disattenderle del tutto per perseguire una diversa e più adeguata strategia.

Pertanto, risulta assolutamente necessario per la Suprema Corte che, chiamato a valutare la rilevanza penale della condotta adottata dal medico, il giudice di merito compia alcune precise valutazioni, dovendo in particolare: individuare la causa dell’evento lesivo incriminato dalla norma contestata ed il rischio che in esso si è concretizzato; accertare se la gestione di questo specifico rischio sia governata da un sapere scientifico codificato in linee guida o comunque in buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica; verificare se il professionista si sia ad esso attenuto; valutare se, tenuto conto del caso clinico concreto, il medico abbia compiuto un errore grave nell’essersi ossequiosamente attenuto al sapere codificato; nonché, infine, determinare se la diversa condotta sanitaria ritenuta più appropriata, qualora fosse stata applicata, avrebbe con alto grado di probabilità logica evitato l’evento incriminato.

Inoltre, nell’accertare la gravità dell’errore, in assenza di precise indicazioni normative in ordine ai criteri che debbano informare tale valutazione, il giudice non potrà non tener conto di quegli elementi, attinenti sia al profilo oggettivo che a quello soggettivo della colpa, che normalmente regolano la determinazione della pena, quali: la misura della divergenza tra la condotta effettivamente tenuta nel rispetto delle linee guida e quella che era da attendersi sulla base di una diligente valutazione del caso clinico concreto prospettatosi; il grado di prevedibilità in concreto della realizzazione dell’evento lesivo incriminato quale conseguenza dell’acritica applicazione delle linee guida, risultando certamente grave quella condotta che dovesse trascurare riconoscibili fattori di rischio che non lascino residuare dubbi sulla necessità di un intervento sanitario difforme e personalizzato; il grado di evitabilità in concreto dell’evento lesivo tramite l’adozione di una strategia terapeutica difforme da quella codificata; la misura dell’esigibilità personale di una condotta medica differente da quella codificata e adeguata al quadro clinico del paziente, tenuto conto del grado di preparazione professionale del medico, delle condizioni concrete in cui questi si trova ad operare, della concreta previsione da parte di quest’ultimo dell’evento lesivo quale conseguenza dell’acritica applicazione delle linee guida.

Di conseguenza, sostiene la Corte, deve essere certamente considerata carente sul piano motivazionale, e di conseguenza cassata con rinvio, quella sentenza che, sebbene compia valutazioni sul grado della colpa del medico, adoperando – come nel caso di specie – aggettivazioni di particolare gravità, comunque ometta di compire le valutazioni testé illustrate e quindi di confrontarsi espressamente con la disciplina introdotta dalla c.d. “legge Balduzzi”.

Inoltre, come anticipato, nella sentenza in commento, gli Ermellini hanno altresì ribadito, difformemente da quanto sancito nella sentenza di legittimità di qualche mese prima, che l’esclusione della rilevanza penale della colpa lieve nell’acritica applicazione delle linee guida può aver luogo anche nell’ipotesi in cui il parametro valutativo dell’operato del medico sia quello della diligenza e non anche della perizia, come nel caso in cui il caso clinico rappresentato dal paziente richieda prestazioni che riguardino più la sfera dell’accuratezza di compiti, magari particolarmente qualificanti, che quella dell’adeguatezza professionale.

Nella sentenza in commento, dunque, i giudici di legittimità hanno ritenuto di doversi conformare a quell’orientamento dottrinale e giurisprudenziale che sostiene l’arbitrarietà della limitazione dell’esclusione della responsabilità penale per colpa lieve alle sole ipotesi di addebito per imperizia. Più precisamente, i sostenitori di tale orientamento hanno sottolineato innanzitutto come la lettera della c.d. “legge Balduzzi” non operi alcuna distinzione in merito alle forme della colpa, richiedendo soltanto che la peculiare valutazione della sua gravità venga subordinata esclusivamente all’osservanza di linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica. Essi inoltre rilevano come siano le stesse linee guida a prevedere regole cautelari improntate proprio alla diligenza e non anche al profilo della perizia (ad es. in tema di dimissioni del paziente), nonché come la stessa distinzione tra diligenza, prudenza e perizia, se sufficientemente chiara in via teorica, risulta spesso nella prassi tutt’altro che riconoscibile (dal momento che questi stessi profili si intersecano e sovrappongono nelle regole cautelari e nei loro possibili adattamenti alle peculiarità del caso clinico concreto), rendendo di conseguenza arbitraria la linea di discernimento tracciata e quindi ingiustificata quella tesi che vorrebbe ricondurre alla sola imperizia il differente e più favorevole trattamento previsto dalla c.d. “legge Balduzzi”.

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Antonio Caiazzo

Laureato in Giurisprudenza, presso l’Università Federico II di Napoli, con tesi in diritto penale, relatore prof. Antonio Cavaliere, e diplomando presso la Scuola di specializzazione per le professioni legali della predetta università. Ha svolto il Tirocinio giudiziario formativo ex art. 73 D.L. n. 69/2013 presso la Procura della Repubblica di Napoli, acquisendo una preparazione tecnica specifica nella responsabilità penale connessa all’esercizio della professione medica e nei reati contro la Pubblica Amministrazione. Praticante avvocato, collabora presso studi legali in materia di diritto penale e civile.

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