Legge Sicurezza (Legge 132/2018): alcuni profili penalistici

Legge Sicurezza (Legge 132/2018): alcuni profili penalistici

Come è noto, il 5 ottobre 2018 è entrato in vigore il cd. decreto-sicurezza (d.l. 4 ottobre 2018, n. 113), convertito in Legge n. 132/2018, con il quale il Governo apporta, con la forma della decretazione d’urgenza, numerose modifiche che interessano svariate disposizioni. Tra gli interventi più rilevanti spiccano – anche per la loro risonanza mediatica – quelli relativi all’eliminazione dei permessi di soggiorno per esigenze di carattere umanitario e al prolungamento dei termini di permanenza nei centri per il rimpatrio.

Ben quindici dei quaranta articoli di cui si compone il decreto-legge in commento interessano la vasta e complessa disciplina dell’immigrazione, affrontata dal decreto nel Titolo I.

Per quanto apparentemente estranea agli interessi del penalista – trattandosi di una normativa per lo più di carattere amministrativo – alcune di tali modifiche meritano quantomeno di essere accennate, collocandosi su quella instabile linea di confine che separa le sanzioni amministrative da quelle penali.

Interessa sicuramente più da vicino il penalista, indubbiamente, il prolungamento dei termini della detenzione amministrativa degli stranieri all’interno dei Centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr), stabilito dall’art. 2 del decreto-legge.

Se l’ampiamento della rete di tali centri –  destinati a ospitare ex art. 14 del Testo unico gli stranieri in attesa di espulsione – era già stato disposto dall’art. 19 comma 3 del decreto-legge n. 13/2017, così manifestando la volontà di proseguire su questa strada, oggi l’art. 2 comma 2 del decreto consente addirittura di ricorrere per la tempestiva esecuzione dei lavori di costruzione o ristrutturazione di tali centri, alla procedura negoziata senza previa pubblicazione del bando di gara, disciplina solitamente circoscritta ai casi indicati dall’art. 63 del codice dei contratti pubblici.

Ciò che più rileva, è che l’art. 2 comma 1 del decreto qui in commento raddoppia la durata del periodo massimo di trattenimento – comprendente le eventuali proroghe al termine iniziale di 30 giorni, richieste dal questore e convalidate dal giudice di pace – portandolo da 90 giorni (così come risultava prima del decreto sicurezza per effetto della l. n. 161 del 2014) a 180 giorni.

Viene portato da 90 a 180 giorni anche il periodo di trattenimento presso le strutture carcerarie in seguito al quale lo straniero, dopo essere già stato privato della libertà personale per 180 giorni, potrà essere trattenuto per altri 30 giorni (prorogabili di ulteriori 15) in un Cpr nei casi di particolare complessità delle procedure di identificazione e di organizzazione del rimpatrio.

Ancora, l’art. 3 del decreto in commento introduce due ulteriori ipotesi di trattenimento giustificate dalla necessità di determinare o verificare l’identità o la cittadinanza dello straniero richiedente protezione internazionale.

La prima ha una durata massima di 30 giorni e si svolge negli appositi punti di crisi (i cd. hotspot), per la prima volta nominati all’interno di una fonte di rango primario dal d.l. n. 13/2017, che li ha disciplinati nell’articolo 10-ter comma 1 del Testo unico sull’immigrazione.

La seconda nuova ipotesi di trattenimento viene riservata invece al caso in cui non sia stato possibile raccogliere le informazioni circa l’identità o la cittadinanza. Essa avrà una durata massima di 180 giorni e si svolgerà all’interno dei Centri di permanenza per i rimpatri di cui all’art. 14 del Testo unico.

L’art. 4 introduce “un’alternativa” al trattenimento nei Centri di permanenza per il rimpatrio, nell’attesa della definizione del procedimento di convalida dell’espulsione, così modificando l’art. 13 comma 5-bis del Testo unico. A quanto già previsto dalla norma si aggiunge che nel caso non vi sia disponibilità di posti nei Centri, su richiesta del questore, il giudice di pace possa autorizzare (con il decreto di fissazione dell’udienza di convalida) la temporanea permanenza dello straniero – fino alla definizione del procedimento di convalida – in strutture diverse e idonee, nella disponibilità dell’Autorità di pubblica sicurezza. Se l’indisponibilità permane anche dopo l’udienza di convalida, il giudice potrà autorizzare la permanenza in locali idonei presso l’ufficio di frontiera interessato non oltre, però, le quarantotto ore successive all’udienza di convalida.

Pur senza soffermarsi ulteriormente, è bene ricordare che il trattenimento pre-espulsivo disciplinato dall’art. 14 del Testo unico riguarda gli stranieri nei confronti dei quali l’immediata espulsione non sia possibile per difficoltà negli accertamenti circa l’identità e la nazionalità, per la necessità di prestare soccorso o, ancora, per mera carenza di mezzi idonei per il rimpatrio.

Questa privazione della libertà dello straniero – disposta dal questore e sottoposta alla convalida del giudice di pace – è stata spesso oggetto di critiche poiché pur essendo stata riconosciuta dalla Corte costituzionale quale misura incidente sulla libertà personale (sent. 105/2001) le garanzie che la circondano continuano ad apparire insufficienti e molto – troppo – lontane da quelle che normalmente tutelano simili privazioni della libertà personale nel diritto penale.

Il prolungamento del tempo di trattenimento –  in condizioni che ancora oggi non vengono uniformemente disciplinate da nessuna fonte di rango adeguato – non può dunque che attirare l’attenzione del penalista invitando a riflettere su cosa sia effettivamente “pena”.


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Agostina Stano

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