Legge “Spazzacorrotti”: sentenza della Corte di Cassazione n. 48499/2019

Legge “Spazzacorrotti”: sentenza della Corte di Cassazione n. 48499/2019

In data 31 gennaio 2019 è entrata in vigore la legge n. 3 del 2019 c.d. “Spazzacorrotti” che ha ampliato il catalogo dei reati ostativi alla sospensione dell’ordine di esecuzione, attraverso l’inserimento nell’art. 4-bis, comma 1, della legge 26 luglio 1975 n.354, dei reati contro la Pubblica Amministrazione.

Giova rammentare che, secondo il disposto dell’art. 656, comma 9, della lettera a) c.p.p., la sospensione dell’ordine di esecuzione della sentenza di condanna a pena detentiva non superiore a 4 anni, per il termine di 30 giorni, al fine di consentire al condannato in stato di libertà di avanzare istanza di concessione di una delle misure alternative previste dalla legge n. 354 del 1975, non può essere disposta nei confronti dei condannati per i delitti di cui all’art. 4-bis.

L’assenza di una disciplina transitoria diretta a limitare pro futuro l’operatività dell’art.  1, comma 6, lett. b), L. n. 3/2019 ha fatto sorgere una serie di interrogativi in ordine all’ambito di operatività intertemporale della legge c.d. “spazzacorrotti”, tenuto conto che, secondo il consolidato “diritto vivente”, le disposizioni concernenti l’esecuzione della pena hanno natura processuale e non sostanziale, con la conseguente inapplicabilità dell’art. 2 c.p. relativo alla successione delle leggi penali nel tempo.

La giurisprudenza, nel conformarsi agli orientamenti della Corte europea dei diritti dell’Uomo, ha avvertito l’esigenza di valorizzare una interpretazione “sostanzialistica” delle norme al fine di garantire la prevedibilità della reazione punitiva statale, dal momento che l’operatività retroattiva della disposizione comporterebbe un evidente mutamento “ora per allora” del concreto trattamento sanzionatorio.

Pertanto, è stata sollevata questione di legittimità costituzionale dell’art. 1 comma 6 lett. b) della L. n. 3 del 2019, per contrasto con gli artt. 3, 25 comma 2 e 117 Cost., in riferimento all’art. 7 CEDU, nella parte in cui ha inserito i reati contro la Pubblica Amministrazione tra quelli ostativi alla concessione di alcuni benefici penitenziari senza prevedere un regime transitorio che dichiari applicabile la norma ai soli fatti commessi successivamente alla sua entrata in vigore (Si veda, ordinanza del Giudice per le indagini preliminari  presso il Tribunale di Napoli depositata il 2 aprile 2019; ordinanza della Corte d’Appello di Lecce del 27 marzo 2019; ordinanza della Corte di Cassazione, sezione I, del 18 luglio 2019).

Nel contesto delineato, la Corte di Cassazione, sezione quinta, con la sentenza n. 48499, depositata in data 28 novembre 2019 si è pronunciata in senso favorevole alla irretroattività della legge “spazzacorrotti”.

In particolare, la Corte di legittimità ha negato la possibilità di procedere alla revoca della sospensione dell’ordine di esecuzione della pena disposta dal Pubblico Ministero in data anteriore all’entrata in vigore della l. n. 3 del 2019.

Nel caso di specie il Gip presso il Tribunale di Napoli, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha annullato il provvedimento di revoca del decreto di sospensione dell’ordine di esecuzione emesso dal Pubblico Ministero nei confronti del condannato alla pena di anni 4 di reclusione in ordine al reato di corruzione.

In particolare, sia l’ordine di esecuzione che il contestuale decreto di sospensione erano precedenti l’entrata in vigore della legge n. 3/2019, in quanto adottati in data 21 dicembre 2018.

Pertanto, il Gip, tenuto conto che le norme in materia di esecuzione delle pene detentive e di misure alternative alla detenzione non hanno carattere di norme sostanziali, ha ritenuto opportuno applicare il principio “tempus regit actum” in forza del quale trova attuazione la disciplina in vigore nel momento dell’emissione dell’atto.

Avverso il provvedimento del Gip, ha proposto ricorso per Cassazione, per violazione di legge, il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli sul presupposto della legittimità del provvedimento di revoca della sospensione dell’ordine di esecuzione in considerazione della legge n. 3/2019.

La prima sezione della Corte di Cassazione ha respinto il ricorso.

In primo luogo ha evidenziato che l’ordine di esecuzione, il decreto di sospensione e la domanda di misura alternativa sono attività processuali funzionalmente collegate, che si pongono in una sequenza processuale necessaria e inscindibile. Pertanto, le sopravvenienze normative non possono incidere sui rapporti esecutivi ormai pendenti, in ordine ai quali siano già avviati procedimenti da delibare secondo il quadro normativo vigente nel momento genetico.

La Corte di legittimità ha rilevato infatti che “la nuova legge non può invalidare né il provvedimento di sospensione dell’esecuzione ritualmente compiuto sotto il vigore della legge precedente, né gli effetti di esso ormai irreversibilmente prodottisi, ossia la possibilità del condannato di presentare l’istanza di misure alternative nel termine di trenta giorni, nonché il suo diritto a mantenere osservato esso termine e il regime di sospensione sino alla decisione del competente tribunale di sorveglianza”.

Come emerge dalla pronuncia, i rapporti esecutivi pendenti, che hanno avuto origine nel vigore della normativa anteriormente vigente, non sono suscettibili di revoche o modifiche pregiudizievoli in ragione di un mutato quadro normativo ed in assenza di una disciplina transitoria.

Alla luce di tali considerazioni, la Suprema Corte ha osservato che, nel caso di specie, l’esecuzione si è consolidata in concreto con l’emissione dell’ordine di carcerazione e del decreto di sospensione del 21 dicembre 2018; pertanto l’atto processuale è regolato dalla legge in vigore al tempo in cui è stato compiuto.


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