Legittima difesa o licenza di uccidere? Sguardo all’art. 52 c.p.

Legittima difesa o licenza di uccidere? Sguardo all’art. 52 c.p.

Numerosi e recenti casi mediatici, congiuntamente all’approvazione di un testo di modifica della materia, hanno dato in questo periodo grandissima rilevanza politica e non solo all’istituto della legittima difesa, che è tornato ad essere questione dibattuta dal Parlamento fino ai bar di paese.  È per questo motivo doveroso dare uno sguardo obiettivo all’argomento, cercando di astrarsi da ogni condizionamento e opinione, avendo anche riguardo alle modificazioni che, dopo due anni di faticoso iter legislativo, sono state recentemente approvate alla Camera e attendono la conferma al Senato.

Vediamo dunque, per iniziare la nostra analisi, il dettato dell’originale art. 52 cp, che disciplina l’istituto, per poi scomporlo ed esaminarlo nelle sue componenti fondamentali. Così recita: non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio od altrui contro il pericolo attuale di un’offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa.  

Sorvolando sulla analisi della natura giuridica dell’istituto, irrilevante per i nostri fini, bisogna invece capire in primo luogo quando e da che cosa è possibile difendersi legittimamente, per poi vedere come la legge vuole che la difesa sia condotta per essere considerata legittima. Per semplificare la trattazione è opportuno distinguere dunque quali siano quei presupposti che legittimano la difesa (ossia quei presupposti che, ove sussistenti, consentono ad un soggetto di intraprendere legittimamente un’azione difensiva) da quelli invece che, una volta iniziata la difesa, rendono quest’ultima conforme alla legge, e cioè quali siano le modalità di esecuzione della difesa consentite dal dettato del codice penale. L’accertamento della legittimità va infatti operato in due momenti differenti, il primo avendo riguardo all’offesa e al pericolo da questa generato, il secondo avendo riguardo invece alla difesa vera e propria.

Iniziamo dunque ad analizzare il primo dei due momenti costitutivi dell’istituto. La legge richiede in primo luogo che si agisca per difendere un diritto contro un’offesa ingiusta. Il significato di questo punto è sufficientemente chiaro e univoco da non richiedere specificazioni. Secondo e ultimo requisito per potersi legittimamente difendere è che il pericolo causato dall’offesa sia attuale, escludendo così tutti i casi in cui questo sia già esaurito o debba ancora verificarsi. Conferma testualmente questo orientamento la Corte di Cassazione nella sent. 27 novembre 2015 n. 47177.

Avendo analizzato brevissimamente le caratteristiche dell’offesa e del pericolo richieste dalla legge dobbiamo passare al secondo e più articolato momento costitutivo dell’istituto, e cioè quello della difesa propriamente detta. Viene dunque in primo luogo alla luce dal testo il requisito della necessità, con ciò volendo escludere tutte quelle situazioni in cui si potrebbe neutralizzare il pericolo con azioni diverse dalla difesa (ad es. con la fuga, se praticabile), così come tutte quelle nelle quali si potrebbe neutralizzare il pericolo con azioni meno lesive dei beni dell’aggressore (ad es. se posso efficacemente difendermi con un bastone la difesa a mezzo di una pistola sarà eccessiva). Secondo e ultimo requisito affinché la difesa sia legittima è che questa stessa sia proporzionata all’offesa. Questo requisito non riguarda secondo l’opinione prevalente strettamente le modalità di azione, bensì la comparazione tra il tipo di bene messo in pericolo dall’offesa e quello che si intende ledere con la difesa. Così la difesa sarà legittima anche se l’aggressore percuotesse un soggetto con un semplice bastone e questo in risposta spari alle gambe, dal momento che i due beni in gioco sono entrambi l’integrità fisica e non il più importante bene “vita”, che non viene leso, nonostante la pistola sia un’arma letale, al contrario del bastone.

Questa dunque l’analisi del dettato originario dell’articolo. Occorre aggiungere peraltro che nel 2006 è intervenuta una modifica al testo volta ad ampliare le possibilità di difesa nei luoghi di domicilio. La più rilevante novità consta nel fatto che il requisito della proporzionalità viene presunto nel caso in cui l’offesa avvenga nel domicilio o nel luogo di lavoro dell’aggredito, così rendendo sostanzialmente legittimo qualsiasi tipo di difesa nei luoghi sopra indicati.

È stato inoltre approvato alla Camera un nuovo testo di modifica all’art. 52 cp (e 59), le cui novità possono essere sintetizzate in tre punti. Innanzitutto viene esteso il campo di applicazione della presunzione di proporzionalità anche ai casi in cui l’offesa avvenga di notte. In secondo luogo viene esclusa la colpa del difensore nei casi in cui il suo errore di mira o di valutazione sia causato da un grave turbamento psichico dovuto all’aggressore. In terzo e ultimo luogo si stabilisce che, nel caso in cui la difesa sia considerata legittima dal giudice, tutte le obbligazioni processuali che graverebbero sull’imputato vengono invece estinte dallo Stato.

In sintesi, alla luce di quanto detto, possiamo sostenere che l’istituto della legittima difesa, complici i dibattimenti politici e i recenti casi mediatici, stia lentamente andando verso la direzione di una legittimazione totale, da alcuni già definita anche come “licenza di uccidere”. Attendiamo le opinioni della Corte Europea per meglio valutare le modificazioni all’istituto, ricordando che la disciplina così delineata si porrebbe probabilmente in contrasto con l’art.2 CEDU, che tutela il diritto alla vita. Anche quella degli aggressori.


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Francesco Notari

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