Legittimazione ad adempiere e ricevere: il pagamento fatto al rappresentante apparente

Legittimazione ad adempiere e ricevere: il pagamento fatto al rappresentante apparente

L’estinzione del rapporto obbligatorio, di regola, avviene mediante l’adempimento della prestazione in oggetto, in cui l’esecuzione dell’obbligo da parte del debitore mediante il comportamento diligente richiesto dall’art. 1176 c.c., realizza il soddisfacimento del diritto del creditore.

Una tale semplicità di sistema operativo ha dovuto, però, adattarsi alla complessità dei traffici giuridici e all’intricata rete di scambi economici interpersonali che, nella pratica, possono venire in rilievo.

Per questo, può ben accadere, come si verifica nel pagamento al creditore apparente ex art. 1190 c.c., che l’obbligo adempiuto dal debitore non soddisfi, al contempo, l’interesse creditorio; viceversa, un pagamento eseguito dal terzo ai sensi dell’art. 1180 c.c., estingue relativamente l’obbligazione, realizzando il diritto del creditore ma facendo permanere in capo al debitore l’obbligo di eseguire la prestazione.

In passato, molto discussa è stata l’esatta qualificazione della natura giuridica del fenomeno adempitivo del debitore.

Sul punto, può ritenersi superata la dottrina secondo la quale il pagamento abbia natura contrattuale perché sorretto da un animus solvendi.

In realtà, ciò che rileva ai fini dell’adempimento è solo una corretta esecuzione della prestazione che risulta un atto necessitato, in assenza del quale, il debitore sarebbe costretto al risarcimento del danno per inadempimento.

Invero, la natura di atto dovuto del pagamento troverebbe conferma anche nella previsione dell’art. 1190 c.c., secondo la quale può legittimamente adempiere anche un debitore incapace.

Infatti, gli atti compiuti dall’incapace sono annullabili, ai sensi dell’art. 428, comma 2 c.c., solo quando recano un pregiudizio: nel caso di un obbligo di pagamento, non potrebbe procedersi con l’annullamento dell’atto, in quanto è solo in assenza di adempimento che sorgerebbe l’effetto pregiudizievole per l’incapace tenuto al risarcimento.

L’unica eccezione alla legittimazione ad adempiere del debitore è il caso in cui sia stato dichiarato fallito: la sentenza di fallimento spossessa il debitore dei suoi beni, onde evitare pagamenti privilegiati e ledere la par condicio creditoria; si assiste, così, alla cristallizzazione del passivo e al trapasso della legittimazione ad adempiere in capo al curatore fallimentare che procederà alla divisione dell’asse patrimoniale.

Oltre all’eccezione suddetta, dalle norme del codice emerge che il legislatore sia stato incline a propendere per una certa indifferenza circa la persona che materialmente estingue l’obbligazione, a parte i casi in cui venga in rilievo un interesse del creditore al che la prestazione sia eseguita personalmente dal debitore.

In particolare, l’art. 1180 c.c. legittima la possibilità di un terzo, soggetto estraneo al rapporto obbligatorio, di adempiere a nome proprio l’obbligazione intercorrente tra debitore e creditore.

È proprio nell’adempimento dell’obbligazione altrui che si rintraccia la causa fissa dell’adempimento del terzo, a cui può affiancarsi una causa variabile, quale l’intento di liberalità o di estinzione di un debito che il terzo aveva nei confronti del debitore.

L’adempimento del terzo è funzionalmente identico all’adempimento del debitore, venendo in essere, in entrambi i casi, pagamenti connotati da realità: in sostanza, sia l’atto dovuto che il negozio hanno effetto solutorio.

Sennonché, il discrimen tra le due figure è percettibile nel requisito della spontaneità che caratterizza l’adempimento del terzo, trasformando di fatto la natura del pagamento quale atto dovuto del debitore, in un libero negozio giuridico posto in essere dal terzo.

Messo in questi termini, si comprende, allora, che il terzo dovrà essere una parte legalmente capace affinché il negozio possa essere validamente stipulato; di conseguenza, si applicheranno anche le norme in tema di vizi della volontà.

Circa la natura del negozio dell’adempimento del terzo, parte della dottrina e della giurisprudenza lo qualifica come negozio unilaterale, in cui, però, stante la lettura del primo comma dell’art. 1180 c.c., la volontà del creditore non apparirebbe necessaria per la produzione dell’effetto favorevole.

È proprio una simile previsione che andrebbe in contrasto con la disciplina del negozio unilaterale, che all’art. 1333 c.c. consente al destinatario della proposta di poter sempre rifiutarla.

Ebbene, leggendo la norma dell’art. 1180 nella sistematica del suo secondo comma, emerge che il creditore ha possibilità di rifiutare l’adempimento offertogli dal terzo, nel momento in cui è anche il debitore a mostrare la sua opposizione.

In questo caso, evidenzia la dottrina più attenta che l’adempimento del terzo è destinato ad esplicarsi i suoi effetti favorevoli nella sfera di due beneficiari, i quali dovranno entrambi esprimere il loro consenso: volendo meglio esplicare quanto detto, nell’ipotesi di un contratto con obbligazioni del solo proponente, la direzione della proposta è unilaterale, necessitando dell’accettazione dell’unico destinatario; diversamente, l’art.1180 c.c. prevede una bilateralità di destinatari, debitore e creditore, i quali per bloccare l’iniziativa del terzo dovranno esprimere un atto complesso di rifiuto-opposizione proveniente da entrambi.

Giova dare atto che, nonostante l’iniziativa del terzo sia spontanea, potrebbe accadere che il soggetto che ha adempiuto l’obbligazione abbia interesse al recupero delle somme nei confronti del debitore giovato dall’adempimento.

Sulla questione di una possibile azione recuperatoria del terzo, la giurisprudenza ha escluso che possa procedersi con la ripetizione della somma ai sensi dell’art. 2036 c.c.: nel caso di specie, infatti, il solvens non agisce nell’erronea convinzione di essere debitore ma è consapevole di pagare, spontaneamente, un debito altrui e, pertanto, non viene in essere una forma di indebito.

Per queste ragioni, una diversa opzione dottrinale avanzava l’idea che il terzo adempiente, benché non si fosse creata una situazione di indebito per ripetere le somme presso il debitore, avrebbe potuto surrogarsi nei diritti del creditore ai sensi del terzo comma dell’art. 2036 c.c.: difatti, sulla scia delle argomentazioni della dottrina, il comma troverebbe applicazione proprio ogniqualvolta non sarebbe possibile agire per la ripetizione delle somme versate.

In realtà, sul punto, non è tardato ad arrivare una pronuncia della Cassazione a Sezioni Unite, in cui si esclude che il terzo si surroghi nei diritti del creditore ai sensi del comma 3 dell’art. 2036 c.c., in quanto si necessita comunque dei presupposti di cui al primo comma dell’art. 2036: in sostanza, la sussidiarietà del meccanismo surrogatorio di cui al comma 3 viene in essere allorquando il terzo abbia agito, comunque, nella ragionevole e incolpevole convinzione di un dovere, come potrebbe accadere nell’esecuzione di una obbligazione naturale; formatosi un contesto di indebito, in questo caso, il terzo non può agire per il recupero delle somme ma può subentrare nei diritti del creditore ai sensi dell’art. 1203 n. 5 c.c.

Tali presupposti non sussistono nel caso di adempimento del terzo, che paga consapevole che sia una obbligazione altrui e, pertanto, avrebbe, sulla scorta della pronuncia in parola, la sola possibilità di ricorrere all’azione generale di arricchimento ai sensi dell’art. 2041 c.c., chiedendo al debitore una somma a titolo di indennizzo per la diminuzione patrimoniale subita, a causa dell’arricchimento altrui.

Invero, al fine di trovare uno strumento attraverso il quale consentire al terzo di recuperare le somme, sarebbe forse preferibile andare a scrutare la causa variabile che lo spinge, di volta in volta, ad adempiere l’obbligazione altrui.

Certamente, non sarebbe possibile un recupero di quanto adempiuto, qualora il terzo sia stato sorretto da spirito di liberalità ovvero quando il terzo era un debitor debitoris,, ma ben potrebbe, invece, accadere che il terzo si surrogarsi nei diritti del creditore nell’ipotesi di cui al 1201, 1203 n.1 e 2 c.c.,

Nell’ipotesi di cui all’art. 1201 c.c., nell’atto di pagamento, il creditore potrebbe espressamente surrogare il terzo nei suoi diritti, il quale potrebbe giovarne vantaggio nell’entrare all’interno del medesimo rapporto obbligatorio anziché procedere con altre azioni contrattuali.

Un altro caso di surroga del terzo è dato dall’art. 1203 n. 1, allorquando un creditore chirografario decida di procedere a liquidare un creditore che sarebbe a lui preferito per le garanzie che assistono il suo credito, surrogandosi nella sua posizione di creditore privilegiato.

Infine, un caso di surroga del terzo adempiente è dato dall’art. 1203 n 2, in cui l’acquirente dell’immobile su cui grava ipoteca paga i creditori ipotecari e si surroga nei diritti di questi.

Quindi, in linea generale, ci sono ipotesi di adempimento del terzo in cui può essere ammessa la surrogazione, andando di volta in volta ad indagare lo scopo in concreto per cui il terzo ha adempiuto ma non è possibile ricorrere alla previsione del comma 3 dell’art. 2036 c.c. della surrogazione legale, per il semplice fatto che non sia possibile la ripetizione.

Analizzata sistematicamente la legittimazione ad adempiere, occorre, soffermarsi sul versante della legittimazione a ricevere.

Anche in questo caso, come per la legittimazione ad adempiere, ci sono delle eccezioni: infatti, il legislatore ha previsto che il pagamento effettuato nei confronti del creditore fallito è inefficace, per il medesimo discorso condotto per il debitore fallito; ancora, non legittimato a ricevere sarebbe anche il creditore, il cui credito è oggetto di pegno o di usufrutto, dovendo in questo essere pagati il creditore pignoratizio o l’usufruttuario.

Inoltre, ai sensi dell’art. 1190 c.c., il creditore che riceve il pagamento necessita della capacità di intendere e volere: diversamente, l’esecuzione della prestazione presso un creditore incapace non libera il debitore, il quale dovrebbe ripetere le somme ed effettuare il pagamento in capo all’amministratore dell’incapace, fatta salva la prova che il pagamento sia stato effettuato a vantaggio dell’incapace.

Potrebbe, poi, accadere che nella pratica degli affari si verifichi una scissione tra la titolarità del diritto di credito, proprio del creditore, e la legittimazione a riscuotere.

Infatti, il creditore potrebbe conferire una procura all’incasso ad un soggetto, il quale agirebbe come suo rappresentante diretto e sarebbe autorizzato da questi a riscuotere le somme e agire in giudizio nei confronti del debitore.

Diverso è il caso dell’indicazione del pagamento, in cui il creditore indica al debitore il soggetto presso cui eseguire l’obbligazione, restando nella facoltà del debitore la scelta del soggetto presso cui adempiere.

Infine, il creditore potrebbe decidere di delegare, attraverso un mandato il debitore a pagare un soggetto terzo: l’accettazione dell’ordine da parte del debitore comporta l’impossibilità di adempiere successivamente verso l’originario creditore che potrà legittimamente rifiutarsi e imputargli un inesatto adempimento.

In assenza di una procura conferita a soggetto diverso, di una indicazione o di una delegazione, destinatario del pagamento è il solo creditore, cosicché il debitore che paghi un soggetto non legittimato, ai sensi dell’art. 1188, comma 2 c.c., non potrà ritenersi liberato dal proprio vincolo obbligatorio, salvo che il creditore non decida comunque di procedere a ratificare il pagamento ovvero decida di volerne profittare.

Come accennato in premessa, il mutato contesto socio-economico con la possibilità di concludere, sempre più, negozi a distanza e di estinguere i propri debiti non solo con la moneta metallica ma di utilizzare legittimamente assegni e carte di credito, ha certamente contribuito al sorgere di situazioni complesse, situazioni di apparenza giuridica di posizioni soggettive: in questo caso, il legislatore si è mostrato attento nel contemperare l’esigenza del soddisfacimento del diritto creditorio con la necessita di tutela dell’affidamento del debitore.

Infatti, l’art. 1189 c.c. si occupa proprio del pagamento al creditore apparente: in tal caso, il debitore che esegue un pagamento, in buona fede, presso colui che, sulla base di circostanza univoche e concludenti, appare creditore, è liberato.

Attraverso questa previsione, come in altri istituti dell’ordinamento – si pensi all’acquisto dell’erede apparente o del simulato acquirente ovvero all’acquisto a non domino – il legislatore decide di tutelare l’affidamento di un soggetto creatosi sulla scorta di una situazione di apparenza di un diritto soggettivo.

Con l’art. 1189 si richiede, però, che affinché l’errore del debitore sia scusabile, non basta il requisito della buona fede ma si necessita anche del requisito oggettivo di circostanze precise e univoche che hanno contribuito a fortificare il convincimento incolpevole del debitore che il soggetto presso cui eseguiva il pagamento fosse il reale creditore.

Si sottolinea che, in questo caso, anche lo stato di buona fede necessita di una precisa dimostrazione da parte del debitore che non può giovarsi della presunzione di buona fede di cui all’art. 1147, comma 3, limitata al solo campo dei diritti reali.

Sul contemperamento tra apparenza e affidamento, la recente giurisprudenza è stata accorta nel precisare, sebbene con riserve critiche di autorevole dottrina, che non possa tutelarsi l’affidamento di un soggetto che invoca l’apparenza del diritto, quando questi avrebbe potuto controllare l’effettiva realtà della situazione giuridica attraverso la presenza di un sistema di pubblicità notizia.

I giudici di legittimità, aderendo all’orientamento maggioritario, precisano che l’apparenza è un parametro elastico che può legittimamente essere chiamato in causa solo in quegli spazi in cui il formalismo giudico non è arrivato: quindi, innanzi ad un pubblico registro, anche se predisposto per una diversa funzione, il soggetto è onerato a controllare ed accertarsi della posizione giuridica che appare.

Quindi, qualora dovessero verificarsi le condizioni richiamate dall’art. 1189, il debitore è liberato ma resta aperto il problema del creditore effettivo che rimane insoddisfatto nel suo interesse: in questo caso, una parte della giurisprudenza ritiene che debba agire nei confronti del creditore apparente per il recupero delle somme ai sensi dell’art. 2033 c.c.

Invero, l’orientamento minoritario mette in luce che l’aspetto della liberazione del debitore farebbe propendere per il ritenere che non si è innanzi ad una fattispecie di indebito, quindi, sarebbe preferibile che il creditore reale agisca mediante azione di ingiustificato arricchimento nei confronti del creditore apparente.

Ancora più discusso in giurisprudenza e dottrina, è stato comprendere se il pagamento effettuato dal debitore al rappresentante apparente potesse avere efficacia liberatoria e, quindi, rientrare nella disciplina di cui all’art. 1189 c.c.

Prima dei recenti approdi giurisprudenziali, sulla scorta di una prima opzione si riteneva che il caso in esame dovesse rientrare in una ipotesi di falsus procurator: pertanto, l’atto compiuto dal falso rappresentato sarebbe inefficace, a meno che non intervenga la ratifica del dominus ai sensi dell’art. 1399 c.c.

Invero, come ribadito a più riprese, il pagamento è un mero fatto e le norme di cui all’art. 1398 e 1399 sono applicabili ai soli atti negoziali contratti dal rappresentante apparente.

Per questo, una seconda tesi avanzava l’idea di una applicazione analogica dell’art. 1189 c.c. anche al caso del pagamento fatto al rappresentante apparente: la norma sarebbe espressiva di un principio generale di buona fede e di affidamento e, pertanto, applicabile anche nel caso di specie ove di è determinata una legittima situazione di apparenza.

In realtà, tale parabola ermeneutica appare criticabile: infatti, nel nostro ordinamento si tutela un legittimo affidamento solo quando viene in essere una situazione di apparenza di diritto soggettivi – come, ad esempio, accade nell’acquisto dell’erede apparente.

Nel caso pagamento al rappresentante apparente, invece, non viene in essere una situazione di titolarità del diritto e non può applicarsi analogicamente l’art. 1189.

A fare luce sul punto, è intervenuta una pronuncia dei giudici di legittimità, i quali hanno accolto un differente orientamento, ritenendo applicabile direttamente la disciplina dell’art. 1189 al caso di un pagamento effettuato dal debitore al rappresentante apparente.

Ebbene, la Cassazione ha precisato che, nel caso in parola, l’efficacia liberatoria del debitore è subordinata ad una prova precisa: anzitutto, il debitore deve provare il suo incolpevole convincimento circa la situazione di apparenza del legittimato a riscuotere, che deve, altresì, venirsi a creare sulla base di circostanze oggettive; a ciò deve aggiungersi, che dovrà dare prova del comportamento colposo del creditore, il quale deve aver contribuito alla creazione della situazione di apparente giuridicità.

In tal caso, la giurisprudenza sembrerebbe aggiungere il requisito ulteriore della colpa del creditore laddove la norma tutela, invece, l’apparenza obiettiva: giova precisare che, differentemente dal pagamento al creditore apparente, nel pagamento al rappresentante apparente viene in essere un fenomeno complesso in cui la situazione di apparenza deve essere creata non solo dal debitore ma anche dal creditore.

Quindi, la richiesta di un requisito di colpa del creditore va ad integrare una delle circostanze univoche e concludenti richiesti dall’art. 1189 c.c.

Potrebbe, infine, accadere che il pagamento al creditore apparente sia effettuato da un terzo per conto del debitore.

In questo caso, si discute se possano valere le medesime coordinate dell’art. 1189 c.c. e ritenere che il debitore originario sia liberato.

Giova, anzitutto precisa che resta fuori dal campo di indagine il pagamento effettuato da un terzo ai sensi dell’art. 1180 c.c.: come precisato in precedente, il terzo agisce in nome proprio e, pertanto, un pagamento fatto ad un soggetto nell’erronea convinzione che sia il creditore, sarà qualificabile ai sensi dell’art. 1429 c.c. come errore essenziale che cade sull’identità della persone dell’altro contraente e il negozio sarà annullabile, con la possibilità per il terzo di chiedere la ripetizione dell’indebito ex art. 2033 c.c. ma certamente non libera la persona del debitore originario.

Quando, invece, il terzo agisce per conto del debitore, la dicitura suggerisce che il soggetto stia agendo sulla base di un mandato, come accade in una delegazione ai sensi dell’art. 1268 c.c.: in tal senso, il terzo, dietro conferimento di un ordine del debitore originario, assume su di sé il peso del debito; l’assuntore agendo per conto del debitore, nell’eventuale pagamento al creditore apparente, gli effetti saranno imputabili direttamente al debitore originario che, al ricorrere dei presupposti di cui al 1189 c.c., può ritenersi liberato.

Un discorso analogo potrebbe condursi nel caso si accolga la tesi dottrinale per cui anche nell’espromissione, il terzo assuntore del debito adempie sulla base di un mandato, sebbene l’iniziativa appare spontanea agli occhi del creditore.

Diversa è, invece, la conclusione se si accoglie l’orientamento secondo il quale l’espromissione ai sensi dell’art. 1272 è una iniziativa spontanea del terzo assuntore: effettuando un pagamento senza delegazione dell’originario debitore, gli effetti del pagamento saranno imputabili al terzo e non potrà dirsi liberato l’originario debitore se l’adempimento è stato fatto al creditore apparente.

Infine, certamente, non può ritenersi liberato il debitore originario se il terzo che abbia assunto il debito, nel pagare il creditore apparente sia in colpa.

Si faccia l’esempio, di una Banca che viene delegata dal debitore a pagare un assegno ad un soggetto creditore: nell’eseguire il mandato, la Banca colposamente paga un soggetto diverso.

In questo caso, non verrebbero proprio integrati i requisiti richiesti dall’art. 1189 c.c., che richiede una apparenza formata in modo oggettivo, in assenza di una colpa e, pertanto, il debitore originario dovrà ripetere il pagamento al creditore reale.

Sul punto, però, si sta recentemente discutendo della possibilità di configurare un concorso di colpa tra danneggiato e danneggiante ai sensi dell’art. 1227 c.c.: in sostanza, il debitore ovvero il terzo assuntore del debito potrà ritenersi liberato per la parte di credito per il quale il creditore abbia concorso ad ingenerare la situazione di apparenza.


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