L’elusione fiscale nell’era 2.0

L’elusione fiscale nell’era 2.0

È l’era 2.0, dell’avvento della new economy e della digitalizzazione, nuove imprese sono penetrate nei mercati nazionali senza la necessità di creare degli insediamenti di strutture presso gli stessi, senza le c.d. stabili organizzazioni, attraverso le quali, ai sensi dell’art.162 comma 1 del Testo unico delle imposte sui redditi, un’impresa non residente esercita la sua attività, tutta o in parte,  sul territorio dello Stato, ove viene tassato il reddito prodotto.

Ma con il processo di dematerializzazione delle attività e di destrutturazione, le c.d. web Companies, meglio conosciute come Amazon, Google, Facebook – tanto per fare nomi  – sono riuscite a raggiungere livelli molto bassi di tassazione, attraverso insediamenti in Paesi UE a basso livello di tassazione (come l’Irlanda), ma a generare ingenti profitti in tutta l’Europa commercializzando attraverso monitor e tastiere.

La normativa vigente può ritenersi dunque obsoleta, oltretutto, è da un po’ che l’OCSE ci ricorda che occorre guardare all’economia digitale, come parte integrante dell’economia complessiva.

Nell’ambito del progetto BEPS sono state introdotte regole ad hoc per le imprese digitali e si è ipotizzato un nuovo criterio di collegamento basato sul concetto di c.d. Presenza Economica Significativa che intende dare rilievo ad una serie di fattori-indice, espressivi di un’interazione significativa e costante che un’impresa estera è in grado di instaurare con l’economia di un determinato Paese, attraverso la tecnologia e gli strumenti telematici.

È ora dunque che i tradizionali istituti di tassazione, basati sulla residenza della singola società o sulla localizzazione della stabile organizzazione, vadano in pensione e si introducano soluzioni idonee a tassare coloro i quali oggi, invece, aggirano l’ingente conto con il Fisco.

Oltretutto, non è solo una questione di equità fiscale e di sostenibilità del modello economico, ma in tema di libero mercato, una mancata presa di posizione sul punto, determina una distorsione del mercato in termini di concorrenza tra imprese.

A voler considerare il solo panorama italiano, è un dato di fatto, che le nostre imprese nazionali risultano spesso letteralmente schiacciate dalle imposte sul reddito, mentre di altre, che realizzano fatturato sul territorio nazionale, non si è in grado di intercettare né il luogo di produzione della ricchezza né i fattori che concorrono alla produzione né, infine, si è capaci di quantificarla correttamente.

A livello nazionale, la strada della c.d. web tax transitoria, introdotta con la Manovra correttiva 2017 (art.1, D.L. n.50/2017) ha rappresentato una presa di consapevolezza sul tema, ma rappresentando l’introduzione di accordi preventivi per le multinazionali – anche del web – con l’Agenzia delle Entrate italiana, una procedura amministrativa, e non un obbligo impositivo, lo stesso rischia di rimanere un mero strumento di dialogo con l’Amministrazione, che oltre ad essere poco ambizioso rischia di non centrare l’obiettivo primario che è appunto la tassazione del reddito prodotto da queste web Companies che sfruttano il mancato coordinamento delle misure nazionale per sfuggire l’imposizione fiscale.

Gli esperti del settore fanno sapere che la strada da seguire, o quanto meno la più proficua, dovrebbe essere quella dell’accordo tra i Paesi della comunità europea, magari ipotizzando un nuovo concetto di stabile organizzazione di tipo bipolare, in grado di adattarsi alle caratteristiche dell’economia digitale, che oggi è parallela all’economia tradizionale.

Nel frattempo, a Tallin, il 16 settembre scorso, si è svolta una riunone informale dell’Ecofin, indetta da quattro dei paesi c.d. sviluppati, tra cui anche l’Italia, alla quale hanno preso parte diversi paesi dell’Unione Europea, che hanno voluto lanciare un segnale di coesione alle multinazionali del web e soprattutto all’opinione pubblica, dichiarando che si occuperanno in breve tempo della questione.

L’ambizioso progetto è dunque in via di sviluppo, non si sa ancora se sarà un’imposta sul fatturato, a bassa aliquota e per la cui determinazione non sarà rilevante il luogo di produzione, bensì il mercato della clientela oppure si procederà solo ad una ridefinizione del concetto di stabile organizzazione.

Le prossime novità si avranno nella prossima primavera, e noi aspettiamo che sboccino.


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Chiara Gabriele

classe 1987, avvocato tributarista

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