L’eredità lasciata dalla sentenza costituzionale sul doppio cognome

L’eredità lasciata dalla sentenza costituzionale sul doppio cognome

Con il comunicato stampa del 27 aprile 2022, si è resa pubblica la decisione con cui la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di tutte le disposizioni che prevedono l’automatica attribuzione del cognome paterno, con riguardo ai figli nati nel matrimonio, fuori dal matrimonio e ai figli adottivi; la regola ordinaria – nell’ottica del Giudice delle Leggi – “è discriminatoria e lesiva dell’identità del figlio”. A partire da tale momento, il figlio assume il cognome di entrambi i genitori nell’ordine concordato dagli stessi, salvo che essi decidano, di comune accordo, di attribuire meramente il cognome di uno dei due. In mancanza di tale intesa, resta salvo l’intervento del giudice in conformità con quanto dispone l’ordinamento giuridico.

A distanza di ventiquattro ore, la pronuncia in commento trova applicazione: il Tribunale di Pesaro ha accolto il ricorso avanzato dalla madre di una minorenne, avente ad oggetto la richiesta di riconoscimento anche del cognome materno al figlio, nonostante la ferma opposizione del padre. Il Tribunale di Pesaro, dunque, ha ordinato all’Ufficiale dello Stato Civile del Comune ove risiede la minore la modifica dello stato di nascita, aggiungendo il cognome materno.

Con la storica sentenza del 27 aprile, i giudici costituzionali sciolgono i due “nodi” lasciati irrisolti nel 2016: l’attribuzione del cognome materno solo in caso di accordo tra le parti e l’esclusione dei figli nati fuori dal matrimonio. Nel comunicato della Corte, spicca la volontà di precisare che la decisione è stata assunta “nel solco del principio di eguaglianza e nell’interesse del figlio”; i genitori devono poter condividere la scelta del cognome, il quale costituisce elemento fondamentale dell’identità personale.

Il mancato deposito della sentenza costituzionale impedisce di analizzare i punti più critici e rilevanti della vicenda. Alla luce di ciò, è possibile soffermarsi esclusivamente sui reali “lasciti” di tale decisione. Innanzitutto, i giudici costituzionali, nell’adottare il sistema del doppio cognome, seguono la tradizione spagnola. Nell’originaria impostazione del codice civile spagnolo del 1889, esso era composto dalla prima parte del cognome paterno (c.d. primer apellido), e dalla prima parte di quello materno, anche se quest’ultimo assumeva carattere recessivo, potendosi trasmettere al proprio figlio soltanto il patronimico. Al fine di prevenire la scomparsa del cognome materno nella seconda generazione, la legge di riforma del diritto di famiglia (l. 13 maggio 1981, n. 11) ha stabilito che il figlio, divenuto maggiorenne, possa chiedere l’inversione dell’ordine dei suoi cognome, in modo tale da trasmettere ai figli il cognome dell’ascendente in linea femminile. Mosso da un intento “rivoluzionario”, il legislatore del 1999 (l. 5 aprile 1999, n. 40) ha sottratto la formazione del doppio cognome al meccanismo automatico, rimettendo così la scelta dell’ordine dei cognomi alle parti, dando comunque precedenza a quello paterno in ipotesi di disaccordo. Un modello simile è radicato in Francia (da art. 311-21 a 311-24), dove i genitori possono scegliere di conferire al figlio il cognome paterno o quello materno o entrambi nell’ordine da essi riportato ed il cognome selezionato viene automaticamente attribuito agli ipotetici successivi figli; in caso di disaccordo tra le parti, il figlio assume il cognome di ambedue posizionati alfabeticamente. In realtà, fino al 1865 ha prevalso la regola del patronimico. Un primo tentativo di contenere il favor nei confronti del cognome paterno è stato attuato solo nel 1965, quando il legislatore ha ammesso che i maggiorenni potessero accostare al proprio cognome quello del genitore che non glielo aveva trasmesso. In Gran Bretagna, pur assistendo all’affermazione della devoluzione secondo il criterio patrilineare, emerge la volontà di agevolare la scelta ed il mutamento del cognome: tale circostanza è avallata dalla mancanza di una regola imposta da una norma di legge. In particolare, all’atto della registrazione alla nascita, il figlio può assumere non solo il cognome del padre, ma anche quello della madre, di entrambi o addirittura un cognome differente.

Tornando allo scenario italiano, è interessante rilevare come le diverse proposte di legge possano essere ripartite in tre parti: quelle che si limitano a prevedere l’introduzione del doppio cognome senza imporre alcuna regola sull’ordine seguito dalle parti; quelle che dispongono l’attribuzione del doppio cognome nell’ordine scelto dai genitori, delineando meccanismi di risoluzione del possibile conflitto tra gli stessi; quelle in cui l’attribuzione del doppio cognome è alternativa alla devoluzione del cognome di uno solo dei genitori. Scarsa attenzione è stata riposta nei riguardi del modello tedesco, quello del cognome di famiglia: nella sua versione originaria, il BGB stabiliva che la moglie e i figli assumevano il cognome dell’uomo, al fine di identificare la famiglia con un unico cognome. Il predetto sistema, pur essendo stato rivisto dalla legge di riforma del 1976, non è sfuggito all’esame della Corte costituzionale tedesca: secondo quest’ultima, la disposizione che attribuiva in via residuale (ossia in mancanza di una esplicita scelta dei genitori) la funzione di nome di famiglia al cognome del madre risultava incompatibile con l’art. 3, co. 2, della Legge Fondamentale.

Occorre interrogarsi sulle ragioni che hanno indotto la Corte costituzionale ad introdurre il sistema del doppio cognome. Tale decisione prende le mosse – a parere di chi scrive – dalla consapevolezza che la corrente idea di famiglia è completamente distante da quella tracciata nel codice civile italiano, essendo venuto meno il dogma della indivisibilità.

Nel corso del tempo, una parte della dottrina si è schierata a favore del mantenimento del patronimico, in nome del principio dell’unità della famiglia, sollevando forti perplessità in ordine all’identificazione del singolo con due cognomi. Con la pronuncia in commento, la Consulta – ad avviso di chi scrive – pone fine ad una delle più marcate e irragionevoli disparità di trattamento subite dalla madre rispetto al padre. Tuttavia, permane la disparità tra i membri della coppia: l’art. 143-bis c.c., infatti, riconosce alla moglie la possibilità di aggiungere al proprio cognome quello del marito. La norma sopracitata, come quelle che prevedono l’automatica attribuzione del cognome paterno, è espressione di quella cultura patriarcale mai del tutto superata. Allo stato attuale, la Corte costituzionale sembra avere preso atto della necessità di un cambio radicale nella sfera familiare. Pertanto, si auspica che ciò sia recepito anche dal legislatore, al quale spetta partire dalla considerazione della famiglia come luogo che favorisce il libero sviluppo della persona.


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Dott.ssa Luana Leo

La dottoressa Luana Leo è dottoranda di ricerca in "Teoria generale del processo" presso l'Università LUM Jean Monnet. È cultrice di Diritto pubblico generale e Diritto costituzionale nell'Università del Salento. Ha conseguito la Laurea Magistrale in Giurisprudenza presso il medesimo ateneo discutendo una tesi in Diritto Processuale Civile dal titolo ”Famiglie al collasso: nuovi approcci alla gestione della crisi coniugale”. È co-autrice dell'opera "Il Presidente di tutti". Ha compiuto un percorso di perfezionamento in Diritto costituzionale presso l´Università di Firenze. Ha preso parte al Congresso annuale DPCE con una relazione intitolata ”La scalata delle ordinanze sindacali ”. Ha presentato una relazione intitolata ”La crisi del costituzionalismo italiano. Verso il tramonto?” al Global Summit ”The International Forum on the Future of Constitutionalism”. È stata borsista del Corso di Alta Formazione in Diritto costituzionale 2020 (“Tutela dell’ambiente: diritti e politiche”) presso l´Università del Piemonte Orientale. È autore di molteplici pubblicazioni sulle più importanti riviste scientifiche in materia. Si occupa principalmente di tematiche legate alla sfera familiare, ai diritti fondamentali, alle dinamiche istituzionali, al meretricio, alla figura della donna e dello straniero.

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