L’impatto dell’intelligenza artificiale sull’attività amministrativa

L’impatto dell’intelligenza artificiale sull’attività amministrativa

Il concetto di transizione verso la c.d. “amministrazione digitale” va inteso come un baluardo delle garanzie di trasparenza e partecipazione dei consociati nel procedimento amministrativo.

Nell’ambito di questa transazione, un ruolo di primario rilievo è svolto dai sistemi di intelligenza artificiale  (c.d. “IA”) e ciò in ragione del fatto che è proprio  dall’uso delle nuove tecnologie informatiche che dipende la qualità dell’organizzazione della Pubblica Amministrazione in termini di incremento dell’efficienza, nonché rapidità e completezza informativa dei rapporti giuridici.

L’obiettivo che ci si prefigge di raggiungere, invero, è  la “neutralizzazione” delle decisioni assunte attraverso sistemi di automatizzazione digitale e di standardizzazione dell’attività amministrativa.

Il fondamento normativo dello sviluppo di tali sistemi digitali si rinviene nel contesto eurounitario: è a partire dal 2018[1] che la Commissione Europea si è attivata per promuovere le forti potenzialità dell’Intelligenza Artificiale.

Infatti, già con la Comunicazione del 24.04.2018 al Parlamento, Consiglio, Comitato Economico e Sociale Europeo e al Comitato delle Regioni, la Commissione ha predisposto una relazione contenente i benefici dell’IA, in relazione a tutti i settori, a partire dalla sanità per finire all’industria. “Nessuno resti escluso dalla trasformazione digitale”.

Risale, invece, a febbraio 2020, il “Libro Bianco sull’Intelligenza Artificiale – Un approccio europeo all’intelligenza e alla fiducia” pubblicato dalla Commissione UE, nel quale viene affrontato il tema dello sviluppo tecnologico e della promozione dell’IA a sostegno della semplificazione delle attività e della protezione dei dati personali.

Sulla scia dei precedenti interventi, il 21.04.2021 la Commissione Europea ha presentato una proposta di regolamento ai fini dell’armonizzazione delle regole sull’Intelligenza Artificiale[2] che punta ad assicurare un alto livello di tutela in rapporto al rischio derivante dall’utilizzo dell’IA. Non va dimenticato, infatti, che oltre ad alcuni sistemi di IA “ad alto rischio” ve ne sono altri addirittura “vietati” in quanto capaci di ledere profondamente i diritti fondamentali dell’uomo sfruttando le sue vulnerabilità o addirittura distorcendone il comportamento.

Disegnata la cornice normativa della tematica che ci occupa, appare utile contestualizzare l’impiego di tali sistemi automatizzati nell’ambito dell’attività amministrativa.

Oggigiorno i pubblici uffici possono considerarsi i principali detentori di dati ed informazioni che ciascun consociato mette loro a disposizione per il corretto svolgimento dei compiti istituzionali. I sistemi di IA che elaborano tali dati hanno, dunque, lo scopo primario di semplificare l’attività amministrativa, garantendo una maggiore efficienza dell’operato ed una una progressiva riduzione dei tempi.

Uno dei sistemi oggetto di maggiore indagine è la Blockchain, un database che registra in una sequenza temporalmente ordinata una serie di operazioni crittografate.

I dati inseriti sono allocati in blocchi accompagnati dal meccanismo di hashing e della marcatura temporale: il primo meccanismo consente di collegare ciascun blocco a quello precedente, mentre la marcatura temporale (associa data e ora certe e legalmente valide ad un documento informatico, permettendo una validazione temporale del documento opponibile a terzi.

L’utilizzo dello strumento della Blockchain è stato oggetto di interesse da parte del Legislatore italiano che, per la prima volta, con l’art. 8-ter del d.l. n. 135/2018 ha definito le “tecnologie basate su registri distribuiti” in termini di tecnologie  e protocolli  informatici :  “che  usano   un   registro condiviso,  distribuito,  replicabile,  accessibile  simultaneamente, architetturalmente decentralizzato su basi  crittografiche,  tali  da consentire  la  registrazione,  la   convalida,   l’aggiornamento   e l’archiviazione di dati sia in chiaro che ulteriormente  protetti  da crittografia verificabili da ciascun partecipante, non  alterabili  e non modificabili”.

Di recente, inoltre, l’art. 26 del d.l. n. 76/2020, nel disciplinare il sistema di notifiche digitali di atti, provvedimenti della Pubblica Amministrazione, ha previsto la possibilità per ciascuna amministrazione di ricorrere alle tecnologie basate su registri distribuiti per garantire “l’autenticità, l’integrità, l’immodificabilità, la leggibilità e la reperibilità dei documenti informatici resi disponibili dalle amministrazioni“.

Se, in generale, l’intento di massimizzare l’utilizzo di tali sistemi e godere a pieno dei benefici apportati dalla tecnologia è diffuso e lodevole, dal punto di vista pratico non mancano le difficoltà della Pubblica Amministrazione che quotidianamente si trova a dover affrontare un “sistema burocratico” dal volto completamente nuovo.

Il punto dolens rispetto alla gestione di informazioni e dati da parte delle Pubbliche Amministrazioni, in particolare, si collega alle ipotesi in cui l‘attività amministrativa richiede lo svolgimento di una articolata e complessa fase istruttoria prima di giungere ad adottare una decisione Ai casi in cui il provvedimento amministrativo viene generato direttamente dal sistema senza necessità di intervento alcuno, si affiancano ipotesi in cui non si può prescindere dall’intervento del funzionario pubblico.

Inevitabilmente, peraltro, il fenomeno della digitalizzazione procedimentale è stato al centro di dibattiti giurisprudenziali.

Un primo orientamento contrario all’automazione della decisione amministrativa[3], infatti, sostiene la tesi secondo cui tale fenomeno non possa sostituirsi all’attività cognitiva e acquisitiva dell’istruttoria, affidata all’uomo. Diversamente, secondo tale orientamento, non vi sarebbe conformità ai principi costituzionali, ed in particolare all’art. 97 della Costituzione, oltre che agli istituti di partecipazione procedimentale, agli obblighi imposti alla Pubblica Amministrazione in tema di motivazione e conclusione del procedimento di cui alla legge n. 241/1990.

Secondo un altro orientamento, peraltro risalente[4], l’algoritmo può essere utilizzato per adottare un provvedimento informatizzato nell’ambito di un’attività vincolata: quest’ultima infatti, basandosi sulla sequenza norma-fatto-effetto, non necessita di particolare attività istruttoria motivo per cui l’individuazione chiara dei requisiti previsti dalla legge rende ammissibile la decisione amministrativa automatizzata.

Una maggiore apertura all’introduzione dell’algoritmo nel procedimento decisionale dell’Amministrazione si è poi avuta con l’intervento della VI del Consiglio di Stato la quale, con sentenza n. 2270/2019, ha sostenuto la piena legittimità circa l’utilizzo dell’ algoritmo nel procedimento amministrativo, asserendo al riguardo che “la regola tecnica che governa ciascun algoritmo resta pur sempre una regola amministrativa generale, costruita dall’uomo e non dalla macchina, per essere poi (solo) applicata da quest’ultima, anche se ciò avviene in via esclusiva”.

Rimane aperta, tuttavia, la questione circa la carenza di motivazione che caratterizza l’attività decisionale automatizzata. Tale carenza, infatti, potrebbe causare un grave pregiudizio per le aspettative di tutela dei privati.

Inoltre, il rispetto dei principi di partecipazione e di istruttoria procedimentale, unitamente all’obbligo di motivazione impone  la necessità di ricondurre la decisione amministrativa ad un organo al quale imputare la responsabilità nell’ipotesi in cui venga accertata la lesione degli interessi legittimi e diritti soggettivi dei consociati.

Appare dunque evidente come il tema della digitalizzazione dell’attività amministrativa e dell’impiego di sistemi tecnologici volti ad efficientarne i risultati, è ancora oggi piuttosto controverso.

Senza dubbio, tuttavia, il periodo storico che stiamo vivendo- in cui il ricorso a tali mezzi è diventato condizione imprescindibile per fronteggiare i vincoli che l’epidemia Covid-19 ha imposto- rappresenta un ottimo “punto di svolta” che le istituzioni dovrebbero sfruttare per diffondere l’utilizzo dell’intelligenza artificiale nel pieno rispetto del principio del buon andamento della Pubblica Amministrazione.

 

 

 

 

 


[1] Commissione Europea, L’intelligenza Artificiale per l’Europa. Bruxelles, 25.04.2018, COM (2018) 237 final.
[2] Commissione Europea, “Proposta di Regolamento Del Parlamento Europeo E del Consiglio che stabilisce regole armonizzate sull’intelligenza artificiale (legge sull’intelligenza artificiale) e modifica alcuni atti legislativi dell’Unione”.
[3] TAR Lazio, Sez. III-ter, 10 settembre 2018, n. 9224, secondo cui “alcuna complicatezza o ampiezza, in termini di numero di soggetti coinvolti ed ambiti territoriali interessati, di una procedura amministrativa, può legittimare la sua devoluzione ad un meccanismo informatico o matematico del tutto impersonale e orfano di capacità valutazionali delle singole fattispecie concrete, tipiche invece della tradizionale e garantistica istruttoria procedimentale che deve informare l’attività amministrativa, specie ove sfociante in atti provvedimentali incisivi di posizioni giuridiche soggettive di soggetti privati e di conseguenziali ovvie ricadute anche sugli apparati e gli assetti della pubblica amministrazione”.
[4] Cass. civ., sez., I, 28 dicembre 2000, n. 16204, secondo cui “sono atti amministrativi informatici in senso stretto quegli atti provenienti dalla p.a., direttamente ed automaticamente elaborati dal sistema informatico in quanto non richiedono valutazioni discrezionali e motivazioni correlate alla particolarità del caso concreto

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