L’impossibilità temporanea e rilevante dell’attività lavorativa. Sistematizzazione

L’impossibilità temporanea e rilevante dell’attività lavorativa. Sistematizzazione

Sommario: 1. Premessa – 2. Cause di impossibilità temporanea dell’attività lavorativa – 2.1. Impossibilità sopravvenuta temporanea dell’attività lavorativa non imputabile e nessuna delle due parti contrattuali – 2.1.1. Impossibilità sopravvenuta dell’attività lavorativa – connesse a situazioni particolari del lavoratore – per causa non imputabile nessuna delle parti – 2.2. Impossibilità sopravvenuta temporanea dell’attività lavorativa imputabile al datore di lavoro – 2.3. Impossibilità sopravvenuta dell’attività lavorativa per perdita dei requisiti del lavoratore per causa a lui imputabile – 3. Conclusioni

 

1. Premessa

Il presente contributo si propone di inquadrare giuridicamente ed offrire spunti operativi in relazione al caso in cui la prestazione dell’attività lavorativa venga temporaneamente meno per impossibilità sopravvenuta.

Giova sin da ora premettere che il contributo è limitato alle ipotesi in cui l’impossibilità della prestazione sia temporalmente rilevante. Infatti, qualora detta temporaneità sia non rilevante, ex art. 1256 e 1453 c.c., la conseguenza sarebbe verosimilmente quella della conservazione del posto di lavoro ma della sospensione dell’obbligo retributivo.

La disamina si articolerà come segue.

In primo luogo, si ipotizzeranno varie cause di impossibilità temporanea dell’attività lavorativa, cercando, ove possibile, di fornire esempi pratici, tentando di dare un inquadramento logico e giuridico a tali fattispecie.

Poi si procederà alla disamina dei singoli casi enucleati analizzandone le verosimili conseguenze giuridiche.

Infine si trarranno le conclusioni del caso.

2. Cause di impossibilità temporanea dell’attività lavorativa

Le cause di sospensione dell’attività lavorativa, qualora siano dovute a fattori esterni, si concretano giuridicamente in un’impossibilità temporanea di eseguire la prestazione da parte del lavoratore.

Occorre ipotizzare alcune fattispecie di sospensione dell’attività lavorativa, a seconda che: A) l’impossibilità temporanea non sia imputabile (o viceversa sia imputabile) alle parti. B) che l’impossibilità sia connessa, o meno, a situazioni riferibili al lavoratore.

Un esempio calzante di impossibilità temporanea non imputabile alle parti è, di questi tempi, quello della sospensione dell’attività lavorativa a causa di un evento esterno alla stregua di un evento pandemico, come quello del COVID19. In tali casi, infatti, per fini generali di salute pubblica, l’autorità può disporre la chiusura/sospensione dell’attività di impresa.

Un ipotesi di impossibilità temporanea non imputabile alle parti, connessa ad una situazione riferibile al lavoratore, potrebbe essere quello del soggetto sottoposto a misura di restrizione della libertà, da cui consegue un’impossibilità di prestare l’attività lavorativa.

L’impossibilità del lavoratore potrebbe anche essere non totale, ma parziale, concretandosi in un’inidoneità temporanea. Si pensi al lavoratore che, per lo svolgimento di determinate mansioni, debba avere un determinato titolo o una determinata qualifica, e tale titolo e/o qualifica venga poi meno.

Un’esempio in tal senso è quello dell’lavoratore che effettui mansioni di autotrasportatore, cui venga revocata o sospesa, per causa a lui imputabile, la patente di guida ai sensi dell’art 218, 219 CDS (DECRETO LEGISLATIVO 30 aprile 1992 , n. 285) Oppure all’ipotesi del lavoratore che debba avere una determinata idoneità per una mansione, e tale idoneità, per cause esterne ed irresistibili, non imputabili ad alcuna delle parti, venga poi meno temporaneamente.

Passando ad analizzare le ipotesi di impossibilità temporanea imputabile al datore, un esempio potrebbe essere quello della sospensione dell’attività lavorativa su ordine dell’autorità per motivi di sicurezza o ordine pubblico. Si pensi, a titolo esemplificativo, all’ordinanza del prefetto ai sensi dell’articolo 100 del TULPS (REGIO DECRETO 18 giugno 1931, n. 773 )

Cercando di generalizzare ad una le fattispecie di cui sopra, possono trarsi i seguenti caratteri comuni nonché le seguenti differenze.

Come già detto, possiamo inquadrare le ipotesi di cui sopra come casi di impossibilità sopravvenuta temporanea della prestazione.

La prima ipotesi si concreta in un’impossibilità sopravvenuta temporanea non imputabile e nessuna delle parti contrattuali, ma dovuta a cause di forza maggiore.

La seconda ipotesi, infine, si concreta in un’impossibilità sopravvenuta temporanea, con la peculiarità che la stessa è dovuta a perdita di requisiti del lavoratore, che può essere, a seconda dei casi, o imputabile al prestatore di lavoro stesso o non imputabile a nessuna delle parti contrattuali. Inoltre essa può essere totale o parziale (concretandosi in tale ipotesi in una inidoneità alla mansione).

La terza ipotesi si concreta in un’impossibilità sopravvenuta temporanea imputabile al datore di lavoro.

Detto ciò, occorre analizzare le conseguenze giuridiche e le tutele che l’ordinamento appresta a tali ipotesi.

2.1. Impossibilità sopravvenuta temporanea dell’attività lavorativa non imputabile e nessuna delle due parti contrattuali

Occorre premettere, solitamente, che in tali casi, come l’esperienza ci insegna, il legislatore predispone degli ammortizzatori sociali “ad hoc per evitare la sospensione dell’attività lavorativa, e/o il suo scioglimento. Si pensi alla Cassa integrazione predisposta all’uopo per l’emergenza pandemica del coronavirus (l’art 19 del D.L. 18/2020 conv. In L. 27/2020 e confermato, salvo piccole modifiche, con D.L. 34/2020 e con D.L. 52/2020). Nel caso in cui manchino interventi mirati, si potrebbe ricorrere, qualora ne sussistano i presupposti (applicativi, oggettivi e temporali), all’’istituto della cassa integrazione “a regime”, ovvero quella di cui all’art. 10 ss. del D.lgs. 148/2015.

Qualora, tuttavia, manchino i presupposti per l’utilizzo di tale ammortizzatore sociale, si dovrà fare riferimento alle norme specifiche dettate in materia di rapporto di lavoro, e, qualora si rivelino insufficienti con riferimento all’inquadramento della fattispecie concreta, alle regole generali in materia di adempimento delle obbligazioni ed in materia contrattuale.

In tali casi, quindi, il datore di lavoro potrà procedere al licenziamento per giustificato motivo oggettivo, concretandosi l’ipotesi dell’impossibilità temporanea sopravvenuta della prestazione, (qualora non si abbia più interesse a conseguirla) in un’ipotesi riconducibile al dettato di cui all’articolo 5 della legge n. 604/66, che parla di “ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa.”

Qualora l’interprete non ritenga di sussumere l’ipotesi in esame nell’ambito di tale norma, si dovrà fare riferimento, come detto, alle regole in materia di obbligazioni e contratti.

A mente dell’articolo 1453 c.c. e dell’articolo 1256 c.c., quindi, la prestazione si estinguerà ed il rapporto contrattuale si risolverà per impossibilità sopravvenuta della prestazione anche qualora la stessa sia temporanea ma il creditore non abbia più interesse a conseguirla in ragione del titolo della prestazione o della natura dell’oggetto.

Giova ribadire che detta temporaneità deve essere temporalmente rilevante per giustificare il licenziamento o la risoluzione del contratto di lavoro, fino al punto da giustificare un recesso per mancanza di interesse del creditore. Qualora l’impossibilità temporanea sia non temporalmente rilevante, giova ribadirlo, essa semplicemente libera i contraenti (art 1256 c.c.) ma non giustifica la risoluzione del rapporto (art. 1453 c.c.).

Prima di procedere al licenziamento per G.M.O., il datore è tenuto, come statuito dalla giurisprudenza[1], ad un obbligo di c.d. “repechage, ovverosia ad un obbligo di adibire il lavoratore a mansioni differenti prima di procedere al licenziamento per G.M.O.

Anche volendo avallare la ricostruzione ermeneutica per cui non si rientra nell’ambito del G.M.O., ma nelle ordinarie regole contrattuali, a parere di chi scrive, si devono comunque applicare in maniera analogica le norme procedurali dettate in tema di licenziamento per G.M.O., nonché, per analogia, i principi giurisprudenziali elaborati per tali ipotesi di licenziamento, vista l’eadem ratio. (art. 12 preleggi).

Tuttavia, è bene puntualizzare l’ambito applicativo di tale obbligo sussiste, a parere di chi scrive, nell’ipotesi di soppressione del singolo posto lavorativo, mentre non si applica nell’ipotesi in cui il G.M.O. sia dettato da una soppressione generalizzata dei posti di lavoro[2] (potendo rientrare tali ipotesi, invero, qualora ne sussistano i presupposti, nelle procedure di licenziamento collettivo o di liquidazione dell’attività).

2.1.1. Impossibilità sopravvenuta dell’attività lavorativa – connesse a situazioni particolari del lavoratore – per causa non imputabile nessuna delle parti

Nell’ipotesi di impossibilità temporanea della prestazione, ricollegabile a vicende personali del lavoratore, qualora tale impossibilità non sia imputabile a nessuna delle parti, (un esempio concreto potrebbe essere un provvedimento restrittivo della libertà personale del lavoratore) sembra esularsi dall’ambito applicativo della CIGO, così come definito dall’ art. 11 del D.Lgs 148/2015. L’uso della CIGO, infatti, si riferisce a fattispecie connesse ad eventi della vita aziendale, non oggettivamente evitabili, e non ad eventi ricollegabili alla persona del singolo lavoratore.

In tali casi, alla luce della ricostruzione sopra fatta, la fattispecie sembra rientrare nell’ambito applicativo del licenziamento per g.m.o.  o comunquesia, come detto, alla risoluzione del rapporto di lavoro in base alle ordinarie regole contrattuali ex art 1453 c.c. e 1256 c.c.).

Nel caso sopra illustrato, non sembra sussistere, in capo al datore, un’obbligo di “repechage e di adibire il lavoratore a mansioni inferiori, posto che l’impossibilità temporanea, qualora sia assoluta, per definizione preclude in radice la possibilità di un reimpiego.

Discorso diverso deve farsi qualora l’impossibilità sia parziale, ancorché temporanea. In tali casi vi è una perdita dei requisiti in relazione alla mansione assegnata (c.d. inidoneità) e non una perdita tout cour della capacità lavorativa, ancorché temporanea.

Un esempio concreto di inidoneità temporanea alla mansione – che non si risolva in un’ipotesi di malattia – sembra alquanto difficile, ma la realtà, sovente, supera l’immaginazione.

Sebbene la giurisprudenza[3] si sia esplicitamente occupata dell’obbligo di ripescaggio solo nell’ipotesi di inidoneità sopravvenuta e definitiva del lavoratore alla prestazione lavorativa, a parere di chi scrive, nell’ipotesi di perdita temporanea di tali requisiti, dovrebbe sostenersi, a fortiori, un ricollocamento temporaneo del lavoratore, fino alla normale ripresa delle sue capacità per la mansione originaria.

Tuttavia qualora la perdita temporanea di tali requisiti coincida con un’ipotesi di malattia, restano ferme le norme dettate per tale specifica ipotesi, (prima tra tutte il periodo di comporto, art. 2110 c.c.).

2.2. Impossibilità sopravvenuta temporanea dell’attività lavorativa imputabile al datore di lavoro

In caso di impossibilità sopravvenuta temporanea imputabile al datore, facendo riferimento alle regole generali, ai sensi dell’articolo 1463 c.c. e 1218 c.c., la parte datoriale non è legittimata a risolvere il contratto, ed il debitore che non esegue correttamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno (nelle sue due forme di danno emergente e lucro cessante, ai sensi degli articoli 1223 c.c.).

Detto ciò, il datore deve garantire, quindi la retribuzione al dipendente (che si identifica con il lucro cessante) nonché il maggior danno dimostrabile dal lavoratore.

Detta ricostruzione, del resto, è coerente con l’oggetto e con il sinallagma del contratto di lavoro subordinato, il quale comporta che il lavoratore, con la stipula del contratto, mette a disposizione il proprio tempo e la propria professionalità, mentre il datore di lavoro che deve garantire la retribuzione per tale impegno al lavoratore. Da ciò ne consegue che se non c’è lavoro, per causa imputabile al datore, lo stesso sia comunque tenuto a remunerare l’impegno preso dal prestatore.

In tali casi, inoltre, non è possibile ricorrere all’istituto della cassa integrazione, dato che l’imputabilità al datore della impossibilità temporanea esclude l’accesso a tali misure (art.11 D.Lgs 148/2015)[4].

2.3. Impossibilità sopravvenuta dell’attività lavorativa per perdita dei requisiti del lavoratore per causa a lui imputabile

Qualora la perdita temporanea dei requisiti in esame sia dovuta ad un comportamento del lavoratore, applicando le ordinarie regole in materia di impossibilità sopravvenuta della prestazione, In base all’articolo 1453 c.c. ed all’art. 1256 c.c., la prestazione si estinguerà ed il rapporto contrattuale si risolverà per impossibilità sopravvenuta della prestazione qualora, (nonostante la temporaneità), il creditore non abbia più interesse a conseguirla in ragione del titolo della prestazione o della natura dell’oggetto.

In tali casi, sembra verosimile che il datore di lavoro non abbia un obbligo di procedere al “repehcage”, visto che la causa dell’impossibilità della prestazione è imputabile al prestatore di lavoro, essendo anzi lo stesso tenuto al risarcimento del danno. (art 1218 c.c.).

La fattispecie di cui sopra, può, a parere di chi scrive, essere ricondotta nel licenziamento per giustificato motivo soggettivo[5] (dovuta a notevole inadempimento degli obblighi contrattuali), il datore potrà, inotre, chiedere altresì il risarcimento del danno conseguente all’inadempimento.

Deve escludersi invece, tendenzialmente (salvo valutare poi la gravità caso per caso) che la soluzione sarebbe quella di licenziare il lavoratore per giustificata causa dato che l’inadempimento del debitore, in tali casi, non ha matrice disciplinare e non è tale da ledere il vincolo fiduciario in maniera così grave da giustificare il licenziamento senza preavviso (richiesto per la giusta causa ai sensi dell’articolo 2119 c.c.).

Volendo fare un esempio concreto di impossibilità sopravvenuta dell’attività lavorativa per causa imputabile al prestatore di lavoro, si pensi all’ipotesi (già sopraindicata) in cui un autotrasportatore veda per sua colpa revocata o sospesa la patente di guida.

3. Conclusioni

In conclusione, nelle varie ipotesi di impossibilità sopravvenuta temporanea della prestazione lavorativa, la disciplina generale in materia di obbligazioni e contratti va coordinata di volta in volta con le norme specifiche dettate in tema di rapporto di lavoro.

Tendenzialmente, si può tracciare un’indicativa sistematizzazione in relazione all’imputabilità dell’impossibilita sopravvenuta temporanea nel senso che segue.

Qualora l’impossibilità sopravvenuta temporanea dell’attività lavorativa non sia imputabile e nessuna delle due parti contrattuali, ove non vi siano i presupposti per l’utilizzo di ammortizzatori sociali, il datore di lavoro, qualora non abbia interesse al mantenimento dell’attività lavorativa, previo obbligo di ripescaggio (qualora ne sussistano i presupposti delineati dalla giurisprudenza) può procedere al licenziamento per G.M.O.  o al recesso in base alle generali normi in materia di obbligazioni e contratti.

Discorso in parte diverso deve farsi ove l’impossibilità (totale) di svolgere la prestazione sia connessa ad una situazione personale del lavoratore per causa a lui non imputabile. In tali casi, non sembrano sussistere i presupposti per l’utilizzo di ammortizzatori sociali, né tanto meno un’obbligo per il datore di ripescaggio. Questi, pertanto, potrà procedere al licenziamento per g.m.o.

Ove il lavoratore sia impossibilitato di svolgere la prestazione parzialmente (c.d. inidoneità) si può ragionevolmente sostenere che vi sia un obbligo a carico del datore, ove ne sussistano i presupposti, di ricollocarlo in una mansione diversa da quella originaria (alla stregua di un ripescaggio), sino al riacquisto dell’idoneità totale a svolgere la mansione originaria.

Qualora l’impossibilità sopravvenuta temporanea sia imputabile al datore di lavoro, quest’ultimo deve garantire la retribuzione del dipendente, nonché risarcire l’eventuale danno causato al lavoratore, ove ne sussistano i presupposti.

Qualora l’impossibilità sopravvenuta temporanea sia imputabile al lavoratore, qualora non vi siano i presupposti per l’utilizzo di ammortizzatori sociali, il datore di lavoro, può procedere al licenziamento per G.M.S.. In tali casi, vista l’imputabilità dell’inadempimento in capo al lavoratore, si dovrebbe rientrare nell’ambito del “notevole inadempimento contrattuale” di cui all’art 5 della legge 604/1966. Il datore di lavoro potrebbe altresì, in aggiunta, chiedere il risarcimento danni conseguente all’inadempimento.

 

 


[1] L’istituto è di origine pretoria. La Corte di cassazione afferma infatti che l’onere della prova gravante sul datore di lavoro ai sensi dell’art. 5 della legge n. 604/66 relativamente alla esistenza di un giustificato motivo oggettivo di licenziamento si estende altresì alla dimostrazione di non poter ragionevolmente (senza che ciò comporti rilevanti modifiche organizzative comportanti ampliamenti di organico o innovazioni strutturali: Cass. 7 gennaio 05 n. 239;Cass. 30 agosto 00 n. 11427) utilizzare il dipendente interessato in altre mansioni equivalenti o, in mancanza, anche in mansioni deteriori, col limite del rispetto della dignità del lavoratore ( Cass. 19/8/04 n. 16305).
[2] Quando il licenziamento per giustificato motivo oggettivo si identifica nella generica esigenza di riduzione di un personale omogeneo e fungibile, non soccorre più il normale criterio costituito dalla “posizione lavorativa” da sopprimere in quanto non più necessaria e, tantomeno, soccorre il criterio della impossibilità di “repêchage”, in quanto tutte le posizioni lavorative sono equivalenti e tutti i lavoratori sono quindi potenzialmente licenziabili: si tratta di un caso, in definitiva, in cui il nesso di causalità si configura non tra il motivo e la soppressione di un determinato posto di lavoro, ma tra il motivo e la soppressione dell’uno o dell’altro, indifferentemente, tra più posti di lavoro (App. Venezia, 31 ottobre 2012). In questo caso si richiede, ai fini della legittimità del recesso, il rispetto delle regole di correttezza e buona fede ex art. 1175 c.c. (Cass., 28 marzo 2011, n. 7046).
[3] Cassazione 05 agosto 2000 n. 10339 “in caso di impossibilità sopravvenuta parziale allo svolgimento della prestazione, sussiste il diritto del lavoratore ad essere assegnato a mansioni diverse ed equivalenti (sempreché sussistenti in azienda) ed anche inferiori, dietro manifestazione di consenso del lavoratore alla dequalificazione finalizzata alla salvaguardia del superiore interesse all’occupazione, per le cui richieste al datore di lavoro il lavoratore deve attivarsi precisando le residue attitudini professionali tali da rendergli possibile una diversa collocazione in azienda (nella fattispecie è stato anche ritenuto che il lavoratore certificato inidoneo alla mansione di operatore unico aeroportuale – caratterizzata intrinsecamente dall’attività di carico e scarico bagagli e zavorra – non può pretendere di permanere nella stessa mansione venendo esonerato dal compito principale e gravoso del carico e scarico, eliminabile eventualmente non già con mezzi e strumenti in dotazione dell’azienda ma con l’acquisto di mezzi ad hoc offerti dalle nuove tecnologie, non essendo configurabile un obbligo dell’imprenditore di adottarli per porsi in condizione di cooperare all’accettazione della prestazione lavorativa di soggetti affetti da infermità, che vada oltre il dovere di garantire la sicurezza imposta dal decreto legislativo sulla sicurezza del lavoro”
[4] Detto articolo che indica le causali per le quali si può accedere alla cassa integrazione ordinaria, così dispone: “Ai dipendenti delle imprese indicate all’articolo 10, che  siano sospesi dal lavoro  o  effettuino  prestazioni  di  lavoro  a  orario ridotto  e’ corrisposta  l’integrazione  salariale   ordinaria   nei seguenti casi: a) situazioni  aziendali  dovute  a  eventi  transitori  e   non imputabili  all’impresa  o  ai  dipendenti,  incluse  le   intemperie stagionali; b) situazioni temporanee di mercato.”
[5] Art. 5 L. 604/66.

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