L’imprenditore agricolo nell’ordinamento giuridico italiano

L’imprenditore agricolo nell’ordinamento giuridico italiano

Introduzione all’imprenditore agricolo. Gli imprenditori, ossia “coloro che esercitano professionalmente un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o servizi” possono essere giuridicamente classificati sulla base dell’attività da essi esercitata. Si distinguono pertanto l’imprenditore commerciale, l’imprenditore civile e l’imprenditore agricolo. E proprio sulla disciplina di quest’ultimo il presente articolo intende soffermarsi.

Prima di procedere con l’analisi della normativa rilevante, si premetta una considerazione importante, la ratio legis alla base della disciplina: la nozione civilistica di imprenditore agricolo ha rilievo essenzialmente negativo e la sua funzione è quella di restringere l’ambito di applicazione della più rigorosa disciplina dell’imprenditore commerciale. L’imprenditore agricolo è invero soggetto alla disciplina prevista per l’imprenditore in generale, ma è esonerato dalla tenuta delle scritture contabili e non è sottoposto al fallimento ed alle altre procedure concorsuali tipiche dell’imprenditore commerciale (con la sola eccezione degli accordi di ristrutturazione dei debiti)[1]. Se l’imprenditore agricolo era inoltre originariamente altresì esonerato dall’obbligo d’iscrizione nel registro delle imprese, tale iscrizione è stata invece introdotta nel 1993 con funzione di pubblicità notizia ed ha assunto a partire dal 2001 valore di pubblicità legale, con totale equiparazione sotto questo profilo all’imprenditore commerciale.

La disciplina dell’imprenditore agricolo. La norma di riferimento è l’art. 2135 c.c., che qui riporto testualmente:

“È imprenditore agricolo chi esercita una delle seguenti attività: coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali e attività connesse.

Per coltivazione del fondo, per selvicoltura e per allevamento di animali si intendono le attività dirette alla cura ed allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso, di carattere vegetale o animale, che utilizzano o possono utilizzare il fondo, il bosco o le acque dolci, salmastre o marine.

Si intendono comunque connesse le attività, esercitate dal medesimo imprenditore agricolo, dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall’allevamento di animali, nonché le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l’utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell’azienda normalmente impiegate nell’attività agricola esercitata, ivi comprese le attività di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale, ovvero di ricezione ed ospitalità come definite dalla legge”.

Come si evince chiaramente dalla lettura della norma, le attività agricole possono essere distinte in due grandi categorie: da un lato, le attività agricole essenziali, dall’altro le attività agricole per connessione.

Attività agricole essenziali. Si definiscono attività agricole essenziali le attività destinate alla coltivazione del fondo, alla selvicoltura, all’allevamento di animali. Attività che, nella loro eterogeneità, presentano tuttavia un dato comune che le identifica: l’essere dirette alla cura e allo sviluppo di un ciclo biologico naturale o di una fase necessaria del ciclo stesso. Presentano, a seconda della loro natura intrinseca, carattere vegetale od animale, ma a contraddistinguerle è l’utilizzo effettivo o potenziale del fondo, del bosco, delle acque dolci, salmastre o marine.

Coltivazione del fondo. La più frequente tra le attività agricole è la coltivazione del fondo, con tale intendendosi l’attività rivolta allo sfruttamento delle energie naturali della terra. In altri termini, essa, a seguito del d. lgs. 228/2001, (che ha esteso il novero delle attività agricole ridisegnando completamente l’originaria struttura codicistica del 1942) non deve essere più considerata come la sola attività svolta nel campo: si tratta invece di coltivazione, o meglio, di cura delle piante nel loro ciclo biologico, intero od in una fase dello stesso.

Per aversi validamente coltivazione del fondo, sono tuttavia necessarie alcune condizioni: l’esistenza di un’attività umana definibile come attività di produzione di beni, ragione per cui non è sufficiente l’attività che si limiti alla semplice raccolta di frutti; la presenza di un fondo inteso come fattore produttivo e non come mero mezzo atto alla conservazione della piante.

Non sono tuttavia specificate particolari rilevanze in merito alle modalità organizzative e tecniche con le quali il fondo è coltivato.

Selvicoltura. Per selvicoltura s’intende l’attività di cura dei boschi, un’attività di cruciale importanza per la produzione di legname nonché per la funzione di stabilizzazione dei versanti e di conseguente prevenzione del dissesto idrogeologico. Affinché si possa validamente ritenere tale, la selvicoltura non può e non deve risolversi in una semplice attività di estrazione di risorse, ma deve, al contrario, avvalersi di una complessa attività di coltivazione basata su tecniche scientifiche finalizzate alla rinnovazione del bosco dopo il taglio di utilizzazione e su principi fondamentali sanciti in disposizioni regionali.

Allevamento di animali. Per allevamento di animali s’intende la cura di almeno una fase biologica dell’animale: tradizionalmente, la nascita, la crescita e la riproduzione dello stesso. Ne consegue pertanto che non potrà essere definito imprenditore agricolo colui che si limiti a nutrire animali per un arco di tempo limitato al solo scopo di rivenderli.

L’attuale formulazione della norma, modificata dal già citato d. lgs. 228/2001, non contempera più l’utilizzo del termine “bestiame”, con ciò segnando l’abbandono del principio in virtù del quale, ai fini della qualificazione di “agricolo”, l’allevamento di animali non dovesse essere disgiunto dallo sfruttamento della terra e delle sue risorse. L’immediata conseguenza è stato al riguardo un allargamento concettuale, ai fini della qualifica di impresa agricola, dell’attività di allevamento di animali, comprendente altresì, a titolo d’esempio, le attività di apicoltura e di avicoltura e gli allevamenti di animali da pelliccia.

Inoltre, a partire dal 2001, è stata riconosciuta a tutti gli effetti come impresa agricola anche l’acquacoltura, ossia l’allevamento di fauna in acqua dolce o salata[2].

Attività agricole connesse. Come si evince dalla lettera dell’art. 2135 c.c., si definisce agricolo anche l’imprenditore che eserciti attività agricole connesse, con tali intendendosi due tipologie di attività: le attività rivolte alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione di prodotti che siano ottenuti in prevalenza dalle attività agricole principali, ossia dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall’allevamento di animali; le attività dirette alla fornitura di beni o di servizi tramite l’utilizzo prevalente di attrezzature o di risorse dell’azienda comunemente impiegate nell’attività agricola esercitata, incluse le attività di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale e le attività di ricezione e di ospitalità.

A tal proposito, è necessario che la connessione, ossia il legame di relazione ed interdipendenza, operi sotto un duplice profilo: sul piano soggettivo e sul piano oggettivo.

Se il profilo soggettivo richiede una corrispondenza di identità tra il soggetto che esercita l’attività agricola principale ed il soggetto che esercita invece l’attività agricola per connessione, sul piano oggettivo occorre che sia rispettata la connessione prevista dal legislatore. In particolare:

– nel caso di attività di manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione, i prodotti devono derivare in prevalenza dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall’allevamento di animali;

– nel caso di attività dirette alla fornitura dei beni o dei servizi, è necessario l’impiego prevalente di attrezzature o di risorse dell’azienda normalmente utilizzate nell’attività agricola esercitata.

Criterio rilevante è dunque quello della prevalenza, in virtù del quale le attività agricole connesse devono essere, quantitativamente parlando, d’uso inferiore rispetto all’attività principale.

Esempio per eccellenza di attività agricola per connessione è l’impresa agrituristica, nell’ambito della quale i prodotti offerti e trasformati devono essere per la maggior parte propri e gli ospiti da accomodare in camera non possono superare l’ammontare di dieci.

 

 

 

 

 


Bibliografia
G.F. Campobasso, Diritto Commerciale vol.1, Utet Giuridica, 2013.
Galgano, Il diritto commerciale in 25 lezioni, Giuffrè, Milano, 2007.

[1] L’imprenditore agricolo può tuttavia accedere alle procedure concorsuali da sovraindebitamento dei soggetti non fallibili.
[2] G.F. Campobasso, Diritto Commerciale vol.1, Utet Giuridica, 2013, p. 51.

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Elena Wang

Dopo aver conseguito con lode il diploma di maturità linguistica nel 2017, Elena Wang si è iscritta alla facoltà di Giurisprudenza presso l'Università Bocconi di Milano, di cui ora frequenta il IV anno. Da settembre a dicembre 2020 è stata Visiting Student presso l'University of St.Gallen in Svizzera. I suoi interessi accademici si concentrano sul diritto societario, nazionale e comparato, e sulla relativa dimensione civilistica. Animata da un forte desiderio di affiancare alle ore di studio nuove esperienze di vita, sta attualmente svolgendo attività d'assistenza legale pro bono a nuove start up, è coinvolta nel Board Direttivo di numerose associazioni studentesche, scrive per diverse riviste giuridiche online, svolge attività di volontariato con ragazzi delle scuole secondarie. Oltre al diritto, nutre una forte passione per la letteratura.

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