L’interpretazione delle norme: lacune giuridiche e retorica

L’interpretazione delle norme: lacune giuridiche e retorica

Interpretare una norma significa tentare di capirne l’esatto significato. Secondo Voltaire interpretare una legge equivale quasi sempre a corromperla perché spinge il giudice al di là del legislatore. In altre parole, il giudice interprete sovvertirebbe e corromperebbe.1

Per Amato il giudice non deve interpretare la legge ma i fatti perché, mentre interpretando la legge ci si scontra con il potere e con la politica, interpretando i fatti bisogna fare i conti semplicemente con le parti.2 Una delle problematiche che riguarda l’interpretazione è sicuramente quello delle lacune ossia degli spazi vuoti lasciati nell’ordinamento.

Nel diritto penale e anche in quello tributario prevale la tesi del c.d. “legalismo giuridico”3 che ritroviamo nell’art.1 del c.p. secondo cui: “Nessuno può essere punito per un fatto che non sia espressamente preveduto come reato dalla legge, né con pene che non siano da essa stabilite”.

In altre parole la norma enuncia il principio del “nullum crimen, nullum poena sine lege” che ritroviamo anche nell’art. 25 della nostra Costituzione: “Nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge. Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso. Nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza se non nei casi previsti dalla legge”.

Stesso principio enunciato nell’art. 14 delle preleggi: “Le leggi penali e quelle che fanno eccezione a regole generali o ad altre leggi, non si applicano oltre i casi e i tempi in esse considerati” Ciò che non è previsto è consentito, se manca un divieto è prevista una libertà.

Nel diritto   civile,    invece,   in    caso   di    lacune   all’interno dell’ordinamento giuridico, si applica – di norma – l’articolo 12 delle preleggi: “Nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore. Se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione, si ha riguardo alle disposizioni che  regolano casi simili o materie analoghe; se il caso rimane ancora dubbio, si decide secondo i principi generali dell’ordinamento giuridico dello Stato.”

All’atto pratico, il processo dell’interpretazione, cela moltissimi problemi, specialmente quando le parole sono oggettivamente ambigue.

L’ambiguità può essere intesa:

in senso dinamico: ad esempio “il senso di reputazione” è molto soggettivo e inoltre cambia a seconda del periodo storico di riferimento.

– in senso statico: ad esempio l’ordine pubblico, il concetto di equità o la diligenza sono tutti molto vaghi e, nonostante si debba guardare al contesto, a volte non basta4

Il lavoro dell’interprete è dunque continuo: dall’interno verso l’esterno. In altre parole passa dalla norma al caso di specie e viceversa.5

Un altro problema è l’utilizzo, nella vita di tutti i giorni, di parole “ad absurdumo esortazioni; parlare di “amore per la patria” non è certo come parlare dell’amore nei confronti dei figli. Bisogna sempre pensare agli elementi esterni come le circostanze che vanno valutate di caso in caso.6

Il contesto: parlare di concetti come la “maggiore età” non è uguale in tutti i casi. Ad esempio in Egitto si è considerati maggiorenni all’età di 21 anni.7

Problemi legati alla non perfetta padronanza della lingua italiana da parte del legislatore o dell’interprete.8

Compromessi politici nella scelta delle Leggi. 9

Problemi legati all’interpretazione degli articoli sull’interpretazione. Ad esempio, analizzando l’articolo 14 delle preleggi, possiamo notare come non è facile stabilire il nesso tra l’interpretazione letterale e quella soggettiva perché una cosa è la parola detta e un’altra la parola pensata. Un po’ come la differenza tra anima e corpo di Socrate.10

Oltre alle interpretazioni previste dalle preleggi ce ne possono essere altre come ad esempio: l’interpretazione fondamentale (che si snoda in due rami ovvero quella fondamentale teleologica e fondamentale concettuale11); l’interpretazione storica; l’argomento a simili o l’argomento a contrario ecc.12

Il problema forse più difficile da risolvere è quello di capire quale interpretazione utilizzare di caso in caso. Noi sappiamo semplicemente che esiste una priorità dell’interpretazione letterale sulle altre ma non significa che questo tipo di interpretazione abbia un primato giuridico.

La conclusione e la risposta e tutti questi interrogativi, è che non esiste una logica nelle soluzioni. Infatti bisogna tenere in considerazione molti fattori come ad esempio:

– il motivo soggettivo del legislatore: quali erano le intenzioni del legislatore che ha emanato la norma x in un determinato periodo storico e quali sono quelle del legislatore vigente. Inoltre, cosa si intende per legislatore? Il Parlamento? O la maggioranza parlamentare? Insomma è un quesito che non può trovare risposta;13

– gli effetti reali di una norma: anche questo è impossibile capirlo perché esistono norme scritte ad hoc per risolvere determinati conflitti sociali di un determinato periodo storico;14

– gli effetti ideali di una norma: bisogna tenere in considerazione che magari tali effetti siano stati viziati da scelte politiche o da interessi di lobby a titolo esemplificativo.15

In definitiva possiamo affermare come non esista alcun criterio oggettivo, la decisione è semplicemente una decisione politica: ecco perché appunto il diritto è sempre retorica ed esso è inevitabile.

Da qui deriva il principio secondo cui la parola di un servo vale quanto la parola del padrone e l’eventuale colpa del servo va accertata esattamente come quella del padrone. In sostanza si pongono le basi per il principio del libero convincimento del giudice. Tale principio parte dal presupposto che il giudice è sapiente in quanto scettico e sotto questa ottica sembrerebbe quasi che i poteri del giudice siano illimitati, in realtà tale libero convincimento è limitato dal c.d. principio B.A.R.D. (beyond any reasonable doubt) ovvero il principio dell’oltre ogni ragionevole dubbio.

Se l’uomo si assume la responsabilità di giudicare deve accettare la possibilità dell’errore e l’irrimediabilità del dubbio. Il giudice e il sistema giuridico in generale sono fallibili.16

Questo però non deve spaventare, d’altronde non esistono scelte che non comportino dei rischi.

Infatti, guardare in faccia la realtà e pensare che l’uomo ed il sistema siano fallibili ha dei punti di forza. Da questi limiti nascono delle garanzie che sono imprescindibili se guardiamo al sistema giuridico così come lo conosciamo oggi. Ad esempio: la presunzione di non colpevolezza per la quale l’imputato è considerato innocente fino a prova contraria; il principio del favor rei; la facoltà di non rispondere per l’imputato; l’obbligo della motivazione nelle sentenze; il principio del ne bis in idem ovvero che non ci possono essere due decisioni da parte di due giudici diversi sulla stessa causa e da qui tutti i problemi interpretativi che derivano dalle norme sulla giurisdizione, competenza, litispendenza, litisconsorzio e connessione di cause.

Accettiamo questi principi per i valori che esprimono, per il rispetto simbolico della dignità umana non per la certezza dei risultati.17

Non si può avere la presunzione di dire che, ad esempio, condannare l’80% dei colpevoli e l’1,2% degli innocenti sia meglio o peggio di quando si condanna il 90% dei colpevoli e magari il 3% degli innocenti.18

Nell’accettazione del dubbio non si celebra il trionfo della irrazionalità ma l’accettazione dei limiti della natura umana.19

La scienza sta facendo passi da gigante e ipoteticamente una delle soluzioni al problema della fallibilità dell’uomo e del sistema giuridico potrebbe essere quello di affidarsi al campo delle neuroscienze. Una pluralità di tecnologie che convergono verso l’evoluzione dello studio del cervello che guardano alle reazioni biochimiche dello stesso in relazione ai fattori esterni in grado quindi di rilevare, in campo processuale, se il fatto che l’imputato stia raccontando sia vero o meno.

In realtà, le applicazioni processuali di queste tecnologie sono estremamente ridotte; negli Stati Uniti si è provato ad utilizzarle già negli anni 90 e in Italia all’inizio del nuovo millennio con il solo scopo di ottenere riduzioni di pena e mai come fattore decisivo per una sentenza di assoluzione o di condanna.

Il rischio più grande nell’utilizzazione di queste tecnologie è quello che il processo possa scivolare in un sistema inquisitorio, di essere giudicati solo come un ammasso di neuroni e a quel punto non avrebbe più senso tutelare l’integrità personale degli uomini. Tutto questo porterebbe a limitare il libero convincimento del soggetto, non saremmo più padroni dei nostri pensieri: un “ammasso di neuroni” non può essere giudicato, al massimo studiato. Ne andrebbe della nostra libertà. Amato quindi conclude escludendo tassativamente questa ipotesi e arriva alla conclusione che sia meglio restare fallibili.20

Il giudice deve cercare, per quanto possibile, di non cadere nel difetto di imparzialità commettendo un errore. Bacone nella sua teoria ci elenca quali sono le cause che portano in errore il giudice e tra le più importanti troviamo:

– “L’idola tribus”: errori che che discendono dalla sensibilità umana come ad esempio farsi ammaliare dalla bellezza di una donna.

– “L’idola specus”: errori che discendono dai nostri pregiudizi. Il nostro mondo reale è fatto di credenze personali derivanti dal nostro inconscio.

– “L’idola fori”: errori che discendono dalle “credenze di piazza” popolari oggi paragonabili alle d. fake news.21

L’arte di ragionare consiste nel cercare l’imparzialità capendo quali sono le possibili congetture aprendosi alla conoscenza scientifica e formulare dubbi logici. Bisogna inoltre saper distinguere i dubbi ragionevoli da quelli irragionevoli facendo a volte dei veri e propri esercizi per allenarsi all’imparzialità come quello di partire dall’ipotesi di partenza per valutare gli elementi opposti uscendo dalla c.d. visione a tunnel che richiamano i bies: distorsioni cognitive che ci portano a scegliere l’ipotesi più sicura facendo venir meno le altre (inconsciamente non si cercano elementi contrari o dubbi sull’ipotesi ma solo conferme su quella che siamo convinti essere la verità).22

Bisogna partire dalla premessa maggiore ossia la massima d’esperienza per poi arrivare alla premessa minore ovvero l’elemento indiziario per poi formulare una conclusione sulla base degli indizi che devono sempre essere gravi, ossia che resistano alle obiezioni; precise, evitando cioè generalizzazioni e concordanti ovvero univoche.

Si può inoltre applicare il metodo della falsificazione cercando di confutare le tesi mettendo in dubbio le proprie ipotesi e il metodo corroborazionista trovando gli elementi che confermano la propria tesi.23

A questo punto nonostante il giudice sia giunto a indizi, e quindi prove sufficienti e non contraddittorie, non è detto che non esistano più dubbi sulla decisione finale. Infatti torneremmo indietro e faremmo l’errore di pensare che l’uomo sia onnipotente e inoltre non sapremmo trovare giustificazione ad attività fondamentali nel nostro ordinamento come revisione e controllo. Anche qui la cosa logica da fare è quella di guardare alla totalità dei dubbi ragionevoli che riguarda il vaglio dialettico di quel determinato e specifico processo.24 Infatti Wittgenstein sostiene che “Il dubbio che esce fuori dal sistema sprofonda nell’insensatezza del dubbio stesso”.25

Aristotele dice che non tutti i dubbi sono risolvibili con la dialettica, essa va bene quando gli interlocutori hanno una base comune di conoscenza, prassi ed esperienze condivise. In altre parole gli endoxa: opinioni diffuse e condivise che promanano da fonti autorevoli. Tramite questi endoxa il discorso diventa di “senso comune”.26 Tuttavia i giuristi sanno bene che esistono due tipi di verità:

– la verità storica: irripetibile perché accade una volta sola;

– la verità processuale, che cerca per quanto possibile di ricostruire la verità storica che per forza di cose ha solamente le caratteristiche della verosimiglianza e approsimazione27

L’uomo della strada fonda il suo giudizio sulla fiducia nelle istituzioni e per lui la giustizia equivale alla verità. In realtà la giustizia attiene al campo delle decisioni e la verità al campo delle conoscenze che si dimostra nei laboratori scientifici e non nelle aule di tribunale.

La verità che noi vediamo è quella che dipende da ciò che percepiamo mediante i sensi e le nostre esperienze di vita.

Quello che l’uomo deve fare in definita, secondo Montanari, è avere fiducia nelle istituzioni e accettare le sentenze e quindi, in generale, affidarsi alla credenza nella legalità.

Per concludere possiamo affermare “che l’unico giudizio vero, giusto che non falla, è soltanto nelle mani di Dio.”28

La decisione del giudice non può che considerarsi “un surrogato di verità”.29

 

 

 

 

 


1Antonio Incampo e Adolfo Scalfati, Giudizio penale e ragionevole dubbio, Cacucci, Bari 2017. Saggio di Amato Salvatore: “ Chi sa riconoscere l’errore? Il problema delle neuroscienze”. Da pag. 13.
2 Ibidem.
3 Antonio Incampo, Metafisica del processo. Idee per una critica della ragione giuridica, Cacucci editore Bari 2016 . Capitolo 3: La retorica a proposito del problema delle lacune, da pag. 113.
4Ibidem.
5Antonio Incampo, Metafisica del processo. Idee per una critica della ragione giuridica, Cacucci editore Bari 2016 . Capitolo 3: La retorica a proposito del problema delle lacune, da pag. 113.
6 Ibidem.
7 Antonio Incampo, Metafisica del processo. Idee per una critica della ragione giuridica, Cacucci editore Bari 2016 . Capitolo 3: La retorica a proposito del problema delle lacune, da pag. 113.18 Ibidem.
8 Ibidem.
9 Ibidem in particolare quando parla delle categorie degli “idola” individuate da Baccone.
10 Ibidem.
11 Quella fondamentale teleologica va ad individuare lo “scopo” di una norma mentre quella fondamentale concettuale individua la “categoria di riferimento”. Di qui si aprono altri scenari e altre problematiche, ad esempio quando va utilizzata una e quando l’altra?
12 Antonio Incampo, Metafisica del processo. Idee per una critica della ragione giuridica, Cacucci editore Bari 2016 . Capitolo 3: La retorica a proposito del problema delle lacune, da pag. 113.23 Quella fondamentale teleologica va ad individuare lo “scopo” di una norma mentre quella fondamentale concettuale individua la “categoria di riferimento”. Di qui si aprono altri scenari e altre problematiche, ad esempio quando va utilizzata una e quando l’altra?
13 Ibidem.
14 Antonio Incampo, Metafisica del processo. Idee per una critica della ragione giuridica, Cacucci editore Bari 2016 . Capitolo 3: La retorica a proposito del problema delle lacune, da pag. 113.
15 Ibidem.
16 Antonio Incampo e Adolfo Scalfati, Giudizio penale e ragionevole dubbio, Cacucci, Bari 2017. Saggio di Amato Salvatore: “ Chi sa riconoscere l’errore? Il problema delle neuroscienze”, da pag. 13.
17 Antonio Incampo e Adolfo Scalfati, Giudizio penale e ragionevole dubbio, Cacucci, Bari 2017. Saggio di Amato Salvatore: “ Chi sa riconoscere l’errore? Il problema delle neuroscienze”, da pag. 13.
18 Ibidem.
19 Ibidem.
20 Antonio Incampo e Adolfo Scalfati, Giudizio penale e ragionevole dubbio, Cacucci, Bari 2017. Saggio di Amato Salvatore: “ Chi sa riconoscere l’errore? Il problema delle neuroscienze”, da pag. 113.
21 Antonio Incampo e Adolfo Scalfati, Giudizio penale e ragionevole dubbio, Cacucci, Bari 2017. Saggio di Costanzo Angelo: “L’errore giudiziario come difetto di imparzialità”, da pag. 35.
22 Ibidem.
23 Antonio Incampo e Adolfo Scalfati, Giudizio penale e ragionevole dubbio, Cacucci, Bari 2017. Saggio di Amato Salvatore: “ Chi sa riconoscere l’errore? Il problema delle neuroscienze”, da pag 13.
24 Antonio Incampo e Adolfo Scalfati, Giudizio penale e ragionevole dubbio, Cacucci, Bari 2017. Saggio di Fuselli Stefano: “al di là di ogni ragionevole dubbio: profili logici ed epistemologici”, da pag. 49.
25 Ibidem.
26 Ibidem.
27 Antonio Incampo e Adolfo Scalfati, Giudizio penale e ragionevole dubbio, Cacucci, Bari 2017. Saggio di Montanari Bruno: “Il dubbio, schermo per una fictio necessaria: la Verità”, da pag. 79.
28 Cit. Francesco Carnelutti.
29 Antonio Incampo e Adolfo Scalfati, Giudizio penale e ragionevole dubbio, Cacucci, Bari 2017. Saggio di Colamussi Marilena: Oltre ogni ragionevole dubbio: il principio e la costituzione”, da pag 173.

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