Lo status di imputato come condizione ex lege impeditiva per il reclutamento nelle forze armate

Lo status di imputato come condizione ex lege impeditiva per il reclutamento nelle forze armate

Nei bandi di ammissione ai concorsi pubblici viene richiesto ai candidati di completare la propria domanda di partecipazione dando atto (con apposita dichiarazione sostitutiva di certificazione) dell’esistenza di eventuali propri procedimenti penali in corso, dei carichi pendenti e delle condanne riportate.

La ratio di simili condizioni sta nell’escludere dalla partecipazione alla selezione pubblica tutti quei candidati che abbiano riportato delle condanne per le quali la legge, o il bando stesso, ne impedisce l’assunzione o l’impiego alle dipendenze della pubblica amministrazione, in memoria di quelle motivazioni che fino a qualche decennio fa qualificavano le c.d. ragioni di “buona condotta”.

Sicuramente vi è da farsi la differenza tra la situazione di un candidato che abbia riportato una condanna in via definitiva rispetto a chi, momentaneamente, rivesta le vesti di semplice indagato, di imputato, o, al limite, di condannato in via provvisoria, giacchè pendente giudizio di impugnazione.

Negli ultimi anni, la giurisprudenza amministrativa è stata chiamata a vagliare la legittimità dell’esclusione dei candidati dai concorsi pubblici, in conseguenza della perdita di una delle condizioni di ammissibilità, previste dal bando di concorso per la presentazione della domanda, durante lo svolgimento della procedura stessa.

Si riporta un recentissimo intervento del Consiglio di Stato, Sez. IV, 14 febbraio 2017, n.629“Ai sensi dell’art. 638 d.lgs. 66/2010, i requisiti necessari per il reclutamento (salvo alcune eccezioni non ricorrenti nella specie) debbono essere posseduti dall’aspirante Militare per tutta la durata della procedura selettiva propedeutica all’incorporazione, senza soluzione di continuità (cfr. Cons. St., Sez. IV, n. 261 del 2017, relativa a reclutamento di personale militare; sez. VI, n. 3642 del 2010 relativa a reclutamento di VV.FF.)”.

Nella pronuncia in commento, l’appellante si doleva di essere stata esclusa dal concorso per il reclutamento di 1548 allievi effettivi in ferma quadriennale, indetto nel 2011, per la carenza del requisito di cui all’art. 2, lett. h), del bando predetto, parimenti impugnato ed, in secondo luogo, di essere collocata in congedo illimitato, in conseguenza dell’essere stata destinataria di decreto penale di condanna, per il reato di falsità ideologica del privato in atto pubblico, consistente “nell’aver attestato falsamente, nella domanda di arruolamento volontario in ferma prefissata di un anno nella Marina Militare, di aver conseguito diploma di istruzione secondaria di primo grado con valutazione “distinto” invece dell’effettivo “buono”.”

Nel confermare l’esito del giudizio di primo grado, e respingere l’appello, il Consiglio di Stato eccepiva come all’interno del bando venisse richiesto, esplicitamente, non solo che il candidato non avesse riportato condanne penali per delitti non colposi, ma anche che l’aspirante non rivestisse la qualità di imputato per delitto non colposo;

L’assenza della qualità di imputato, infatti, è un requisito imposto ex lege (art. 4, comma 1, lett. e] della l. 226/2004, poi trasfuso nell’art. 635, comma 1, lett. g] del d.lgs. 66/2010), cui consegue, in difetto dello stesso, il vincolo per la P.A. nell’emanazione del provvedimento di decadenza, la conseguente collocazione della ricorrente in congedo illimitato, nonchè la esclusione dal predetto concorso.

Già all’esito del giudizio di primo grado, il TAR Capitolino (TAR Lazio, Sez. I Bis, 27/08/15 n.10943) aveva sostenuto che si trattasse di un principio di ordine generale applicabile a tutte le procedure selettive così come evinto dall’affine materia dei requisiti di partecipazione a gare d’appalto, nonchè dai plurimi arresti dell’Adunanza plenaria e della Corte del Lussemburgo (Ad. plen., nn. 8/2015, 5/2016, 6/2016 e 10/2016, nonché Corte Giustizia UE, sez. IX, 10 novembre 2016, Ciclat); inoltre, l’aver assunto la qualità di imputato per delitti non colposi è sempre stata una condizione ex lege impeditiva del reclutamento nelle Forze Armate, a prescindere dalla conoscenza che ne avesse il candidato (art. 635 d.lgs. 66/2010 e, in precedenza, art. 4, comma 1, lett. e] ed art. 11 l. 226/2004).

La ricorrente, nell’articolare la propria difesa, esponeva la presunta violazione, nonchè falsa applicazione, degli artt. 60 e 461 c.p.p, art. 27 della Costituzione, eccesso di potere per travisamento, illogicità, ingiustizia manifesta. Sarebbe stato, ad avviso della stessa, erroneamente inteso il requisito di partecipazione del “non essere stati mai condannati” sicchè sarebbe stata illegittimamente ritenuta priva dei requisiti prescritti e dichiarata decaduta dalla ferma prefissata quadriennale sulla sola base del decreto penale di condanna che, ai sensi degli artt. 60 e 461 c.p.p., pone il destinatario nella stessa posizione di chi sia raggiunto da una richiesta di rinvio a giudizio, e quindi equiparato ad un imputato anziché ad un condannato.

Sosteneva, altresì, che il  provvedimento di decadenza dalla ferma avesse carattere sanzionatorio per cui doveva corrispondere la piena consapevolezza del fatto da parte del soggetto, nella specie mancante, perché la ricorrente, sia al momento della domanda di partecipazione al concorso che per l’intera durata della procedura, non aveva alcuna conoscenza dell’intervenuto decreto penale di condanna.

Ai fini di una “interpretazione costituzionalmente orientata” dell’art. 2 co. 1 lett. h) del bando di concorso con il disposto di cui all’art. 27 della Costituzione (presunzione di innocenza fino a sentenza definitiva), veniva ribadito che la controversia in esame riguardava i requisiti di partecipazione al concorso e di ammissione al pubblico impiego,  e pertanto, risultava “del tutto estranea la questione della responsabilità penale e della presunzione di non colpevolezza” sancita dall’art. 27, secondo comma, Cost. e dell’analoga normativa europea e internazionale, come chiarito dalla costante giurisprudenza in materia ( per tutte Cons. Stato, sez. IV, 18.4.2013 n. 2181).

La richiesta del predetto requisito, lungi dal costituire una novità inserita all’interno dei bandi di concorso, costituisce, piuttosto, una norma di legge meramente riprodotta all’interno della lex specialis; come ricorda la giurisprudenza esaminata, si tratta dell’art. 4 co. 1 lett. e) della legge n. 226/2004, che detta i requisiti per il reclutamento dei volontari in ferma annuale, e dall’art. 11 co. 1 della medesima legge per i volontari in ferma quadriennale che prevede, tra i requisiti generali per il reclutamento nelle Forze Armate, quello di non essere imputati in procedimenti penali per delitti non colposi, costituendo per l’appunto la disciplina di riferimento per il concorso per il reclutamento dei 1552 allievi carabinieri in ferma quadriennale.

Tale norma è stata trasfusa nell’art. 635, co. 1, lett. g) del d.lvo n. 66/2010 – che è meramente riprodotto dall’art. 2 co. 1 lett. h) della lex specialis del secondo concorso (D.D. del 15.3.2011 pubblicato sulla GU n. 24 del 25.3.2011) che prevede, generalizzando la disposizione in parola, tra i requisiti generali per il reclutamento nelle Forze Armate, quello di non essere in atto imputati in procedimenti penali per delitti non colposi”.

Ugualmente l’art. 638 del d.lvo n. 66/2010 recepisce un principio generale in materia che prevede, nell’ipotesi di mancanza successivamente accertata di un requisito legale, la decadenza di diritto (da ultimo T.A.R. Lazio, sez. II, 22.1.2013 n. 742).

Una volta riscontrata l’esistenza dello status di imputato in capo alla ricorrente, causa di esclusione dal concorso e dal reclutamento dalla normativa soprarichiamata, ribadita dall’art. 2 del bando, l’Amministrazione è tenuta “in qualunque momento” a dichiarare la decadenza dalla ferma come inderogabilmente previsto dalla normativa in esame.

In secondo luogo, si poneva l’accento sul valore da attribuire alla intervenuta sentenza di assoluzione, a vantaggio della ricorrente, per effetto della quale veniva meno la sopravvenuta perdita di valore ostativo degli atti di imputazione penale: “la sentenza di assoluzione sopravvenuta comporta il venir meno dell’imputazione penale, prevista quale requisito per la partecipazione al concorso, e per il reclutamento, qualora intervenga prima della conclusione della procedura concorsuale con l’approvazione della graduatoria o comunque prima dell’adozione del provvedimento di esclusione dal concorso e/o di decadenza dalla graduatoria concorsuale e/o di decadenza dalla ferma. Atteso che appare irragionevole impedire ad un soggetto, non più imputato al momento della definizione della procedura concorsuale, l’immissione nel ruolo dei volontari in servizio permanente dell’Esercito una volta superata positivamente la procedura selettiva propedeutica all’immissione in ruolo” (TAR Lazio, sez. I bis, n. 11864 del 26/11/2014 e n. 7760 del 21/07/2014; 770/2013; 4497/2011).”

In tale prospettiva, è stato chiarito che “anche una lettura costituzionalmente orientata all’art. 3, 27 e 97 Cost. delle disposizioni concorsuali, delle direttive ministeriali, nonché della normativa regolatrice del concorso (id est, art. 4 della legge 23/8/2004, n. 226 ed art. 635 del c.o.m.) induce a ritenere che, nella particolarità del caso in cui l’Amministrazione si è determinata, successivamente alla sentenza assolutoria del ricorrente, difettino in concreto i presupposti di fatto e di diritto indicati nelle citate fonti per disporre, nei confronti del militare, la sua decadenza dalla ferma.”  Il Collegio ha tenuto, tuttavia, conto anche dei  principi che regolano le procedure concorsuali (di imparzialità e par condicio competitorum) precisando come, gli stessi, vadano bilanciati con altrettanti principi di valore costituzionale (non colpevolezza, eguaglianza sostanziale e ragionevolezza, buona amministrazione), tenendo conto che i presupposti di fatto e di diritto che inverano il potere amministrativo devono sussistere, e vanno perciò verificati, al momento di adozione del provvedimento.”

In tale ottica, risulta irrilevante la sentenza di assoluzione intervenuta in epoca successiva all’adozione del provvedimento espulsivo, la cui legittimità deve essere valutata alla stregua delle circostanze di fatto esistenti al momento della situazione; deve, quindi, ritenersi legittimo se, a quella data, il concorrente manteneva la condizione di imputato (TAR Lazio, Sez. I bis, sentenza n. 770 del 23.1.2013 e, da ultimo, TAR Lazio, I bis, 19 maggio 2015 n. 7277).

Quest’ultima evenienza si è appunto verificata nel caso in esame in cui il procedimento penale, avviato nei confronti della ricorrente, si è concluso con l’assoluzione dell’interessata solo in un momento successivo all’adozione del provvedimento espulsivo gravato.

Il Collegio, da ultimo, non ignora l’esistenza di un terzo e più favorevole orientamento giurisprudenziale che prende in considerazione la sentenza di assoluzione intervenuta successivamente all’adozione del provvedimento espulsivo, che finisce per assumere rilevanza giuridica ai fini della valutazione della legittimità dell’atto impugnato, ritenuto meritevole di annullamento in sede giurisdizionale (Cons. St., Sez. IV, n. 965 del 26/02/2015).

Secondo tale, per ora isolata, decisione: “l’esclusione di un candidato, motivata con riferimento alla mera pendenza di un procedimento penale al momento della presentazione della domanda di partecipazione ad una procedura concorsuale, adottata prescindendo del tutto dalla valutazione circa l’esito di tale procedimento, quand’esso – come nella specie – sia favorevole al candidato, nel frattempo pure immesso in servizio, si inserisce in un’ottica di rigida applicazione delle norme: ne deriva una lettura formalistica della documentazione, avulsa dal riscontro oggettivo dei fatti, che si risolve, in ultima analisi, in una distorsione dei canoni di legittimità e buon andamento dell’azione amministrativa”.

Alla sentenza di assoluzione emessa (nel caso riportato in commento Corte di Cassazione in data 28.10.2014) dopo l’adozione del decreto di esclusione della ricorrente dalla procedura concorsuale in esame, non può essere attribuito un effetto di travolgimento dell’imputazione capace di operare retroattivamente e di far venir meno “ora per allora” ogni impedimento formale alla partecipazione alla procedura concorsuale dell’interessata e quindi di inficiare la legittimità del provvedimento impugnato, adottato ben tre anni prima (nel maggio del 2011).

Tutt’al più, si potrebbe parlare di “illegittimità sopravvenuta” che giustifichi semmai l’eliminazione dell’atto ad opera della stessa Amministrazione, ma che non consenta l’annullamento giurisdizionale del provvedimento in esame la cui legittimità deve essere valutata alla stregua delle circostanze esistenti al momento della sua adozione.

Secondo il predetto orientamento, la sentenza di assoluzione non determina, quindi, illegittimità sopravvenuta del provvedimento di trasferimento in precedenza adottato e tantomeno la sua inefficacia. Il giudizio assolutorio può costituire presupposto per un’istanza di riesame del provvedimento di assegnazione di sede da ultimo adottato, rimesso in ogni caso all’apprezzamento discrezionale dell’Amministrazione.

In un’altra vicenda, al contrario, hanno trovato accoglimento le doglianze di un candidato, escluso dal concorso per l’immissione in ruolo dei volontari in servizio permanente dell’esercito per l’anno 2012, a seguito dell’emissione di un decreto penale di condanna, successivamente revocato per effetto della rimessione di querela emessa dal medesimo tribunale (TAR Lazio – Roma, Sez. I Bis, con la pronuncia del 19/11/15 n.13098).

L’orientamento dei Giudici Capitolini, in quel caso, fu favorevole al ricorrente, ritenendo irragionevole e sproporzionata l’esclusione del candidato dalla selezione sopra indicata, in particolare, focalizzando l’attenzione sul momento, successivo alla presentazione della domanda di partecipazione al concorso, in cui era intervenuto il decreto penale di condanna.

L’intervento di un provvedimento di remissione della querela, per effetto del quale è stato dichiarato estinto il procedimento penale a carico del ricorrente, presupposto all’adozione degli atti impugnati, era stato accettato dalla stessa parte istante.

La remissione, atto di revoca della querela, estingue il reato se, come nel caso di specie, interviene in occasione del processo a cui si è giunti per l’opposizione fatta dal ricorrente al decreto penale di condanna. Il reato oggetto del decreto penale è dunque estinto con la conseguente eliminazione di ogni effetto penale dello stesso. Tale circostanza realizza un risultato analogo a quello della riabilitazione (cfr. Consiglio di Stato, n. 2801/2012) con effetti anche sulle determinazioni amministrative correlate. In ogni caso il ricorrente al momento della presentazione della domanda non rivestiva la qualifica di imputato o. Il decreto penale di condanna è invece intervenuto, come sopra evidenziato, successivamente.”

Fu evidenziato, inoltre, che il predetto art. 3, della circolare n. M D GMIL1 I 33/0408695/VSP dell’8.11.2012, richiedeva esplicitamente, tra i requisiti di partecipazione, l’assenza della qualifica di imputato o la presenza di condanne “alla data di scadenza del termine di presentazione della domanda di partecipazione e mantenuti fino alla scadenza del quarto anno di servizio”.

Orbene, il ricorrente all’atto di presentazione della domanda non ricadeva in tale previsione e solo successivamente era stato destinatario di un decreto penale opposto, comunque poi estinto.

In conclusione, stando al dictum normativo di cui all’art.80, co.1, del Nuovo Codice dei Contratti pubblici (D.Lgs.50/16) tra i motivi di “esclusione” dei candidati dalle procedure ad evidenza pubblica sono annoverati i requisiti di ordine generale, ovvero, quelle condizioni soggettive “minime” di partecipazione volte ad assicurare l’affidabilità morale e professionale del concorrente. Tale attitudine rende i requisiti predetti delle prerogative necessarie, nonchè ineludibili, per qualsiasi tipologia di contratto con la p.a.; sono, di conseguenza, doverosamente esclusi dalla partecipazione alla gara i soggetti che siano stati condannati, in via definitiva, per alcune particolari categorie di delitti (vedi art. 80, co.1, D.Lgs.50/16).

Stante la genericità del dettato normativo e di alcune previsioni codicistiche, si suole conformarsi all’orientamento espresso dalla Plenaria del Consiglio di Stato che con sentenza del 20/07/15 n.8, in riferimento alle procedure di affidamento degli appalti pubblici, ha enunciato il seguente principio di diritto, dalla portata estensiva: “nelle gare di appalto per l’aggiudicazione dei contratti pubblici i requisiti generali e speciali devono essere posseduti dai candidati non solo alla scadenza del termine per la presentazione della richiesta di partecipazione alla procedura di affidamento, ma per tutta la durata della procedura stessa fino all’aggiudicazione definitiva ed alla stipula del contratto, nonchè per tutto il periodo di esecuzione dello stesso, senza soluzione di continuità”.

 Avv. Maria Laura Tirozzi


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