L’onere probatorio in materia di usura bancaria

L’onere probatorio in materia di usura bancaria

Secondo un recente orientamento giurisprudenziale cassazionista (Sentenza Cassazione Civile n. 2543 del 30/01/2019), la pronuncia di accertamento dell’usurarietà degli interessi pattuiti e, pertanto, la valutazione comparativa del relativo tasso rispetto ai tassi soglia usura non può prescindere dall’assolvimento (a carico della parte richiedente) dell’onere probatorio di produzione dei decreti ministeriali del dipartimento del Tesoro in cui le predette soglie sono indicate.

La summenzionata pronuncia deriva da una controversia giudiziaria che originava dalla stipula di vari contratti di leasing tra due società e che verteva, in particolare, sull’usurarietà delle clausole contrattuali aventi ad oggetto il tasso di interesse applicato ai rapporti giuridici instaurati. Con atto di citazione, la società conduttrice agiva dinanzi al giudice di prime cure al fine di sentire pronunciare l’accertamento della predetta usurarietà, la gratuità dei contratti anzidetti e, per l’effetto, la condanna della locatrice a restituire le somme già corrispostele a titolo di interessi. Il primo grado di giudizio si concludeva con il rigetto delle domande attoree in ragione del mancato assolvimento dell’onere probatorio di produziome dei decreti ministeriali utili alla valutazione del fenomeno usurario denunziato.

Preso atto della decisione di prime cure, la società soccombente proponeva appello e lamentava la violazione dell’art. 101 c.p.c. atteso che non incombesse a lei l’onere di provare il tasso soglia usura con le modalità indicate nella sentenza di primo grado (ossia mediante la produzione dei d.m.). Contestualmente aggiungeva che nel caso di specie non vi erano state contestazioni da parte dell’appellata riguardo a tale inadempienza processuale e che il giudice di prime cure avrebbe dovuto rilevare ex officio la nullità dei contratti di leasing per violazione dell’art. 644 c.p. Il giudice dell’appello rigettava i motivi proposti poiché, confermando la pronuncia di primo grado, l’attrice non aveva dimostrato, mediante la produzione dei decreti ministeriali di cui alla L. n. 108 del 1996, la sussistenza del fenomeno usurario del tasso applicato ai contratti stipulati. Inoltre la Corte d’appello riferiva, quale ulteriore motivazione del rigetto, che la locatrice aveva contestato le prospettazioni fattuali della conduttrice in primo grado di giudizio e, altresì, che il tasso di usura era stato dedotto con riferimento al tasso di mora, relativamente al primo contratto, e con riferimento alla somma degli interessi corrispettivi e moratori, circa il secondo contratto, impedendone la declaratoria di nullità.

Avverso la pronuncia di secondo grado, la soccombente proponeva ricorso in cassazione per Violazione e falsa applicazione dell’art. 113 c.p.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), nonché per Violazione e falsa applicazione dell’art. 1815 c.c., comma 2 e dell’art. 644 c.p. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3). Secondo la ricorrente il giudice del gravame, ponendo a suo carico l’onere della produzione dei d.m. ai fini della prova dell’usura, avrebbe violato il principio “iura novit curia” secondo cui vige una presunzione di conoscenza a carico del giudicante in ordine a tutte le norme giuridiche pubblicate, tra le quali, a suo avviso, quelle contenute in atti amministrativi e in “atti integrativi della legge con funzione innovativa dell’ordinamento giuridico”. Contestualmente la ricorrente censurava la valutazione del giudice di seconde cure per la mancata riconduzione dei tassi soglia usura nell’alveo dei fatti notori di cui all’art.115 c.p.c. e sui quali avrebbe potuto fare ricorso nella fase decisoria senza necessità di alcuna produzione a carico dell’onerato. Infine la stessa lamentava l’esclusione dell’applicabilità dell’art.1815 co.2 c.c. agli interessi moratori in quanto si tratterebbe di una soluzione antitetica a un orientamento di legittimità ormai consolidato. La Suprema Corte di Cassazione si pronunciava rigettando i motivi di ricorso per infondatezza ed inammissibilità; in ordine al primo motivo, ne dichiarava l’infondatezza e precisava che il combinato disposto dell’art.113 c.p.c. e dell’art.1 delle Preleggi del c.c. garantisce l’applicazione esclusiva del principio “iura novit curia” alle fonti del diritto in grado di esprimere precetti normativi e giuridici con ovvia esclusione sia dei “precetti aventi carattere normativo ma non giuridico (come le regole della morale o del costume), sia quelli aventi carattere giuridico ma non normativo (come gli atti di autonomia privata o gli atti amministrativi) estranei alla previsione del menzionato art. 1 preleggi, sia quelli aventi forza normativa puramente interna, come gli statuti degli enti e i regolamenti interni”. Per ciò che concerne il riferimento della qualificazione dei tassi soglia come fatti notori, il giudice di legittimità osservava che, sebbene vi fossero già state pronunce giurisprudenziali in tal senso, nel caso in esame il motivo di ricorso era da considerare inammissibile a causa del mancato “svolgimento di argomentazioni che si sostanzino in una critica esplicita della motivazione della sentenza impugnata”. Infine il secondo motivo, in virtù del rapporto di dipendenza rispetto al primo, veniva dichiarato assorbito.

In conclusione, alla luce della sentenza esaminata e nell’ottica del contrasto al fenomeno dell’usura bancaria, alla quale si accosta la fissazione di TSU trimestrali per il tramite di decreti ministeriali del dipartimento del Tesoro (rientranti nella categoria dei precetti aventi natura meramente giuridica e non normativa), urge rilevare che in sede giudiziale, in particolare nei giudizi di opposizione all’esecuzione ex 615 c.p.c., la parte interessata alla declaratoria di usurarietà debba provvedere al deposito in telematico o in cartaceo del decreto ministeriale summenzionato, pena il rigetto della pretesa giudiziale per mancato assolvimento dell’onere probatorio. Difatti, in conformità alla soluzione prospettata dalla Corte, il giudicante non può esprimersi “autonomamente” sulla presunta usurarietà, giacché è tenuto, secondo il principio di cui all’art.113 co.1 c.p.c. e il principio dispositivo ex art.115 c.p.c., a decidere esclusivamente secondo le fonti del diritto di carattere normativo/giuridico e sulla base degli elementi probatori forniti dalle parti processuali a sostegno delle rispettive allegazioni fattuali.

Tanto premesso, urge rilevare una certa titubanza della Suprema Corte in merito alla qualificazione dei TSU nella cerchia dei fatti notori ex art.115 c.p.c.. L’affermazione contenuta nella pronuncia in oggetto, secondo cui nel giudizio esaminato il motivo di ricorso era da considerare privo di un’esplicita critica alla sentenza impugnata, lascerebbe intendere, secondo alcune interpretazioni, che la possibilità di considerare tali soglie quali fatti notori, come d’altro canto la stessa Corte aveva rilevato in precedenza, non è totalmente da escludere. Tuttavia tale interpretazione sembra cozzare con la nozione di “fatto notorio”, la quale si riferisce all’insieme di fatti, nozioni e concetti facenti parte della comune esperienza di qualsiasi individuo dotato di istruzione media; prendendo quale postulato la predetta definizione, si dovrebbe escludere che i TSU ne facciano parte giacché si riferiscono a informazioni che mediamente non rientrano nell’alveo conoscitivo di qualsiasi individuo.


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Emilio Mancuso

Tirocinante presso la Sezione civile I del Tribunale ordinario di Cosenza.Laureato in giurisprudenza con votazione 110lode/110 con tesi in diritto privato comparato presso l'Università della Calabria.

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