L’usura sopravvenuta e le sopravvenienze contrattuali: tra negazionismo ed esigenze di tutela

L’usura sopravvenuta e le sopravvenienze contrattuali: tra negazionismo ed esigenze di tutela

 

CAPITOLO 1

L’AMBITO APPLICATIVO E L’INQUADRAMENTO GIURIDICO DEL FENOMENO DELL’USURA SOPRAVVENUTA

Sommario: 1. Premessa: la collocazione del fenomeno nel contesto della disciplina sull’usura – 2. Le due tipologie di usura sopravvenuta: sopravvenienze normative e sopravvenienze fattuali – 2.1 Problemi di diritto transitorio ed intertemporale, il rilievo della legge d’interpretazione autentica n.24 del 2001 e i contrasti giurisprudenziali – 2.2 L’usura sopravvenuta quale conseguenza del mutamento del tasso d’interesse nel corso del rapporto contrattuale – 3. Le tesi contrapposte in tema di ammissibilità del fenomeno dell’usura sopravvenuta in dottrina ed in giurisprudenza: la generale inapplicabilità dell’art. 1815 cc al fenomeno in esame quale criterio distintivo rispetto all’usura genetica.

1. Premessa: la collocazione del fenomeno nel contesto della disciplina sull’usura

L’idea del perseguimento di un generale equilibrio delle prestazioni contrattuali, quale generale tentativo di bilanciare le istanze di autonomia negoziale e quelle di proporzione, meritevolezza e tutela del contraente debole[1] è emersa nell’assetto della disciplina usuraria, grazie alla riforma apportata dalla Legge 7 marzo 1996, n. 108. Da un lato istanze legate all’esigenza di contrastare in termini realmente efficaci il fenomeno dell’usura hanno condotto all’abbandono di criteri prettamente soggettivistici, rimessi totalmente alla discrezionalità del giudice nell’individuazione dei fenomeni usurari, dall’altro, le limitazioni di cui all’art. 41 comma 2 della Costituzione, incidenti sul principio di autonomia contrattuale, hanno spinto verso un’oggettivizzazione dei parametri cui ancorare la disciplina dell’usura sia in ambito penalistico che civilistico, criteri volti alla tutela del mutuatario quale contraente debole da un lato[2], e dall’altro funzionali a dar vita ad una maggiore certezza nella ponderazione del fenomeno, anche allo scopo di non creare disuguaglianze nella valutazione circa la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi dell’usura.

In tale ambito  dunque, si inserisce la legge del ’96, la quale ha ridefinito i criteri sulla base dei quali determinare la sussistenza del fenomeno usurario, delimitandoli su un piano strettamente oggettivo. Come avveniva già prima dell’intervento normativo in esame, l’usura civilistica ha tratto sempre la propria fisionomia dal corrispondente concetto penalistico e da quanto disposto dall’art. 644 cp (nonostante una parte minoritaria della dottrina ritenesse che il referente normativo da cui trarre spunto per delineare il concetto d’usura in ambito civilistico fosse l’art. 1448 cc, e che dunque un parametro oggettivo per identificare i fenomeni usurari fosse da rinvenire nell’eccedenza della metà della controprestazione[3]). Ergo la modifica della fattispecie in ambito penale ha necessariamente condizionato le sorti della corrispondente disciplina in ambito civilistico ove il legislatore ha previsto che dovesse essere la legge a stabilire quali tassi dovessero considerarsi usurari, sulla scorta del tasso medio risultante dall’ultima rilevazione pubblicata in Gazzeta, e dove dunque è venuto meno il riferimento a criteri prettamente soggettivistici e rimessi alla tendenziale discrezionalità del giudice, quali lo stato di bisogno e l’approfittamento della controparte. D’altro canto, anche la disciplina prettamente civilistica ha subito una determinante modifica, ove è stato  sostituito il secondo comma dell’art. 1815 cc, che prima prevedeva la nullità della clausola in caso di convenzione di interessi usurari, con conseguente sostituzione automatica ex art. 1419 e 1339 cc del tasso convenuto con quello legale. Infatti la legge n. 108 del ‘96 ha statuito che la previsione di tassi usurari determina la nullità della clausola trasformando il mutuo in un contratto gratuito,non essendo dovuti interessi. Si tratta di una previsione che esula dalle normali esigenze di stampo risarcitorio e che assume le vesti quasi di una sanzione dai connotati penalistici[4] , funzionalizzata ad una più stringente tutela del mutuatario e della sua posizione di soggezione contrattuale e ad un contrasto più adeguato rispetto al fenomeno usurario.

Evidente risulta come l’usura sopravvenuta acquisisca una veste del tutto nuova a seguito della disciplina delineata dalla legge del ’96[5]. Se è vero infatti che le sopravvenienze che determinano un innalzamento del tasso nella fattispecie concreta, facendo divenire usurario ciò che, sulla base della pattuizione originaria non lo era, erano prese in considerazione già prima della legge del ’96, queste ultime assumono una valenza molto più determinante a seguito della riforma. E ciò è vero per due ordini di ragioni: in primis, il rilievo attribuito dall’art. 644 cp a criteri di stampo prettamente oggettivo al fine di individuare in concreto la sussistenza del fenomeno usurario, determina che l’usura sopravvenuta acquisisca rilevanza effettiva  proprio perché a nulla rileverà constatare la sussistenza dei requisiti soggettivi prima richiesti dalla fattispecie (la tendenziale insussistenza di questi ultimi nelle ipotesi di innalzamento dei tassi in corso di rapporto determinava in precedenza la possibilità di circoscrivere il fenomeno delle sopravvenienze), poiché il semplice superamento del tasso usurario, come disciplinato dalla legge, implica l’integrazione della fattispecie. In secondo luogo, la modifica dell’art. 1815 ha legittimato l’insorgere di dubbi circa l’effettiva necessità di vagliare la legittimità delle ipotesi di usura sopravvenuta e di individuare un criterio distintivo tra le conseguenze da apportare ai fenomeni usurari genetici ed a quelli insorti nel corso del rapporto[6].

Mentre in precedenza, infatti, l’eventuale presenza di un tasso superiore a quello legale comportava la sostituzione della clausola nulla con quella adeguata ai tassi secondo la legge (soluzione consona a risolvere sia i fenomeni di usura genetica che di usura sopravvenuta), l’attuale formulazione del comma 2 dell’art. 1815 cc mal si attaglia al fenomeno delle sopravvenienze, avendo una componente sanzionatoria naturalmente riferita  alle ipotesi in cui la natura usuraria dei tassi emerge dal contratto di mutuo, soluzione che non può analogicamente estendersi alle situazioni in cui sussistano sopravvenienze fattuali o normative, poiché non è per volontà delle parti che si è assistito al superamento delle soglie normative dei tassi d’interesse nella fattispecie concreta. Sulla scorta di queste argomentazioni è parso necessario non solo capire se l’usura sopravvenuta possa trovare spazio nel nostro ordinamento, ma soprattutto individuare la soluzione migliore nel panorama degli strumenti civilistici per porre rimedio alla medesima.

Il dibattito circa la configurabilità di rimedi effettivi di fronte alle ipotesi di usura sopravvenuta si è accentuato, peraltro, a fronte di un oggettivo aumento delle ipotesi di ricorrenza del fenomeno in esame, aumento determinato dall’introduzione di una legge che ha introdotto criteri standardizzati per l’individuazione dei tassi d’interesse usurari, legge che ha posto il problema di individuare la sorte di tutti quei rapporti basati su contratti che, prima della riforma, prevedevano dei tassi legali divenuti poi usurari dopo la medesima. In secondo luogo, l’aumento delle situazioni in analisi si è riscontrato in virtù di un generale mutamento del concetto di interesse corrispettivo nel contratto di mutuo[7], mutamento connaturato alla natura stessa dell’interesse: mentre nella concezione tradizionale quest’ultimo è il corrispettivo della prestazione del mutuante (connotata dalla corresponsione della somma di denaro), negli ultimi tempi si è sviluppata la tendenza a concepire l’interesse quale “costo” del mutuo, il quale si è arricchito, dunque, di tutta una serie di spese (come quelle assicurative) che possono determinare un effettivo innalzamento del tasso originariamente previsto.

Ancora, l’aver oggettivizzato i criteri definitori del concetto di usura, ha condotto ad una crescita delle ipotesi di sopravvenienze, ove si verifichi un generale innalzamento del tasso d’interesse medio determinato sulla base di un rinvio agli appositi decreti ministeriali.

Infine, tornando al discorso iniziale, evidente risulta come l’attenzione sempre maggiore ai fenomeni usurari nascenti in corso di rapporto trova il proprio fondamento anche nell’esigenza di tutelare il mutuatario dalle incertezze del sistema, non potendosi concepire, in un ordinamento sempre più ancorato alla tutela del contraente debole ed ai principi di buona fede e correttezza, nonché alle esigenze di effettivo controllo della meritevolezza dei negozi giuridici, un meccanismo che tuteli l’usura solo se originaria, aprendosi peraltro la strada a potenziali fenomeni elusivi della normativa antiusura da parte degli istituti bancari. Necessario dunque è parso sì, differenziare i meccanismi di tutela dell’usura genetica e di quella sopravvenuta, ma allo stesso tempo anche individuare strumenti di protezione effettiva e concreta del mutuatario nelle ipotesi di sopravvenienze nel corso del rapporto contrattuale.

2. Le due tipologie di usura sopravvenuta: sopravvenienze normative e sopravvenienze fattuali

2.1  Problemi di diritto transitorio ed intertemporale, il rilievo della legge d’interpretazione     autentica n.24 del 2001 e i contrasti giurisprudenziali

Il fenomeno delle sopravvenienze nella disciplina dell’usura ha, quale contraltare, la necessità di individuare degli strumenti rimediali idonei, funzionali alla tutela del mutuatario e alla garanzia di proporzione e di equilibrio delle posizioni contrattuali, in un bilanciamento tra autonomia negoziale e tutela sostanziale del contraente pregiudicato dalle sopravvenienze stesse, come si vedrà meglio più avanti [8](cap. 2 par. 6).

Quello che preme mettere in luce è che il rilievo dell’usura sopravvenuta presenta due volti, contemplanti, per alcuni versi, strumenti rimediali similari, ma al contempo, strutturati e delineati sulla base di situazioni differenti. La prima rilevante questione che si è posta subito dopo l’entrata in vigore della l. n.108 del 1996, ha riguardato il tema dell’usurarietà in relazione alla sopravvenienza normativa apportata dalla riforma stessa. L’introduzione di criteri oggettivi nella determinazione dei tassi d’interesse sopra soglia, recava con sé il problema di quella che sarebbe stata la sorte di tutti quei contratti sorti anteriormente alla legge stessa, i quali recavano tassi d’interesse prima del tutto legittimi e, a seguito della riforma, divenuti di rilevanza usuraria.

La prima evidente questione da ponderare per l’individuazione di un criterio risolutivo in relazione alle sopravvenienze normative in materia di usura è stata quella volta a valutare un’eventuale efficacia retroattiva della riforma del ’96. Tuttavia l’assenza nella normativa in analisi di un’espressa disposizione che derogasse alla generale regola dell’irretroattività ha, nell’immediato, eliminato eventuali dubbi in merito ad un potenziale travolgimento di tutti i rapporti già esauriti prima dell’entrata in vigore della legge in esame.

Il dubbio interpretativo sorto fin dagli albori della legge del ’96 è stato dunque non certo quello di capire quale efficacia potesse esplicare tale disciplina sui rapporti ormai conclusi, ma il rilievo che la medesima potesse assumere in relazione ai rapporti ancora in corso, e, nello specifico, in relazione agli interessi relativi alle frazioni di rapporto non ancora esaurite. Per meglio dire, evidente risultava come, un’estensione della applicazione della disciplina, ai debiti maturati e già conclusi prima dell’entrata in vigore della legge, avrebbe comportato un’elusiva retroazione della legge medesima, trattandosi (nel caso di specie) di rapporti di durata connotati da un frazionamento dei debiti, e dei correlativi interessi, nei quali l’adempimento del debito relativo alla singola rata non può non determinare un venir meno del rilievo degli interessi in quella frazione di rapporto, essendo accostabili ipotesi di questo tipo, a quelle di veri e propri rapporti ormai del tutto esauriti.

E dunque il rilievo da attribuire all’usura sopravvenuta nell’ambito delle sopravvenienze di natura normativa riguardava esclusivamente i rapporti non ancora esauriti ed i debiti non ancora estinti. Ci si chiedeva se la legge del ’96 avrebbe dovuto esplicare i suoi effetti in relazione agli interessi maturati sui debiti ancora in vita in data successiva all’entrata in vigore della legge stessa[9]. E, in caso di risposta affermativa, quali rimedi propri del panorama civilistico si sarebbero potuti adottare al fine di porre una soluzione effettiva al problema delle sopravvenienze (ma di questo secondo aspetto si parlerà più incisivamente nei prossimi paragrafi). In un primo momento la Giurisprudenza della Cassazione ha avallato la possibilità di attribuire rilievo all’usura sopravvenuta per i rapporti non ancora esauriti, tutelando a tal fine la posizione del mutuatario[10]. Questa interpretazione faceva leva sull’evidente necessità di cogliere il significato dell’usura in ambito civilistico sulla base di quanto previsto dalla disciplina penalistica, e, nello specifico, dall’art. 644 cp. Da sempre infatti, come già accennato, il concetto civilistico di usura trae linfa vitale dalla definizione penalistica. In tal senso, l’art. 644 cp parla appunto del tema in esame facendo riferimento alla condotta usuraria come quella volta a “farsi dare vantaggi”. Evidente dunque come da questo inciso, la giurisprudenza abbia colto un aspetto rilevante: ciò che conta, ai fini  dell’individuazione del momento in cui collocare l’usurarietà è quello della dazione degli interessi, ben potendo dunque, in tal senso, rilevare l’usura sopravvenuta per tutti quegli interessi riferiti a debiti ancora in vita[11].

Premessa dunque la tendenziale adesione delle prime pronunce successive all’introduzione della legge del ’96 alla tesi che riconosce rilevanza all’usura sopravvenuta, risulta dirimente mettere in luce come, per la verità, l’esigenza di individuare una soluzione all’intervento delle sopravvenienze normative, non era prettamente funzionale a dirimere le tipiche problematiche che generalmente si pongono in tema di diritto transitorio ed intertemporale. A ben vedere la preoccupazione sorta a seguito della adesione della giurisprudenza di legittimità alla tesi della rilevanza dell’usurarietà sopravvenuta, era ancorata a ragioni di natura economica: se da un lato poteva apparire necessario salvaguardare il rispetto della normativa, evitando dunque di continuare ad applicare tassi ormai divenuti usurari ed eludendo, di fatto, una disciplina intervenuta proprio al fine di limitare il fenomeno in esame mediante l’introduzione di criteri di stampo prettamente oggettivo, d’altro canto la potenziale  riconduzione di tutti i tassi d’interesse riferiti ai rapporti ancora in corso a quanto disposto dalla legge del ’96, avrebbe potuto comportare conseguenze rilevanti sull’equilibrio del sistema finanziario e sulla posizione delle banche che avrebbero dovuto provvedere in tal senso, determinando un non previsto ribasso complessivo di tutti i tassi prestabiliti.

Si inserisce dunque in questo clima teso ad evitare conseguenze dirompenti sul piano finanziario (assieme alla necessità di evitare una potenziale evoluzione giurisprudenziale tesa ad estendere il rimedio di cui all’art. 1815 comma 2, come si vedrà successivamente, alle ipotesi di usura sopravvenuta) l’introduzione di una legge d’interpretazione autentica della normativa del ’96, la n. 24/2001, la quale ha specificato, nel suo primo articolo che, al fine di ponderare l’usurarietà dei tassi applicati ai contratti di mutuo, ciò che rileva è il momento genetico della pattuizione, o il momento in cui comunque gli interessi sono stati promessi e non anche quello relativo ai singoli pagamenti dei debiti e degli interessi all’istituto erogatore.

Evidente risulta come questa disposizione abbia avuto ripercussioni considerevoli, e come la stessa abbia alimentato i dubbi circa la possibilità di continuare a considerare rilevante nel nostro panorama giuridico il fenomeno dell’usura sopravvenuta, sia determinata da sopravvenienze normative che fattuali[12]. Secondo un primo indirizzo interpretativo dottrinario e giurisprudenziale, rimasto prevalente per molti anni, dopo l’introduzione della legge di interpretazione autentica, l’art. 1 della l. 24/2001 non lascerebbe adito a dubbi: il legislatore sarebbe stato chiaro nel disconoscere rilevanza a qualsiasi forma di usura sopravvenuta (Cass sez. III 26/06/2001 n. 8742 e da ultimo Cass. sez. I 19/01/2016 n. 801) non assumendo in alcun modo rilievo il momento del pagamento degli interessi, ma esclusivamente quello della loro pattuizione.

Un altro indirizzo interpretativo, racchiuso soprattutto nelle due pronunce della Cassazione del 2013, n. 602 e 603 ha viceversa evidenziato la necessità di continuare ad attribuire rilevanza al fenomeno delle sopravvenienze nell’usura, adottando e avallando la soluzione, che dopo verrà meglio analizzata, della nullità parziale sopravvenuta con automatica sostituzione delle clausole difformi con quelle coerenti con il sistema legale dei tassi soglia.  A tal fine, la Corte, nelle suddette pronunce, aveva ritenuto, come meglio si osserverà nel prosieguo, che la legge d’interpretazione autentica fosse volta esclusivamente ad escludere che all’usura sopravvenuta potessero applicarsi le sanzioni penali ed il rimedio civilistico dell’art. 1815 comma 2, e non anche ad eliminare ogni forma di rilievo alla stessa. In caso contrario infatti, se si legittimasse l’usura sopravvenuta, tutti gli strumenti adottati finora, volti al contrasto del deprecabile fenomeno usurario, sarebbero destinati ad uscire dalla porta ed a rientrare dalla finestra[13].

2.2.  L’usura sopravvenuta quale conseguenza del mutamento del tasso d’interesse nel corso del rapporto contrattuale

Nonostante la prevalenza delle pronunce rese dalla giurisprudenza di legittimità sul fenomeno dell’usura sopravvenuta abbiano riguardato le ipotesi nelle quali il divario tra il tasso d’interesse proprio del contratto e quello stabilito per legge fosse determinato dalla sopravvenienza normativa consacrata nella legge del ’96, il fenomeno in esame è idoneo a ricomprendere tutta una serie di ipotesi nelle quali la sopravvenienza assume connotazioni fattuali e non normative, e, nello specifico circostanze nelle quali il sopravvenuto superamento del tasso soglia in corso di rapporto avviene per due ordini di ragioni: o un abbassamento del tasso legale sulla cui scorta ponderare l’usurarietà dell’operazione in concreto, ovvero un accrescimento del tasso contrattuale dovuto sopravvenuto intervento di spese accessorie non ponderate originariamente in fase di determinazione del medesimo .

 Del resto, tuttavia, fin dagli albori dell’entrata in vigore della riforma che ha stravolto i canoni di determinazione del fenomeno usurario sia in termini civilistici che penalistici[14], è parso evidente come l’introduzione di criteri prettamente oggettivistici, affrancati da una definizione del concetto di usura legata a requisiti di sfruttamento dell’altrui stato di bisogno, e di conseguente ampio margine di discrezionalità giurisdizionale nell’individuazione della sussistenza della violazione del divieto usurario, abbiano posto un problema ulteriore, avente prima della riforma rilievo ben meno accentuato, ossia la potenziale rilevanza delle sopravvenienze fattuali. Rilevanza che, del resto, ha assunto sempre maggiore accento in dottrina visto il graduale mutamento caratterizzante gli interessi corrispettivi, gradualmente arricchiti da tutta una serie di spese accessorie che, come già accennato in precedenza, giungono a far considerare i medesimi come il complessivo costo dell’operazione di mutuo, e non solo quale corrispettivo sinallagmatico nei confronti del mutuante per le somme ricevute[15].

L’apertura dimostrata dalla Cassazione agli albori dell’entrata in vigore della legge del ’96 nei confronti dell’usura sopravvenuta[16] determinata dalle sopravvenienze normativa, faceva propendere per un corrispondente rilievo da attribuire anche al fenomeno delle sopravvenienze fattuali, anche perché, in caso contrario, si sarebbe creata un’ evidente ed ingiustificata disparità di trattamento tra due situazioni eterogenee ma che conducono verso un medesimo risultato: un rafforzamento del sistema volto a contrastare i fenomeni usurari ed una più pregnante tutela del mutuatario, tutela che appare ancor più giustificata nelle ipotesi in cui il superamento del tasso legale sia determinato da una lievitazione dei costi che vanno ad aggiungersi al tasso in concreto applicato, situazione nella quale (a differenza delle altre ipotesi) si verifica un effettivo aumento del tasso in concreto rispetto a quello originariamente pattuito. A ben vedere quest’ultima situazione si presta a caratterizzazioni più marcatamente volte ad affermare il rilievo di questa tipologia di usura sopravvenuta, in quanto a differenza delle circostanze nelle quali il divario tra tassi deriva da situazioni esterne che non toccano in termini diretti gli interessi in concreto applicati, il caso di specie concerne proprio una lievitazione del tasso in concreto, e, in simili ipotesi, come si vedrà, i potenziali strumenti rimediali possono assumere connotazioni diverse rispetto alle altre sopravvenienze. Basta ora dire che, una parte della dottrina sostiene che debba distinguersi tra elementi che determinano un mutamento del tasso legale (con conseguente sopravvenuta usurarietà del tasso convenzionale) e sopravvenienze che incidono sul tasso pattuito: questa seconda ipotesi sarebbe riconducibile in toto alle ipotesi di usurarietà originaria e sarebbe giustificata l’applicazione dell’art. 1815 comma 2[17].

Come è evidente la problematica relativa all’usura sopravvenuta legata alle sopravvenienze fattuali trae anch’essa origine dall’assenza di una predeterminazione legislativa nella l. 108/96 del criterio con il quale individuare il momento rilevante ai fini del raffronto tra il tasso convenuto nella fattispecie concreta e quello previsto dai parametri legalmente determinati. Infatti, se appariva nell’immediato evidente come il momento genetico del contratto di mutuo fosse senza dubbio rilevante ai fini della ponderazione dell’usurarietà dell’operazione, non vi erano altrettante certezze circa la fase di esecuzione del rapporto. Ci si chiedeva, nello specifico, se il raffronto tra i tassi pattuiti e quelli legali si rendesse necessario per tutta la durata del rapporto o meno. Nello specifico, “una delle questioni più importanti, in punto di equilibrio economico dei contratti di credito, attiene alla definizione del tempo di rilevanza del medesimo”, “nello specifico si tratta di stabilire se, per il giudizio di cui alla sproporzione  occorre fare riferimento al mercato corrente al tempo del patto del carico economico o al tempo del pagamento o ancora al tempo della scadenza di questo”[18]. Nel bilanciamento tra le istanze di autonomia contrattuale e quelle di necessario equilibrio e proporzione dunque, è necessario individuare il momento in cui si rende necessario il raffronto tra saggi concreti e tassi legali.

Nei primi tempi di applicazione della legge n. 108/96 la giurisprudenza, avendo aperto la strada al rilievo delle sopravvenienze normative in riferimento ai rapporti ancora in corso e agli interessi inerenti a debiti non ancora esauriti, sembrava attribuire rilievo generale all’usura sopravvenuta anche in termini di sopravvenienze fattuali, probabilmente anche in relazione a quanto statuito dall’art. 644 cp che attribuisce rilevanza, ai fini della consumazione del reato, alternativamente alla condotta di dazione e a quella di promessa. In tal senso diverse pronunce della Cassazione nell’anno 2000 (Cass. n. 1126/2000, e per l’usura sopravvenuta negli interessi moratori Cass. n. 5286/2000)avevano attribuito una certa rilevanza alle sopravvenienze che avessero comportato l’usurarietà dei contratti in relazione ai rapporti ancora in corso, e prevedevano, quale potenziale soluzione, quella della sostituzione automatica delle clausole contenenti gli interessi eccedenti, con quanto stabilito per legge in relazione ai tassi soglia, ex art. 1339. Un pericolo temuto in quegli anni da coloro che operavano nel settore bancario, era quello relativo alla possibilità che la giurisprudenza della Cassazione potesse evolversi nel senso di estendere il rimedio civilistico ex art. 1815 comma 2 anche alle ipotesi di usura sopravvenuta (vista la particolare apertura che gradualmente quest’ultima mostrava nei confronti delle sopravvenienze e a favore della tutela dell’equilibrio delle prestazioni contrattuali), ed è anche per questo motivo[19], che è stato fortemente caldeggiato l’intervento, da parte del legislatore nel 2001, poi avvenuto con la legge d’interpretazione autentica n. 24.  Con quest’ultima pareva essersi definitivamente superata la questione della potenziale rilevanza dell’usura sopravvenuta, in termini negativi: la collocazione del momento in cui verificare l’usurarietà dell’operazione, come già noto, veniva fissata nella fase genetica del rapporto.

Peraltro, come meglio si vedrà più avanti, una delle interpretazioni avallate da chi ritiene che le sopravvenienze possano avere ancora rilievo nell’usura sopravvenuta, mira a ridimensionare proprio la portata applicativa di questa legge, mettendo in luce come il fatto stesso che essa sia intervenuta anche per il timore di un’estensione dell’art. 1815 comma 2, è la conferma di come l’intento di tale disposizione fosse quello di sancire l’irretroattività della legge del ’96 e di limitare la sanzione della non debenza di interessi alle ipotesi di usura genetica.

3.   Le tesi contrapposte in tema di ammissibilità del fenomeno dell’usura sopravvenuta in dottrina ed in giurisprudenza: la generale inapplicabilità dell’art. 1815 cc al fenomeno in esame quale criterio distintivo rispetto all’usura genetica  

Il problema relativo all’ammissibilità dell’usura sopravvenuta, che, come già anticipato, e come si vedrà meglio nel prosieguo di questo lavoro, ha coinvolto dottrina e giurisprudenza per diversi anni, è strettamente interconnesso al generale ruolo che le sopravvenienze assumono nelle fattispecie contrattuali già consolidate. Queste ultime pongono delicate esigenze di equilibrio tra principi contrapposti, e soprattutto esse hanno sullo sfondo la tematica relativa al rilievo che può assumere il controllo a livello contrattuale, funzionalizzato a garantire l’equilibrio delle prestazioni, limitando in tal senso il libero esplicarsi dell’autonomia negoziale. Da un lato il principio pacta sunt servanda mira infatti a preservare quanto statuito dai contraenti, dall’altro il criterio dell’autoresponsabilità impone di individuare su chi debbano ricadere i rischi di fenomeni sopravvenuti che incidono, oltre un certo limite, sull’equilibrio dell’assetto delineato nel contratto, ed essendo celate, in questo assetto, anche istanze di tutela delle ragioni del contraente sulla cui sfera giuridica ricadono le conseguenze delle sopravvenienze[20].

Come già sottolineato, le opinioni contrastanti in merito all’attribuzione di rilievo alle sopravvenienze in materia di usura, sono sorte a seguito dell’intervento della legge d’interpretazione autentica, la n.24/2001, la quale statuiva espressamente che “ai fini dell’applicazione dell’art. 644 cp e dell’art. 1815 comma 2 cc si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge al momento in cui sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal loro pagamento”.  Nonostante, a primo impatto, tale statuizione parrebbe escludere in via definitiva qualsivoglia forma di rilievo del fenomeno in analisi, una parte importante della dottrina[21] ha continuato ad avallare la possibilità di attribuire rilevanza all’usura sopravvenuta, potendo, semmai, discutersi sugli eventuali rimedi da applicare per contrastare il suo verificarsi. Le argomentazioni adottate dagli Autori hanno preso le mosse da un’interpretazione alternativa della norma di interpretazione autentica, un’interpretazione non preclusiva della possibilità di individuare nel sistema civilistico, idonei strumenti rimediali per contrastare l’usura sopravvenuta.

Le difficoltà maggiori che questa dottrina ha dovuto riscontrare, riguardano l’intervento della Corte Costituzionale, che con sentenza del 25 febbraio 2002 n. 29, ha escluso che la legge del 2001 fosse passibile di essere tacciata di irragionevolezza. La consulta ha, in sostanza, affermato che quella fornita dal legislatore con la disciplina d’interpretazione autentica, fosse null’altro che una delle possibili interpretazioni della legge del ’96, interpretazione non contraria ai principi cardine del nostro dettato costituzionale. La questione, oggetto di rimessione, concerneva la natura in realtà innovativa, e non di mera interpretazione autentica della legge del 2001, e la sua non compatibilità con il sistema dei nostri principi costituzionali, in quanto volta ad avallare elusivamente fenomeni oggettivamente usurari. La Corte metteva altresì in luce come, la legge n. 108 del ’96 avesse quale obiettivo proprio quello di inasprire il trattamento civile e penale dell’usura sia in virtù dell’oggettivizzazione dei tassi rilevanti, sia in relazione all’inasprimento delle sanzioni. Secondo questa impostazione, quindi, risulta assolutamente non irragionevole escludere che questi inasprimenti si applichino a situazioni diverse e meno gravi rispetto alle ipotesi di usurarietà originaria[22].

Ebbene, i sostenitori della tesi che continua ad ammettere il rilievo nel nostro ordinamento dell’usura sopravvenuta, argomentano sottolineando come né la legge 108 del ’96, né tanto meno la suddetta pronuncia della Corte Costituzionale hanno mai affermato positivamente che non assumono alcun rilievo le sopravvenienze in materia di usura. Infatti sostenere che la nuova disciplina, volta ad inasprire le sanzioni civili e penali nella materia in esame, si applichi solo alle ipotesi di usura genetica, non implica di per sé escludere qualsivoglia di rilievo nei confronti delle sopravvenienze, anche perché, se così fosse, non si farebbe che far rientrare dalla finestra un problema poco prima uscito dalla porta, contrastando in maniera non sostanziale, ma solo formale i fenomeni usurari[23]. Del resto, sempre secondo chi avalla questa posizione, la Corte Costituzionale, nel momento in cui ha affermato la non irragionevolezza dell’art. 1 della legge d’interpretazione autentica, non avrebbe mai potuto ammettere un’interpretazione dello stesso volto ad escludere il rilievo dell’usura sopravvenuta, e questo perché le leggi d’interpretazione autentica non possono abrogare per incompatibilità quanto disposto dalla disciplina di cui forniscono interpretazione. Tuttavia, avallando un significato volto ad escludere il rilievo delle sopravvenienze, non si farebbe altro che ammettere che la legge del 2001 abbia abrogato una parte di quanto disposto dalla legge del ’96 e, soprattutto, dal riformato art. 644 cp (da cui si delinea il concetto di usura). Infatti, la fattispecie in esame parla di usura non solo con riferimento alla promessa ma anche alla dazione di denaro, ergo non può non rilevarsi che il momento della corresponsione degli interessi, successivo alla fase genetica, non può non assumere rilevanza ai fini del fenomeno usurario. Perciò, una volta constatato che sicuramente all’usura non si applicano le sanzioni penali e quella civile “inasprita” dell’art. 1815, non può non rilevarsi, secondo gli Autori che avallano il rilievo delle sopravvenienze, che qualsiasi contratto in deroga a quanto disposto dall’art. 644 cp (rilevanza del momento della dazione ai fini dell’usura) deve considerarsi nullo o inefficace[24].

Peraltro viene messo in luce come questa strada sia del tutto coerente con la natura del contratto di mutuo cui accede la problematica in esame. Quest’ultimo è un contratto di credito di durata, in cui la prestazione del mutuatario non avviene contestualmente a quella del mutuante, ma, per sua stessa natura, nel corso del tempo e in maniera frazionata, quindi assumendo la distantia temporis un rilievo così determinante non può escludersi il fenomeno usurario con riferimento alle fasi in cui avviene l’adempimento dell’obbligazione da parte del mutuatario.

Ancora, i sostenitori del rilievo dell’usura sopravvenuta mettono in luce come assuma importanza  anche la previsione dell’art. 644-ter cp, il quale fa decorrere il tempo di prescrizione del reato di usura dal momento dell’esecuzione del’ultimo pagamento, trattandosi di un reato a condotta frazionata, e non già dal momento della pattuizione, questo fungerebbe da ulteriore conferma del fatto che il fenomeno in analisi viene a riscontrarsi e ad assumere rilievo anche in corso di esecuzione del rapporto.

D’altro canto, i sostenitori della tesi volta ad attribuire rilievo all’usura sopravvenuta talvolta tendono a sottolineare come sarebbe priva di meritevolezza ex art. 1322 cc l’esecuzione di contratti che, in virtù di sopravvenienze normative o fattuali, diventino usurari[25]. Sulla scorta infatti delle nuove valutazioni inerenti al giudizio  di meritevolezza, quest’ultimo lungi dal coincidere con quello di liceità, tende negli ultimi anni a fungere da parametro per la ponderazione dell’equilibrio e della proporzione delle prestazioni, in un controllo sostanziale del contratto improntato alla tutela del contraente più debole[26]. Quindi può dirsi come sicuramente non sarebbe volto alla protezione di interessi meritevoli di tutela un contratto che prevedesse vere e proprie prestazioni usurarie.

Del resto, come già accennato, anche la giurisprudenza, in molte pronunce, ha accolto tali istanze. Da un lato nel 2013, con le sentenze n. 602 e 603, i giudici di legittimità hanno consacrato la rilevanza dell’usura sopravvenuta senza argomentare in termini particolarmente dettagliati le motivazioni retrostanti tale presa di posizione[27], quasi dando per scontato, sulla base dei principi del nostro ordinamento, che essa dovesse essere giuridicamente presa in considerazione. Tale pronuncia si è infatti soffermata più sull’argomentazione tesa a sottolineare come ad essere intaccati sono contratti ancora in corso, ancora pendenti, e come un eventuale intervento con il rimedio dell’inefficacia o della nullità sopravvenuta sarebbe un intervento ex nunc e non avente efficacia retroattiva; aspetto che, per la verità, risultava già assodato fin dagli albori dell’entrata in vigore della l. 108/96, come osservato più volte.

Al contrario una rilevante pronuncia (Cass. Sez. I, 12/04/17 n. 9405) ha totalmente accolto le tesi sopra descritte, avanzate da quegli Autori che avallano il rilievo delle sopravvenienze in materia di usura[28].

Passando ora alla valutazione delle tesi contrarie all’attribuzione di rilevanza al fenomeno dell’usura sopravvenuta[29], gli Autori che sostengono tali posizioni evidenziano in primis un aspetto: nel porre interpretazione dell’ambito applicativo della legge 108 del ’96 il legislatore non può non aver considerato anche l’usura sopravvenuta. Evidente è infatti come l’oggettivizzazione dei criteri sulla base dei quali effettuare il calcolo del fenomeno in esame, porta con sé l’evidenza di come una tale previsione aprisse la porta alla possibilità che si verificassero sopravvenienze fattuali determinate, ad esempio, dalla diminuzione dei tassi medi sulla scorta dei quali ponderare il valore del tasso legale. Di conseguenza, se il legislatore, avesse voluto attribuire effettivo rilievo a queste ipotesi si sarebbe, se non altro, preoccupato di disciplinarle o ricomprenderle esplicitamente in un’apposita previsione. Del resto, la ratio dell’irrilevanza dell’usurarietà sopravvenuta dei tassi, può trovare giustificazione in esigenze volte ad evitare una generale situazione di incertezza, esuberante rispetto alla normale alea che caratterizza i contratti di credito, necessità peraltro avallata anche dalla volontà di non rendere a priori contra legem i mutui a tasso fisso[30].

Risulta infatti evidente come la potenziale variazione dei tassi medi e il rischio di una sopravvenuta usurarietà dei tassi di qualsiasi operazione di mutuo, escluderebbe ab originem la possibilità di considerare come adottabili i tassi fissi, essendo tutti, in relazione a quanto appena detto, potenzialmente variabili. Questo, a sua volta, comporterebbe un irreversibile spostamento dell’alea contrattuale, che verrebbe a ricadere in termini netti sul mutuante, diversamente da come pattuito all’interno del contratto. Ergo ragioni di certezza ed opportunità condurrebbero comunque ad escludere il rilievo dell’usura sopravvenuta. La variazione del tasso medio è infatti una variabile, del tutto indipendente dal volere delle parti, di cui si accollerebbe l’onere in toto l’istituto creditizio, con l’evidente rischio, per quest’ultimo, di non veder mai restituito il quantum dovuto non solo in termini di interesse, ma anche di capitale (non potendo prevedersi l’ammontare delle variazioni dei tassi medi che determinano la soglia legale).

Si è ancora criticato l’argomento che fa leva sulla natura di contratto di durata del mutuo e sulla consumazione che, in termini penalistici, si verificherebbe al pagamento dell’ultima rata. Ebbene, parte della dottrina ha sostenuto che il pagamento delle singole rate attiene esclusivamente al momento esecutivo del contratto, sorgendo l’obbligazione nel momento genetico dell’accordo, ed essendo quello il momento da prendere in considerazione ai fini della verifica dell’usurarietà, come confermato dalle disposizioni di legge.

Ultima critica apportata nei confronti di chi sostiene la rilevanza dell’usura sopravvenuta nel nostro Ordinamento è quella che sottolinea come il fenomeno usurario in ambito civilistico tragga la propria linfa vitale dal concetto di usura in materia penale. Per meglio dire, le conseguenze civilistiche del fenomeno usurario (e nello specifico l’art. 1815 comma 2) altro non sarebbero che il riflesso di quel fenomeno penalmente sanzionato all’art. 644 cp. In sostanza non potrebbe esistere un’usura diversa, meno grave, presa in considerazione solo in ambito civilistico con una sanzione, peraltro, diversa da quella espressamente prevista per questa tipologia di situazioni. Opportuno risulta in tal senso, concludere con le parole di Guizzi: Una simile argomentazione mi sembra, infatti, omettere di considerare che la nozione di interesse usurario, come tratteggiata dall’art. 2, comma quarto, della legge 108/1996,non rappresenta una “autonoma fattispecie”, ma è nozione costruita pur sempre in funzione della repressione penale del fenomeno dell’usura, e che le conseguenze sul piano civilistico, in termini di nullità della pattuizione prevista dall’art. 1815, secondo comma c.c. sono appunto il riflesso della concretizzazione dell’elemento oggettivo della fattispecie penale”.

 CAPITOLO 2

I POTENZIALI STRUMENTI RIMEDIALI RISPETTO AL FENOMENO DELL’USURA SOPRAVVENUTA E LA SCELTA RISOLUTIVA ADOTTATA DALLE SEZIONI UNITE

Sommario: 1. Il rimedio della nullità parziale sopravvenuta: i problemi di configurabilità di un simile assetto – 2. Alternative allo strumento dell’invalidità parziale in dottrina e giurisprudenza: il potenziale rilievo dell’inefficacia sopravvenuta, la non attuabilità della risoluzione per eccessiva onerosità, e la tesi minoritaria volta ad avallare lo strumento dell’impossibilità sopravvenuta – 3. La soluzione fornita dall’ABF: l’intervento della buona fede quale criterio di compromesso e la tesi che valorizza il potenziale ruolo degli obblighi di rinegoziazione – 4. Una soluzione preventiva: le clausole di salvaguardia –5. L’intervento netto e risolutivo delle Sezioni Unite: il caso è chiuso? – 6. La tutela del contraente al cospetto delle sopravvenienze in una concezione tutta volta alla tutela dell’equilibrio contrattuale tra le prestazioni.

1. Il rimedio della nullità parziale sopravvenuta: i problemi di configurabilità di un simile assetto

Al fine di fornire delle soluzioni idonee a risolvere il problema dell’usura sopravvenuta nella sua essenza complessiva, sia come fenomeno inerente alle sopravvenienze normative che a quelle fattuali, dottrina e giurisprudenza si sono prodigate nel ricercare strumenti effettivi di tutela del mutuatario, meccanismi tutti funzionali a garantire e preservare il rispetto dell’equilibrio delle prestazioni contrattuali, in un naturale bilanciamento tra il principio di pacta sunt servanda e la necessità di venire in contro ad esigenze di tutela sostanziali.

Una parte della dottrina ha fornito un potenziale rimedio risolutivo, accolto peraltro da alcune pronunce della Corte di Cassazione, consistente nell’innovativo e singolare fenomeno della nullità parziale sopravvenuta. Nello specifico, in questi casi, la sopravvenuta contrarietà della clausola che statuisce il tasso d’interesse d’applicare in concreto alla fattispecie, darebbe vita ad un’ipotesi di nullità per contrasto con norme imperative operante, nel caso di sopravvenienze normative, in virtù del contrasto tra il contratto e la nuova norma imperativa, nelle ipotesi di sopravvenienze fattuali, in relazione alla incompatibilità tra l’innalzamento del tasso in concreto applicato e quanto disposto dalle disposizioni di legge.

Si tratterebbe di un’ipotesi di nullità parziale, funzionale alle esigenze di conservazione del contratto, accanto alla quale opererebbe di diritto quanto disposto dall’art. 1339 cc poiché, trattandosi di un limite di valore della prestazione imposto da norme imperative di legge, la generale violazione delle medesime comporterebbe la sostituzione automatica con l’ammontare del tasso corrispondente alla soglia rientrante nei limiti suddetti[31]. La peculiarità e, per così dire, l’originalità di questo strumento invalidante sarebbe la natura sopravvenuta del medesimo, che opererebbe con efficacia ex nunc e non anche retroattivamente come avviene per le ipotesi di nullità.

Come noto, la natura retroattiva della nullità, che opera con sentenza dichiarativa del giudice, è funzionalmente interconnessa alla natura della suddetta causa di invalidità: trattandosi di un vizio genetico concernente il contratto e, solo indirettamente il rapporto che ne scaturisce, essa non potrebbe che operare ex tunc proprio perché la patologia che investe il negozio si estende a tutte le fasi successive di esecuzione del medesimo[32]. Ebbene, i sostenitori della tesi relativa alla possibilità che esista una nullità ex nunx, ancorano le proprie tesi su diverse argomentazioni. In primo luogo, rispetto alla tesi che ritiene una contraddizione in termini il concetto di nullità sopravvenuta non retroattiva, e che, semmai, si tratterebbe di un’ipotesi di inefficacia sopravvenuta, gli Autori che sostengono l’ammissibilità della categoria in esame fanno leva sulla intrinseca interconnessione sussistente tra il concetto di invalidità e quello di inefficacia poiché la prima “persegue e produce l’inefficacia del contratto, perché è attraverso l’inefficacia che l’invalidità può svolgere la sua funzione rimediale[33].

Ebbene, appurato che il modo d’essere del contratto nullo è pur sempre l’inefficacia, essendo quest’ultima la veste, la conseguenza dell’intervento della nullità, il fatto che il vizio, nei casi di specie, sia sopravvenuto, non ne fa venir meno la sua natura genetica[34]. Infatti, l’invalidità, per sua natura, inciderebbe sempre e comunque sull’atto, solo che il contrasto del medesimo atto con la norma imperativa sarebbe sopravvenuto. In sostanza, dunque, la natura non retroattiva della patologia deriverebbe dal fatto che il negozio risulterebbe perfettamente valido alla nascita, e il vizio maturerebbe solo in fase esecuzione, e non sarebbe quindi consono investire da nullità fasi di rapporto poste in essere quando il vizio genetico ancora non sussisteva. Ciò non toglie comunque che la nullità sopravvenuta resta una forma di invalidità, in quanto tale incidente sulla fase genetica del rapporto contrattuale. Evidente risulta come dunque, per le ragioni fin qui considerate, la nullità sopravvenuta non potrebbe non riferirsi esclusivamente ai contratti di durata, in cui può effettivamente avvenire uno scollamento tra la situazione normativa e fattuale afferente al momento conclusivo del contratto, e quella sopravvenuta nel corso del rapporto.

Le critiche alla tesi in esame, oltre che assestarsi sull’impossibilità di immaginare un vizio genetico ma allo stesso tempo sopravvenuto[35], evidenziano le intrinseche contraddizioni della teoria in analisi, in primis riscontrando come, gli stessi Autori che avallano la possibilità di far riferimento alla nullità della clausola, escludono che possa applicarsi il naturale rimedio previsto dal codice civile relativamente all’usura e proprio statuente la nullità con conseguente gratuità del mutuo. E ciò avviene, evidentemente, perché costoro comprendono l’inadeguatezza di una misura quasi sanzionatoria rispetto ad ipotesi non previste e non volute dalle parti: “l’usurarietà sopravvenuta, al contrario di quella originaria, non palesa un coefficiente di marcata negatività etica perché non è che qui (normalmente) venga in gioco un’illiceità legata alla condotta estorsiva del mutuante”[36].

Detto questo, chi critica la valenza oggettiva della tesi volta ad avallare la nullità sopravvenuta, evidenzia come, applicando effettivamente la soluzione disposta dall’art. 1419 verrebbe in gioco per lo più il comma 1 e non anche il comma 2, e questo perché non può negarsi come la clausola che definisce il tasso d’interesse d’applicare in concreto al negozio è una clausola essenziale e determinante rispetto all’intera pattuizione, e la nullità sarebbe di conseguenza destinata ad investire l’intero contratto, venendo meno quindi l’utilità di questa soluzione, perché in sostanza non fa che pervenire ad una tesi contraria a quelli che sono gli interessi delle parti, ovvero in primis la conservazione del contratto[37].

Peraltro, chi critica la tesi oggetto di questa analisi, evidenzia anche come anche l’art. 1339 cp non potrebbe trovare applicazione nelle suddette circostanze: e questo perché non sussisterebbero i presupposti della suddetta disposizione, volta  a favorire la etero integrazione nei casi in cui i prezzi siano imposti dalla legge: nei casi di specie, infatti, non vi sarebbe alcuna forma di imposizione, ma solo una soglia massima, stabilita dalla legge, oltre la quale il tasso concreto si considera usurario.

 A dire il vero, tuttavia, gli Autori che avallano la teoria della nullità sopravvenuta cercano di individuare un criterio costante da applicare proprio nelle ipotesi in cui si renda necessaria la sostituzione della clausola nulla con quella corrispondente ai canoni di legge. Un’opzione maggioritaria, suggerisce che la soluzione migliore sarebbe quella di portare il saggio d’interessi concreto appena sotto la soglia legale consentita, ovvero al limite massimo della stessa (questa soluzione, evidentemente, tutela maggiormente il mutuante, garantendo, peraltro, la possibilità di recuperare, per quanto possibile, la volontà originaria delle parti). Un’altra possibilità[38], maggiormente rispondente ad esigenze equitative e di buona fede oggettiva, potrebbe essere invece quella volta a portare il carico economico degli interessi al tasso globale medio.

Ulteriore argomentazione, di matrice penalistica, tesa ad avallare la tesi della nullità sopravvenuta, è quella (già affrontata) volta ad individuare la fonte dell’obbligazione non nella stipula del contratto ma nel momento relativo alla dazione degli interessi,momento che sarebbe rilevante in relazione all’insorgere dell’obbligo, proprio in virtù di quanto disposto dall’art. 644 cp che nel fare riferimento al concetto di usura menzionerebbe la “dazione” degli interessi. Anche questa tesi è stata, del resto, abbondantemente criticata e nello specifico si è messo in luce come la nullità, quale vizio genetico, non può colpire dei comportamenti ma esclusivamente la previsione degli stessi, il momento genetico dunque, costituente l’atto che dà vita al rapporto[39].

Viene inoltre messo in luce, in termini di argomentazioni che traggono origine dal reato di usura, come quest’ultimo sia un reato in contratto, che in quanto tale colpisce la condotta posta in essere in occasione della stipula del medesimo, e non va in alcun modo, secondo le opinioni prevalenti, ad inficiare la validità del negozio sul piano civilistico[40]. Questo comporta a sua volta, che non sia sufficiente l’affermazione della contrarietà del negozio in sé e per sé considerato con una norma imperativa, quale l’art. 644 cp, al fine di giustificare l’invalidità del contratto, proprio perché si tratta di una norma che tocca e sanziona esclusivamente il comportamento delle parti e non anche il negozio che racchiude le volontà delle medesime. In questo senso, i comportamenti delle parti rimangono estranei alla fattispecie negoziale e la loro illegittimità  non può, di per sé, dar luogo alla nullità.

2. Alternative allo strumento dell’invalidità parziale in dottrina e giurisprudenza: il potenziale rilievo dell’inefficacia sopravvenuta e la tesi minoritaria volta ad avallare lo strumento dell’impossibilità sopravvenuta

Una delle ipotesi legislativamente determinate di intervento volto a sacrificare il principio di autonomia negoziale, in funzione dell’equilibrio oggettivo del sinallagma contrattuale è l’azione di rescissione per lesione. A dire il vero questo strumento era nato, all’interno del nostro codice, proprio al fine di reagire ai contratti usurari. Prima della riforma del 1996, quest’ultimo poteva anche avere una qualche forma di utilità (pur non essendo mai stato realmente risolutivo nel districare le problematiche legate al fenomeno in esame) dal momento che contribuiva a fissare una qualche forma di criterio oggettivistico ai fini della comminazione di tale forma di invalidità[41]. L’inutilizzabilità dello strumento in esame ai fini della tutela rispetto alle ipotesi di usura sopravvenuta risiede in un duplice ordine di ragioni: da un lato è un rimedio comunque volto a intervenire rispetto ai vizi originari e non anche sopravvenuti nel corso dell’esecuzione del contratto[42], dall’altro i requisiti di tale meccanismo richiedono la necessaria verifica delle duplici componenti soggettive dello stato di bisogno e dell’approfittamento dell’altro contraente, chiaramente non rinvenibili nelle ipotesi di usura sopravvenuta, e ormai non necessarie neanche ai fini dell’usura originaria.

Uno strumento risolutivo alternativo a quello relativo alla nullità sopravvenuta parziale per contrarietà a norme imperative, è stato proposto da una parte della dottrina, e avallato da alcune pronunce della Cassazione (come, da ultimo, Cass. I Sez., n. 17150 del 2016), ed è quello dell’inefficacia parziale sopravvenuta. I sostenitori di questa tesi evidenziano come gli strumenti rimediali rispetto al fenomeno delle sopravvenienze dell’usura possano prescindere dal ricorso allo schema della nullità[43], potendosi, nei casi di specie, scindersi la patologia che concerne la fase genetica del rapporto, il contratto appunto, inteso come atto negoziale, e la fase esecutiva, la fase cd. funzionale, di estrinsecazione degli effetti del contratto. Una tale distinzione sarebbe ancor più evidente e in grado di avere una ratio giustificativa nell’ambito dei contratti di durata. I sostenitori di questa tesi evidenziano come, mentre il meccanismo di cui all’art. 1815 comma 2 nonché quello della nullità parziale sopravvenuta attengano sicuramente alla fase genetica, originaria, la variazione del tasso soglia in corso di rapporto è una sopravvenienza che ha impatto esclusivo sull’aspetto funzionale, e che quindi necessita di uno strumento rimediale come l’inefficacia.

La suddetta teoria non è stata, a sua vola, esente da critiche. In particolare, da più parti si è sottolineato come l’inefficacia non sia la causa, ma solo l’effetto di una determinata patologia negoziale, non potendo esistere una inefficacia che rinviene in se stessa la causa. Inoltre si sottolinea come la potenziale applicazione del meccanismo di sostituzione automatica di cui all’art. 1339 cc, sarebbe applicabile solo nelle ipotesi di clausole difformi a quanto previsto dalla disciplina legale, e quindi, in sostanza, solo nei casi di nullità (che la si intenda come originaria o sopravvenuta). Questo, a sua volta, comporterebbe un’ulteriore conseguenza: la impossibilità di rideterminare quanto dovuto in relazione ai requisiti fissati dalla legge, determinerebbe il sopravvivere di una sola soluzione, ossia quella della non debenza degli interessi (soluzione, altresì, accostabile a quella stabilita dall’art. 1815 comma 2 e non compatibile, in relazione alla sua portata sanzionatoria, con le ipotesi in cui l’usurarietà del tasso in concreto sia determinata dall’intervento di sopravvenienze normative o di fatto).

Si è dunque sostenuto da più parti che, se non è possibile immaginare un rimedio consistente nell’inefficacia fine a se stessa, è altresì concepibile l’attuazione dello strumento della risoluzione, la quale, da un lato non va ad investire l’assetto genetico del rapporto contrattuale, in quanto essa postula la sussistenza di un negozio valido, il quale si trova successivamente nella condizione di non produrre effetti in virtù di circostanze sopravvenute, di eventi che impediscono, in corso di rapporto, l’effettiva attitudine del contratto a produrre i suoi effetti[44]. La capacità dello strumento risolutorio di incidere sul momento funzionale, sul rapporto appunto e non sull’atto, la sua attitudine volta a colpire gli effetti del contratto rispetto ad eventi sopravvenuti che alterano le dinamiche legate all’esecuzione delle prestazioni come pattuite, rende, a primo impatto, il meccanismo in esame, quello maggiormente idoneo a far fronte al fenomeno delle sopravvenienze normative e di fatto.

In particolare, con riferimento al fenomeno dell’usura determinata da sopravvenienze di natura fattuale, una parte della dottrina ha spinto verso l’applicazione della disciplina della risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta[45]. Evidente risulta come, astrattamente, il rimedio in esame sia confacente sia all’ipotesi di sopravvenienza fattuale determinata da un innalzamento del tasso in concreto applicato (per l’emersione successiva di spese non conteggiate originariamente) sia nelle circostanze di aumento del tasso medio, esterno al contratto, sulla base del quale si calcola la natura usuraria delle soglie concrete. Anche questa seconda ipotesi, infatti, assume rilievo per lo strumento in esame: la riduzione dei tassi di mercato denota che il costo del finanziamento in concreto è diventato eccessivo rispetto a quelli praticati nell’ambito di operazioni analoghe. Risulta, peraltro, adeguato evidenziare quali sono gli aspetti fondamentali che connotano il meccanismo risolutorio in esame: oltre alla necessità che essa si applichi a contratti di durata, essendo in questi casi la distantia temporis un requisito fondamentale per ponderare l’intervento di fattori squilibranti  delle prestazioni, l’eccessiva onerosità deve superare il limite della normale alea contrattuale (ovvero il rischio che implicitamente, in relazione alla natura dell’operazione, la parte si assume nello stipulare quel tipo di negozio)[46].

 D’altro canto, il rimedio in esame richiede, ancora, la natura straordinaria dell’evento che determina l’eccessiva onerosità da un punto di vista obiettivo, e la imprevedibilità in concreto, dal punto di vista soggettivo, dalle parti, in relazione alle proprie conoscenze, del fenomeno sopravvenuto. Risulta inoltre indiscusso come il rimedio in esame sia stato predisposto dal legislatore del ’42 al fine di recepire il principio in virtù del quale le condizioni contrattuali sono subordinare alla stabilità del contesto in cui le medesime si inseriscono. Si tratta dunque di un meccanismo volto a garantire la proporzione e l’equilibrio delle prestazioni, a discapito della del principio di autoresponsbilità e di quello in base al quale pacta sunt servanda. Si ritiene, per queste ragioni, che tale rimedio sia eccezionale, non passibile di interpretazione analogica, proprio perché volto a fungere da punto di incontro tra esigenze contrapposte, e perché se fosse applicato ad ipotesi ulteriori, rischierebbe di compromettere la sicurezza e la stabilità dei mercati.

L’applicazione del rimedio della risoluzione per eccessiva onerosità al fenomeno dell’usura sopravvenuta è stata da più parti criticata. Si è ritenuto, nello specifico, come il fenomeno in esame non possa rispondere concretamente alle esigenze dei contraenti, in quanto la conseguenza sarebbe la perdita del finanziamento e l’obbligo di restituzione da parte del mutuatario di quanto ricevuto dal mutuante, quando risulta chiaro come interesse delle parti sia quello di mantenere in vita il contratto. In secondo luogo, si è sostenuto come la non applicabilità della risoluzione per eccessiva onerosità sia da rinvenire nella natura non imprevedibile e non eccezionale delle sopravvenienze derivanti dall’abbassamento del tasso medio e dall’innalzamento del tasso in concreto derivante dall’intervento di spese aggiuntive, originariamente non calcolate. Si tratta, peraltro, di aspetti che incidono sull’area normale del contratto e che, al di fuori del fenomeno usurario, ricadrebbero regolarmente sul mutuante o sul mutuatario, a seconda che si tratti di operazioni a tasso fisso o a tasso variabile[47].

Peraltro, accanto a queste argomentazioni, si è evidenziato come la natura eccezionale della norma che disciplina il fenomeno dell’eccessiva onerosità e la sua inapplicabilità in via analogica ad ipotesi simili, non consenta di estendere la disciplina rimediale in essa prevista ad ipotesi come quelle relative alle sopravvenienze fattuali nell’usura, per le argomentazioni sopra considerate che renderebbero l’estensione della suddetta disciplina un’applicazione in via analogica.

Ancora, la non applicabilità del rimedio in esame si rende evidente sulla base di quella che è la natura dello strumento dell’eccessiva onerosità: quest’ultimo è confacente a negozi pienamente sinallagmatici, mentre il mutuo è un contratto a bilateralità imperfetto, in cui alla dazione della somma di denaro da parte del mutuante, fa da contraltare la restituzione del capitale ed in più il pagamento degli ineterssi.

Infine resta da rammentare una potenziale ulteriore soluzione avanzata da una parte minoritaria della dottrina, la quale ritiene di poter accostare il fenomeno delle sopravvenienze nell’usura alle ipotesi di impossibilità sopravvenuta della prestazione oggetto del contratto[48]. Secondo questa tesi quello che caratterizza il rimedio risolutorio per impossibilità sopravvenuta è la mancata attribuzione in capo alle parti delle conseguenze giuridiche che derivano dalla impossibilità di eseguire la prestazione, a differenza di quanto avviene nelle azioni derivanti dall’inadempimento di uno dei contraenti. Da questo punto di vista, se da un lato è vero che non possono essere accostate, a tutti gli effetti, da un punto di vista giuridico, le ipotesi di impossibilità sopravvenuta dell’oggetto (che dà sicuramente vita al fenomeno risolutorio) e le situazioni di sopravvenuta illiceità della prestazione per contrarietà ad una norma imperativa, come quelle che assumono rilievo nell’usura sopravvenuta, d’altro canto, secondo i sostenitori di questa tesi, vi sono delle circostanze in cui, le situazioni di sopravvenuta illiceità possono essere affiancate a quelle di impossibilità sopravvenuta, e questo in virtù dell’identità di ratio che accomuna tali fenomeni: sia nell’ipotesi in cui viene meno la possibilità materiale o giuridica di eseguire il programma contrattuale come stabilito nel negozio, sia nei casi in cui sopravvengano fenomeni che rendano in tutto o in parte illecita la prestazione, l’obiettivo è quello di non imputare ai contraenti le conseguenze giuridiche dell’impossibilità di eseguire la prestazione, a differenza di quello che avviene nelle ipotesi di inadempimento. Da questo punto di vista, l’usura sopravvenuta può apprezzarsi come un’ipotesi di impossibilità parziale della prestazione ex art. 1258 cc[49].

Resta da coordinare quanto previsto dal 1258 con la disciplina prevista dall’art. 1464 cc. Da un lato l’impossibilità parziale comporta l’obbligo di eseguire la parte del programma contrattuale ancora possibile, d’altro canto, la controparte, oltre ad ottenere una riduzione della prestazione dovuta, può recedere dal contratto, qualora venga meno, a seguito della parziale impossibilità, l’interesse a realizzare la parte restante del programma contrattuale. È evidente, del resto, come lo strumento risolutorio in queste ipotesi, come già visto, non risulta funzionale rispetto a quelli che sono i reali interessi delle parti, primo tra tutti la conservazione del contratto. Peraltro il debitore rischia di subire conseguenze esponenzialmente negative, qualora non abbia a disposizione quanto fornito in sede di conclusione del contratto di mutuo. Chi sostiene questa tesi, tuttavia, obietta che lo strumento del recesso in capo all’altro contraente (nel caso di specie il mutuante) non può essere di certo usato arbitrariamente, e non legittima sempre e comunque l’azione risolutoria, ma va parametrato sulla base dei requisiti che fondano la meritevolezza dell’interesse del medesimo e che, nel caso concreto, in un giudizio di bilanciamento, debbano prevalere rispetto a quello del debitore. Ebbene, in tal senso, è evidente come l’interesse a ricevere una prestazione contraria a norme imperative, che se pattuita in quel momento sarebbe sicuramente usuraria, per quanto possa avere delle ragioni fondate rispetto alla posizione del creditore, è di per sé discutibile, come è discutibile che tale interesse possa prevalete su quello del mutuatario, volto a non vedersi applicati interessi usurari. Oltre ad essere un interesse non meritevole in quanto tale, quest’ultimo non trova neanche precipuo fondamento, proprio perché non può esistere l’esigenza in capo al creditore di divincolarsi da quel tipo di contratto al fine di stipularne un altro alle medesime condizioni e veder eseguita integralmente la prestazione. E questo per l’ovvio motivo che quel tipo di pattuizione, ormai usuraria, renderebbe nullo il contratto ed applicabile il rimedio ex art. 1815 comma 2.

I sostenitori di questa tesi, dunque, ritengono che in queste ipotesi, l’interesse del debitore a mantenere in vita il contratto con conseguente esecuzione della parte di prestazione che sia ancora possibile, prevalga sempre sul contro interesse del creditore mutuante, e risulti, dunque, sempre irrilevante l’art. 1464.

3. La soluzione fornita dall’ABF: l’intervento della buona fede quale criterio di compromesso e la tesi che valorizza il potenziale ruolo degli obblighi di rinegoziazione

La sentenza della Corte Costituzionale che ha sancito la non irragionevolezza del sistema delineato dalla legge d’interpretazione autentica del 2001 è stata spesso interpretata, dai sostenitori della rilevanza da attribuire al fenomeno dell’usura sopravvenuta, in modo tale che la stessa statuisse esclusivamente la non riferibilità del reato di usura e della disciplina di cui all’art. 1815 comma 2 alle ipotesi in cui il fenomeno sia determinato da sopravvenienze in corso di rapporto.

E, se da un lato, parte della dottrina e della giurisprudenza hanno cercato di delineare un sistema rimediale volto ad avallare il fenomeno della nullità sopravvenuta, una soluzione alternativa è stata fornita dal Collegio di Coordinamento dell’Arbitro Bancario e Finanziario, con la decisione n. 77 del 10 gennaio 2014[50], il quale ha cercato di far riferimento ad uno strumento avente ormai un rilievo imprescindibile in termini di fonte di obblighi e facoltà che prescindono spesso anche dal rapporto obbligatorio: la buona fede, determinante l’inesigibilità di condotte, nei casi di specie, contrarie al suddetto principio. Nella sua pronuncia l’ABF, evidenzia, in primis, come sia chiaro, in relazione a quello che è il panorama delineatosi a partire dalla legge 108 del 1996, che non possa trovare applicazione nelle ipotesi di usura sopravvenuta, quanto previsto per le ipotesi di usura originaria. In particolare, quest’ultimo afferma che il superamento della soglia in corso di rapporto non determina l’illiceità della clausola, e perciò stesso, non può pretendersi di esperirsi neanche il rimedio della nullità parziale sopravvenuta.

Per giustificare le sue argomentazioni, il Collegio evidenzia come ammettere dei rimedi “invalidanti” il contratto nell’usura sopravvenuta, significherebbe sbilanciare in termini eccessivi l’equilibrio delle rispettive prestazioni, “alleviare il cliente dal rischio che l’affare peggiori eccessivamente, mentre l’intermediario continuerebbe a subirlo”.  L’ABF evidenzia, dunque, come un rimedio consono al fine di apprestare tutela contro il fenomeno dell’usura sopravvenuta, può essere quello volto a colpire non la fase genetica del rapporto, ma il comportamento del soggetto erogante il credito, il quale, pretendendo il pagamento di interessi ormai divenuti usurari, porrebbe in essere una violazione del principio di buona fede ex art. 1375 cc, e una condotta contraria agli obblighi di solidarietà sociale, sulla scorta dell’art. 2 della Costituzione, da cui il suddetto principio trae linfa vitale.

Un’interpretazione dunque, volta a valorizzare la funzione della buona fede quale autonoma fonte di obblighi nei rapporti contrattuali, obblighi che prescindono dalle prestazioni dedotte nel negozio e che, entro il limite dell’apprezzabile sacrificio, impongono a ciascuna delle parti di agire prendendo in considerazione l’interesse dell’altra. E, in questo senso, in relazione alle circostanze del caso concreto, può reputarsi contrario al principio di buona fede oggettiva, il comportamento di chi non adegui il tasso pattuito alla soglia legale, e continui ad applicare un tasso ormai usurario per legge. La conseguenza dunque, oltre alla responsabilità risarcitoria derivante dalla violazione, sarebbe la non esigibilità degli interessi soprasoglia e l’obbligo in capo alla banca di restituire quanto percepito in misura superiore alla soglia legale.

Evidente risulta come il Collegio cerchi di adottare una soluzione che si assesti sulla rilevanza del comportamento del mutuante nell’usura sopravvenuta, più che sul vizio di cui possa essere inficiato il contratto. La seguente si prospetta dunque come una soluzione di compromesso, che ricerca nella rilevanza degli obblighi di buona fede una soluzione per un fenomeno che non può non assumere rilievo alcuno, come afferma lo stesso organo dell’ABF, il quale sottolinea come il nostro ordinamento non può accettare un’assenza assoluta di rimedi al fenomeno delle sopravvenienze nell’usura, senza svilire l’intento della legge del ’96, volta proprio a rendere più incisiva la lotta contro la medesima.

La suddetta posizione, se da un lato è stata accolta con favore, quantomeno per quanto concerne gli esiti cui perviene: ottenere l’inesigibilità della prestazione combattendo validamente il fenomeno dell’usura sopravvenuta senza toccare la fase genetica del rapporto, è stata d’altro canto anche criticata da alcuni Autori[51], in quanto si è sostenuto che, se da un lato l’inesigibilità della prestazione può fondarsi sulla violazione degli obblighi di buona fede, al contempo, la suddetta inesigibilità deve ponderarsi su un piano soggettivo, e non come in questo caso, sull’oggettivo scostamento del tasso concreto rispetto alla soglia fissata dalla legge. Un assetto di questo tipo, secondo i critici della tesi sostenuta dal Collegio dell’ABF, darebbe vita ad un contrasto effettivo tra la pattuizione e la norma imperativa, determinando un’innegabile situazione di illiceità; e su questo piano dovrebbe essere valutata e non anche su quello dei comportamenti, afferenti l’obbligo di buona fede, vista, peraltro, la imprevedibilità della verificazione delle sopravvenienze. Resta inoltre da chiarire se la violazione del principio di buona fede, sia da rinvenire di per sé nella pretesa dell’esecuzione della prestazione da parte dell’istituto creditizio (non pare, in tal senso, sufficiente fondare nella richiesta di adempimento di una prestazione dovuta, pur se divenuta usuraria, una condotta contraria al principio in esame ed agli obblighi di solidarietà sociale) oppure se debba rinvenirsi un quid pluris nel comportamento antecedente alla verificazione delle sopravvenienze. Ebbene, nel caso di specie, sottoposto all’attenzione dell’organo dell’ABF, la banca aveva fissato, al momento della stipula, un tasso d’interesse appena inferiore a quello massimo stabilito per legge, a cui era seguito un prevedibile abbassamento del tasso medio praticato. Per cui, secondo alcuni, la violazione dell’art. 1375 cc sarebbe determinata dalla natura peculiare del caso concreto, dovendo l’obbligo di buona fede sostanziarsi in una effettiva violazione di obblighi non consistenti nella mera richiesta del pagamento degli interessi, una volta intervenuta la sopravvenienza.

Parte della dottrina, sempre sulla scorta dei corollari che derivano dal principio di buona fede oggettiva e di solidarietà, ritiene che possa supplire nell’ambito del fenomeno dell’usura sopravvenuta, la previsione di specifici obblighi di rinegoziazione[52]. In questi termini, la buona fede può operare non sono come principio sulla base del quale parametrare l’esecuzione del contratto, ma rileva anche come fonte integrativa di obblighi, e può condurre ad imporre il dovere di rinegoziare ove l’iniquità e la sproporzione sopravvenuta delle prestazioni sia tale da risultare in contrasto con il principio di buona fede e di correttezza, ove le parti non intervengano per rideterminare in termini equi il contento del contratto. Si è già detto di come le sopravvenienze pongano un problema di compatibilità tra il principio secondo il quale pacta sunt servanda e la necessità di riadattare il contenuto dello schema negoziale in virtù di fattispecie sopravvenute che possono determinare una incompatibilità tra la volontà consacrata nel contratto e gli interessi della parte stessa. In questo senso, il principio di buona fede è quello che maggiormente può consacrare l’idoneo bilanciamento tra queste esigenze, perché esso nasce proprio per tutelare i contraenti, sulla scorta di istanze di tutela della persona e di obblighi di solidarietà sociale, osservando il rapporto tra i medesimi aldilà degli obblighi legati alle prestazioni dedotte in contratto ma in relazione ai comportamenti e gli interessi degli stessi anche trascendendo da ciò che è strettamente pattuito, dando vita così ad obblighi accessori, tra cui possono rientrare proprio quelli di rinegoziazione. Soprattutto nei contratti di durata, tecnicamente complessi e con prestazioni di un certo rilievo economico, oneri di questo tipo possono essere utili per soddisfare gli interessi delle parti, senza dar luogo a rimedi abdicativi (contrari al principio di conservazione dei contratti e alla stessa volontà dei contraenti) ma riportando l’equilibrio nel sinallagma negoziale.

Il problema, da più parti avanzato, su quella che può essere l’efficacia degli obblighi di rinegoziare, si pone, nello specifico, in relazione alla sua scarsa vincolatività. Secondo l’opinione maggioritaria, infatti, in alcun modo, tale obbligo può condurre a limitare il principio di autonomia contrattuale, imponendo ai contraenti di accettare la stipula di un negozio a condizioni che questi ultimi non accetterebbero. Ergo l’infruttuosità della rinegoziazione non può sortire conseguenze sul piano giuridico, neanche da un punto di vista risarcitorio[53]; in tal caso non può non continuare a vincolare la pattuizione originaria. In questo senso, da più parti si è sostenuto come la problematica legata all’usura sopravvenuta non possa risolversi sulla scorta di questi obblighi ove ciò che rileva non è una mera ed esclusiva alterazione dell’equilibrio delle prestazioni dedotte in contratto, ma anche, e soprattutto una sopravvenuta violazione di norme imperative volte a contrastare un fenomeno deprecato come quello usurario, in cui l’eventuale esito infruttuoso della rinegoziazione non può essere contemplato come opzione.

4. Una soluzione preventiva: le clausole di salvaguardia

Una potenziale soluzione preventiva volta a contrastare il fenomeno delle sopravvenienze nell’usura è quella delle cd. clausole di salvaguardia. Mediante queste ultime le parti del rapporto creditizio statuiscono, all’interno dello stesso contratto, l’obbligo del mutuante di non applicare tassi superiori a quelli statuiti in termini massimi dalla legge in nessun momento del rapporto contrattuale. Risulta evidente come una tale soluzione si palesi come un rimedio di matrice negoziale, volto a rendere il dovere dell’istituto di credito di non applicare tassi usurari, un vero e proprio obbligo contrattuale.

Un’eventuale violazione di quanto statuito dunque, integrerà senza dubbio inadempimento contrattuale e legittimerà il mutuatario alla relativa azione, nonché a quella di risoluzione del negozio, oltre alla possibilità di far valere il risarcimento dei danni. Evidente invece risulta come la violazione dell’obbligo interconnesso alla clausola di salvaguardia nella fase d’esecuzione del contratto, non possa comunque comportare l’applicazione del rimedio di stampo sanzionatorio di cui all’art. 1815, neanche nelle ipotesi in cui il contraente pretenda il pagamento degli interessi nella misura divenuta usuraria. Se è vero che in tali ipotesi, prescindendo dalla prevedibilità delle sopravvenienze, il mutuante ha l’obbligo di conformare il tasso a quanto statuito per legge, è altresì vero che la disciplina sull’usura, in tutti i suoi aspetti, e per quanto sinora analizzato statuisce univocamente l’applicazione dell’assunto di cui all’art. 1815 comma 2 alle ipotesi di usura genetica.

La clausola in parola, vincolando il mutuante al rispetto di quanto previsto dalla legge in materia di usura per tutta la durata del rapporto contrattuale, risulta meritevole di tutela in quanto volta a consentire il rispetto dell’obbligo di contenere il tasso della fattispecie concreta aderente a quanto previsto dalla legge, rendendo il medesimo un obbligo contrattuale, e fornendo, a tal fine, al mutuatario adeguati strumenti di tutela per l’eventualità di una sua violazione.

Peraltro di recente, una pronuncia del Tribunale di Napoli[54], ha affermato la validità delle suddette clausole e la loro idoneità a prevenire i fenomeni di usura sopravvenuta sia per l’eventualità dello sforamento del tasso soglia per gli interessi corrispettivi che per quelli moratori.

5. L’intervento netto e risolutivo delle Sezioni Unite: il caso è chiuso?

La problematica relativa al rilievo da attribuire al fenomeno dell’usura sopravvenuta e quella concernente l’individuazione dei rimedi idonei a contrastarla o prevenirla, sono state definitivamente affrontate dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, che è intervenuta con la sentenza n. 24675/2017, dopo le contrastanti e numerose (nonché variegate e differenziate) prese di posizione dei giudici di legittimità in materia[55]. In primis il Supremo Collegio mette in luce l’ambito applicativo oggetto della pronuncia, evidenziando come la tematica accomuni le vicende caratterizzate da sopravvenienze normative e fattuali, peraltro sia in relazione ai tassi contrattuali fissi che a quelli variabili, essendo tuttavia, come è intuitivo, maggiormente problematica l’individuazione di una soluzione con riferimento alle operazioni a tasso fisso, essendo possibile, qualora i tassi siano variabili intervenire nel corso del rapporto al fine di adeguare i medesimi a quanto statuito dalla legge.

La Corte ripercorre dunque i contrapposti orientamenti in materia di usura sopravvenuta constatando come vi siano due categorie di orientamenti giurisprudenziali, quelli volti a negare rilievo al fenomeno, e quelli propensi ad attribuire rilevanza alle sopravvenienze nell’usura, fornendo questi ultimi, a loro volta, soluzioni differenziate che i giudici ripercorrono all’interno della motivazione.

La Suprema Corte aderisce nettamente alla tesi che rigetta ogni qual forma di rilievo al fenomeno in esame, e rigetta, in particolare, la teoria che fonderebbe tale rilevanza sul contrasto della stessa con una norma imperativa, quale l’art. 644 cp. Secondo gli Ermellini, se è infatti innegabile che il concetto di usura civilistico sia inscindibilmente legato a quanto disposto dalla fattispecie del codice penale, perché da essa trae una nozione definitoria, è altresì vero che la norma d’interpretazione autentica è categorica nel considerare rilevanti, ai fini dell’applicazione della normativa sull’usura, il momento di pattuizione degli interessi. Né tantomeno, secondo il Supremo Collegio, può dirsi che abbia fondamento la tesi che limita l’ambito applicativo della legge d’interpretazione autentica alla sola sanzione civile dell’art. 1815 ed al reato di usura, e questo proprio perché “in tanto è configurabile un illecito civile, in quanto sia configurabile la violazione dell’art. 644 cp, come interpretato dall’art. 1 comma 1, d.l n. 394 del 2000”[56].

La Suprema Corte lascia dunque intendere di aderire a quella tesi che ritiene di non poter dar luogo ad uno “sdoppiamento” dell’usura, poiché quest’ultima merita di avere un rilievo sul piano civilistico fino a che coincida con il deprecato fenomeno avente rilevanza sul piano penalistico, non esiste un’usura solo civilistica e necessitante un rimedio diverso da quello disciplinato dalla legge e previsto all’art. 1815 comma 2. Gli Ermellini, inoltre, al fine di scongiurare la valenza dei rimedi della nullità od inefficacia sopravvenuta della clausola che prevede i tassi divenuti usurari avanzata da più parti in dottrina e giurisprudenza, sottolinea come il fondamento giustificativo di queste tesi tragga origine da un’interpretazione della sentenza della Corte Costituzionale, la n.29 del 2002, che sancisce la non irragionevolezza del sistema disposto dalla legge sull’usura, la quale specifica che “restano, invece, estranei all’ambito d’applicazione della norma impugnata gli ulteriori istituti e strumenti di tutela del mutuatario secondo la generale disciplina codicistica dei rapporti contrattuali”[57].

I sostenitori della valenza ordinamentale dell’usura sopravvenuta fanno leva proprio su tale inciso per giustificare l’applicabilità di tutta una serie di istituti volti a contrastare il fenomeno delle sopravvenienze nell’usura, la Corte, tuttavia, mette in luce che questi strumenti non possono consistere nella invalidità ed inefficacia,  espressamente sancite esclusivamente per l’usura vera e propria, che è quella genetica, né tanto meno le clausole in esame, per i motivi già spiegati, possono ritenersi illecite. Ciò non toglie che, altri strumenti disposti dall’ordinamento, se compatibili con l’istituto in esame e ove ne ricorrano tutti i presupposti, saranno sicuramente esperibili.

La Corte, peraltro, contesta la validità della tesi che individuerebbe quale rimedio contro l’usura sopravvenuta, il meccanismo della buona fede oggettiva, e la contesta nella sua essenza pura, come proposta dal Collegio dell’ABF e da una parte della dottrina. Questi ultimi fonderebbero la propria convinzione sul fatto che quella stessa pretesa avanzata dai mutuanti (relativa alla richiesta del pagamento dei tassi concordati) ha ad oggetto una prestazione che non potrebbe mai dedursi in un contratto in quel momento (in quanto usuraria) e se si concedesse all’istituto di credito di esigerla, a quest’ultimo il credito frutterebbe molto di più che se stipulasse il contratto di mutuo in quel momento.

Nello specifico gli Ermellini ammettono certamente che possa venire in essere, nelle ipotesi di usura sopravvenuta, una violazione del principio in esame, ancorato a sua volta agli obblighi di solidarietà di cui all’art. 2 Cost., ma questa violazione, non può consistere di per sé nell’esercizio del diritto del mutuante di pretendere il pagamento di quanto dovuto sulla base del contratto. La buona fede infatti, impone obblighi e tutela diritti nel corso dell’esecuzione del negozio giuridico, che vanno aldilà delle prestazioni dedotte, ponendosi la stessa quale principio generale dei rapporti contrattuali. Tuttavia, la lesione della medesima non può mai rinvenirsi nella pretesa di diritti in sé e per sé ma necessariamente nelle modalità in cui una pretesa viene azionata od un diritto viene preteso.

Nei casi di specie la buona fede non potrà mai dirsi violata sulla base della pura e semplice richiesta di pagamento del tasso d’interesse pattuito (pur essendo il medesimo in corso di rapporto divenuto usurario); ma tale condotta dovrà accompagnarsi a modalità che siano realmente indicative di scorrettezze integranti la violazione di quanto disposto dall’art. 1375 cc

La Suprema Corte pare asserire dunque, che l’inesigibilità della prestazione non può fondarsi esclusivamente sulla pura e semplice pretesa di adempimento di una prestazione spettante di diritto in contratto. La violazione del canone di buona fede dovrà quindi sostanziarsi in un quid pluris che riesca a far ritenere realmente scorretto il comportamento del contraente[58].

La Suprema Corte, nella pronuncia in esame, pare posizionarsi nettamente su argomentazioni tese a contestare qualsivoglia forma di rilevanza del fenomeno delle sopravvenienze nell’usura. Evidenzia si, come strumenti alternativi alla invalidità ed inefficacia, se integrati in tutti i loro presupposti, possano venire in soccorso, ma successivamente, stronca le gambe all’unico strumento, diverso da quelli statuenti invalidità o inefficacia, realmente applicabile ai casi i specie, quello della buona fede, il quale non potrà essere invocato come meccanismo rimediale contro l’usura sopravvenuta in quanto tale, ma solo se e quando alla pretesa del pagamento degli interessi, si accompagnino condotte lesive del principio in esame.

Se, da un lato, la suddetta sentenza è parsa strutturalmente coerente con se stessa nel negare rilievo a fenomeni di dubbia e articolata valenza applicativa (come quello della nullità sopravvenuta) e se ha evidenziato aspetti incontestabili, quali il significato inconfutabile della legge d’interpretazione autentica, che fonda il momento rilevante per ponderare la sussistenza dell’usura in quello di pattuizione degli interessi, d’altro canto è parso (forse) un po’ azzardato non lasciar spazio a nessuna forma di tutela nel fenomeno in esame.

Lasciar sopravvivere l’usura sopravvenuta rischia di rendere vano tutto l’apparato ordina mentale fondato sul contrasto al suddetto fenomeno, rischia di far avallare meccanismi elusivi. Del resto, l’andamento dei tassi è cosa conosciuta e prevedibile da parte degli istituti di credito, e l’assoluta irrilevanza delle sopravvenienze in corso di rapporto, può condurre a legittimare veri e propri abusi del diritto. Ebbene in questi casi, non si potrà che cercare di fare affidamento sull’unico strumento rimediale adottabile, seppur in termini strettamente ridotti: la buona fede. E vi si potrà contare fondando le potenziali scorrettezze del mutuante su un dato spesso incontestabile: le sopravvenienze fattuali (e soprattutto la crescita del tasso in concreto per via della sopravvenienza di spese di polizza) sono prevedibili dagli istituti di credito,e prevedibile è dunque lo sforamento in corso di rapporto di quanto statuito dal tasso legale, ergo la fissazione preordinata di un tasso con la consapevolezza del prevedibile aumento del medesimo non può non assumere rilevanza ai fini del giudizio di buona fede. Come non può non avere alcun rilievo nel nostro ordinamento un fenomeno che avalli netti squilibri dell’assetto delle prestazioni contrattuali sol perché sopravvenuti rispetto al momento genetico, di nascita, del rapporto.

6. Conclusioni: la tutela del contraente al cospetto delle sopravvenienze in una concezione tutta volta alla tutela dell’equilibrio contrattuale tra le prestazioni (inserisci come) ultimo paragrafo

Risulta, in ultima analisi, evidente come il fenomeno dell’usura sopravvenuta sia lo specchio del problema delle sopravvenienze nelle dinamiche contrattuali. Problema che trae la propria origine dalla contrapposizione di interessi che, in queste dinamiche, devono trovare un reciproco bilanciamento: da un lato, l’autonomia contrattuale racchiude in se un principio ineludibile di auto responsabilità di ciascun contraente, che porterebbe ad escludere qualsivoglia forma di controllo sostanziale dell’equilibrio delle prestazioni. Dal canto suo, il legislatore del ’42, appresta una serie di rimedi sia per le ipotesi in cui lo squilibrio delle prestazioni dedotte in contratto sia genetico, sia per i casi in cui sopraggiunga nel corso del rapporto, ma tali rimedi si palesano come eccezionali, come deroghe al principio per cui pacta sunt servanda, strumenti che, se generalizzati, rischierebbero di mettere in discussione il sostrato del principio di autonomia contrattuale, e frustrerebbero la certezza dell’andamento del mercato. Si tratta di strumenti che derogano ai principi in esame al fine di ottenere la massimizzazione del perseguimento dei concreti interessi voluti dalle parti, e che partono dal presupposto che le prestazioni pattuite sono volute in tanto quanto le circostanze siano quelle in cui il contratto viene concluso.

Da qui, il dilemma di tutte quelle sopravvenienze cd. atipiche, cioè non rientranti in schemi legislativi predefiniti, per le quali sono dottrina e giurisprudenza a dover individuare il punto di bilanciamento tra le opposte esigenze ed istanze predesignate. In questo senso, da un lato, un eccessivo rilievo a fatti sopravvenuti rispetto al momento della pattuizione, rischia di rendere incerti i rapporti contrattuali, e rischia di spostare sul creditore l’alea contrattuale derivante dai fatti medesimi, allo stesso tempo tuttavia, le esigenze di rispetto dei principi di proporzione ed equità, le istanze di tutela dei contraenti deboli, il forte impatto della buona fede nell’esecuzione delle prestazioni, porterebbero ad attribuire rilievo effettivo ai fenomeni in esame.

L’usura sopravvenuta rientra a pieno titolo in queste dinamiche, ma è resa ancor più problematica dalla natura delle sopravvenienze, che conducono verso un fenomeno stigmatizzato in termini estremamente negativi, e costituente addirittura fattispecie di reato, quale quello dell’usura. Questo porta inevitabilmente gli interpreti ad individuare un rimedio, che possa evitare di legittimare fenomeni estremamente dissacrati nel nostro contesto storico-culturale. Risulta quindi inevitabile che la recente pronuncia delle Sezioni Unite porrà dei problemi di non poco rilievo in questi termini, tuttavia non si può far altro che attendere il prossimo futuro per ponderare gli sviluppi di questo orientamento, da più parti auspicandosi già una “correzione” del medesimo, funzionale ad un più “ponderato bilanciamento degli interessi coinvolti”, ed evitando di sacrificare in toto la posizione del mutuatario in virtù di norme di stretto diritto[59]

 

 


[1] Donvito A., La disciplina civilistica dell’usura, Ordine degli avvocati di Milano, 2014.
[2] Tutela sempre più presente nel nostro Ordinamento, anche grazie all’importanza che ha assunto il principio di buona fede in senso oggettivo nel nostro ordinamento e all’integrazione nella disciplina contrattuale di tutta una serie di obblighi di protezione esulanti le sole prestazioni come disciplinate dal negozio giuridico.
[3] Bianca M., Il contratto, diritto civile, Giuffrè, Milano, 2015, pag. 688
[4]  Bianca, Il contratto, cit. 688
[5] Donvito A., Ordine avvocati di Milano, incontro formazione, 2014
[6] Di Marzio F., Il trattamento dell’usura sopravvenuta tra validità, illiceità, inefficacia della clausola di interessi, in Giust. Civ., 2000, 3099
[7] Un problema, peraltro, si è posto anche in riferimento al rilievo degli interessi moratori in relazione al fenomeno dell’usura in generale,e, nello specifico, anche in relazione alle ipotesi di usura sopravvenuta, trattandosi in particolare, di oneri futuri ed eventuali i quali emergono dunque nel corso del rapporto. A tal fine ci si è chiesti non solo se i medesimi siano cumulabili con gli interessi corrispettivi nella concreta valutazione della sussistenza dei tassi usurari, ma si sono proposte soluzioni apposite per le ipotesi in cui l’usura sopravvenuta concernesse nello specifico gli interessi usurari, avendo molti autori fatto apposito riferimento, a tal fine, alla possibile applicazione di quanto disposto dall’art. 1384 cc come meccanismo risolutivo per le ipotesi in cui le sopravvenienze concernano interessi moratori. Vedi Dolmetta, l’usura sopravvenuta in Cassazione, in www.cortedicassazione.it, 2017.
[8] Chinè, Fratini, Zoppini, Manuale di diritto civile, Nel diritto editore, Roma, 2017
[9] Dolmetta A, La Cass. n. 602/2013 e l’usurarietà sopravvenuta, in www.ilcaso.com, 2013.
[10] Emblematica e volta a racchiudere tutti gli orientamenti precedenti e coerenti con questa prospettiva è la pronuncia del 19 marzo 2017 n. 6514
[11] Dolmetta A., L’usura sopravvenuta in Cassazione, pag. 6
[12] Evidente risulta come l’aver statuito che il momento rilevante al fine di individuare la sussistenza dell’usurarientà sia quello genetico mette in dubbio anche l’altro tipo di usura sopravvenuta, di cui si parlerà nel prossimo paragrafo, nella quale il superamento dei tassi non avviene in virtù dell’intervento della normativa del ’96 ma sulla base della crescita del tasso concreto originariamente pattuito, o della variazione del tasso medio applicato, che può determinare un superamento della soglia non preventivato nel corso del rapporto contrattuale. Questo è evidente proprio poiché l’aver stabilito che risulta rilevante solo il momento di conclusione del contratto, significa dire che non rileverà nessun tipo di sopravvenienza, né normativa, né fattuale.
[13] Gazzoni F., Usura sopravvenuta e tutela del debitore, in Riv. Notariato 2000, pag. 1447 ss e Dolmetta A., La Cass. n. 602/2013 e l’usurarietà sopravvenuta, in www.ilcaso.it, 2013
[14] Civale F., Usura sopravvenuta: la Cassazione riapre il contenzioso banca-cliente, in Riv. Dir. Banc., www.dirittobancario.it, 7, 2013
[15] Landini S., Lezioni SSPL firenze, gennaio 2018
[16] Nelle quali veniva avallato, come meglio si vedrà, il rimedio della sostituzione automatica delle clausole poste in violazione del divieto, con quelle compatibili rispetto alla disciplina legale, ex artt. 1339 e 1419 cc
[17] Fasci E., Usura sopravvenuta al vaglio delle Sezioni Unite,in www.salvisjuribus.it, 2017
[18] Dolmetta A., La Cass. n. 602/2013 e l’usurarietà sopravvenuta, www.ilcaso.it, 2013
[19] Nonché in virtù della profonda crisi che attraversava in quegli anni il sistema bancario, anche in virtù del repentino calo dei saggi applicabili in concreto a seguito delle modifiche operate dalla legge del ‘96
[20] Chinè, Fratini, Zoppini, Manuale di diritto civile, Neldiritto editore, Roma, 2017, pag. 317, e Perna D., Usura sopravvenuta: la decisione delle Sezioni Unite, in www.altalex.it , 2017
[21] Primo tra tutti Dolmetta, le cui argomentazioni sono state, peraltro, riprese in alcune pronunce giurisprudenziali volte ad avallare il fenomeno in esame
[22] La Corte lascia intendere come sia coerente con l’interpretazione del nuovo art. 1815 comma 2, un assetto che escluda l’applicazione della suddetta fattispecie, di stampo marcatamente sanzionatorio, ad ipotesi in cui viene meno il fondamento giustificativo della sanzione, come appunto nei casi di usura sopravvenuta
[23] Dolmetta A., L’usura sopravvenuta in Cassazione, 2017
[24]  Nullo o inefficace, a seconda, come vedremo di quale tesi si ammetta in ordine a quelli che possono essere gli strumenti rimediali volti a contrastare l’usura sopravvenuta
[25] Dolmetta A., La Cass. n. 603/2013 e l’usurarietà sopravvenuta, 2017, cit. 5
[26] D’Adamo D., La rivalutazione del principio di meritevolezza contrattuale nella tutela del contraente debole, in www.diritto.it, 2017. Evidente, in questo ambito, l’influenza del principio di buona fede oggettiva, in base al quale assumono sempre più rilevanza nell’esecuzione del contratto non solo le prestazioni prestabilite dal negozio, ma anche tutta una serie di obblighi accessori di protezione dell’altro contraente
[27] Mucciarone G., Attendendo la decisione del collegio di coordinamento dell’ABF su usura e interessi moratori: ABF n. 77/2014 e ABF n. 125/2014, in Riv. dir. banc., dirittobancario.it, 7, 2014
[28] Adottando, peraltro, la soluzione della sostituzione automatica delle clausole con quelle contenenti il tasso legittimo secondo la disciplina legale. Il criterio scriminante tra le ipotesi di usura genetica ed usura sopravvenuta sarebbe dunque il 1815 comma 2, che potrebbe applicarsi solo nelle ipotesi di usura originaria
[29] Guizzi G., Principi, regole, interpretazione, contratti e obbligazioni, famiglie e successioni,scritti in onore di Giovanni Furgiuele, 2017,  google.books.it
[30] Guizzi G., Principi, regole, interpretazione… cit. 75
[31] Russo R., L’usura sopravvenuta al cospetto delle Sezioni Unite, in www.iurisprudentia.it , 2017
[32] Bianca M., Il contratto, Giuffrè Editore, Milano, 2015 pag. 612 ss
[33] Roppo V., Il contratto, Giuffrè Editore, Milano, 2011, pag. 689
[34] Russo R., L’usura sopravvenuta al cospetto delle Sezioni Unite, cit. 6 ss
[35] Il fatto che si parli di sopravvenienze esclude già di per sé la possibilità che la patologia possa riferirsi al momento di conclusione del contratto. La valutazione circa la validità del negozio si riferisce inevitabilmente alla situazione fattuale e normativa esistente al momento della stipula, essendo le sopravvenienze in fase di esecuzione del rapporto, necessariamente da riferire al momento esecutivo e non a quello genetico
[36] S. Pagliantini, La saga (a sfaccettature multiple) dell’usurarietà sopravvenuta, cit., p. 611 in Corriere Giuridico, 2017, n. 5, IPSOA, pag. 608
[37] Guizzi G., Tentazioni pericolose: il miraggio dell’usura sopravvenuta, in Scritti in onore di Giovanni Furgiuele, cit. 71 ss
[38] Proposta soprattutto da Dolmetta A., L’usura sopravvenuta in Cassazione., cit. 20 ss
[39] DiMajo A., Ferri G.B, Franzoni M., L’nvalidità del contratto, Giappichelli editore, Torino, 2002, pag. 456 ss
[40] Enna L., Concorso per uditore giudiziario, tema: “l’usura sopravvenuta”, in Studium Iuris, Cedam, 1/2018, pag. 37 ss
[41] Gazzoni F., Manuale di diritto privato, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2017, pag. 1016 ss. Quest’ultimo evidenzia come non vi sia consenso in dottrina circa la natura dell’azione di rescissione. Ci si chiede, in particolare, se si tratti di un’ipotesi d’invalidità, al pari di quella di annullamento. Il vero dubbio, tuttavia, concerne per lo più il fondamento di tale strumento. Il dubbio è che ad essere tutelata sia l’autonomia contrattuale e la deviazione del processo volontaristico del soggetto ovvero l’equilibrio delle posizioni contrattuali in termini oggettivi. Ad avallare questa seconda tesi vi è il divieto di convalida del negozio rescindibile.
[42] Gazzoni F., Manuale di diritto privato, cit. 1015
[43] Fratini M., Il sistema di diritto civile n.1: le obbligazioni, Dike Giuridica, Roma, 2017, pag. 93 ss
[44] Gazzoni F., Manuale di diritto privato, cit. 1023
[45] Guarina G., L’ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite in tema di usura sopravvenuta, in dir. Civ. contemporaneo, I, 2017
[46] Fratini M., Il sistema di diritto civile, il contratto, cit.308
[47] Guizzi G., Tentazioni pericolose: il miraggio dell’usura sopravvenuta, cit. 71 ss
[48] Passagnoli G., Ancora su regole e principi: l’usurarietà sopravvenuta, in riv. Persona e mercato, 2015
[49] Passagnoli G., Ancora su regole e principi, cit. 109
[50] Testo integrale della pronuncia reperito in www.arbitrobancarioefinanziario.it
[51] Passagnoli G., Ancora su regole e principi, cit. 106
[52] Amelio F., La gestione delle sopravvenienze e l’obbligo di rinegoziazione del contratto, in www.salvisjuribus.it, 2017, e Fratini M., Il sistema di diritto civile, Il contratto, cit. 3119 ss
[53] Salvo eventuali responsabilità di natura precontrattuale derivanti darottura ingiustificata dalle trattative
[54] Tribunale di Napoli, 09.02.2018 n. 1476
[55] Contrasti che, come mette in evidenza la stessa Corte, riguardano non solo il tema del rilievo da attribuire al fenomeno in esame, ma anche le soluzioni rimediali da adottare, avendo la Cassazione, nel corso di un ventennio adottato soluzioni molto differenti che vanno dalla nullità sopravvenuta, alla sopravvenuta inefficacia, al rilievo da attribuire alla buona fede e ancora al disconoscimento totale di qualsiasi rilevanza al fenomeno in relazione a quanto disposto limpidamente dalla legge d’interpretazione autentica del 2001
[56] Cass Sez. Un. N. 24675/2017
[57] Corte Cost., n. 29 del 2002
[58] Alecci S., Le Sezioni Unite ed il tramonto della “usura sopravvenuta” in dir. Civ. Contemporaneo, num. IV, 2017 e Cristofari R., Vita, morte e resurrezione, sotto altre spoglie, dell’usurarietà sopravvenuta, in www.personaedanno.it , 2017
[59] Cristofari R., Vita, morte e resurrezione, sotto altre spoglie, dell’usurarietà sopravvenuta, cit. 9

 


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