Mantenimento escluso se il figlio, precario, può accedere al reddito di cittadinanza

Mantenimento escluso se il figlio, precario, può accedere al reddito di cittadinanza

È principio ormai cristallizzato nel panorama giuridico nazionale, grazie alle autorevoli pronunce della Suprema Corte, l’assunto secondo cui “La valutazione delle circostanze che giustificano la ricorrenza o il permanere dell’obbligo dei genitori al mantenimento dei figli maggiorenni va effettuata dal giudice del merito, necessariamente, caso per caso e con criteri di rigore proporzionalmente crescente in rapporto all’età dei beneficiari, in modo da escludere che tale obbligo assistenziale, sul piano giuridico, possa essere protratto oltre ragionevoli limiti di tempo e di misura, al di là dei quali si risolverebbe in forme di parassitismo di ex giovani ai danni dei loro genitori sempre più anziani” (Cass. civ. Sez. I, 22.06.2016 n. 12952).

L’obbligo di mantenimento non può essere protratto oltre ragionevoli limiti di tempo e di misura, poiché il diritto del figlio si giustifica nei limiti del perseguimento di un progetto educativo e di un percorso di formazione, nel rispetto delle sue capacità, inclinazioni e aspirazioni, purché compatibili con le condizioni economiche dei genitori (Cass. civ. Sez. VI, 26.04.2017 n. 10207).

A sostegno della completezza del quadro delineato dalle precedenti e citate pronunce, appare emblematica un’ulteriore, recentissima ordinanza, la n. 40882 del 20 dicembre 2021, emessa dalla Cassazione civile, sez. I, secondo cui l’accertamento dell’impossibilità per l’alimentando di provvedere al soddisfacimento dei propri bisogni primari non può prescindere dalla verifica dell’accessibilità a forme di provvidenza che consentano di attutire, seppur  temporaneamente, lo stato di bisogno, quale ad esempio il reddito di cittadinanza.

Secondo i giudici della Suprema Corte, non spetta l’assegno di mantenimento al figlio maggiorenne disoccupato che, pur non avendo trovato un’occupazione lavorativa attraverso la quale sia in grado di provvedere al proprio sostentamento economico, non si sia attivato per l’ottenimento delle misure di sostegno sociale come il reddito di cittadinanza, ricorrendo i requisiti per usufruirne.

Nella fattispecie in esame, il figlio possedeva come titolo di studio una laurea triennale in informatica, era disoccupato ed in forza delle precarie condizioni economiche era costretto a dormire in dormitorio pubblico, a seguito dello sfratto subito conseguentemente alla vendita dell’appartamento in cui abitava con la madre e con la nonna. In tale precaria situazione aveva richiesto alla madre un assegno di quattrocento euro mensili.

La decisione degli Ermellini è radicata nell’accolto principio secondo cui una volta che il percorso formativo del figlio maggiorenne sia volto al termine, spetta a quest’ultimo provare di essersi  adeguatamente adoperato in modo fattivo per rendersi indipendente dal punto di vista economico, anche ridimensionando le sue aspirazioni, se del caso.

Dunque, nessun assegno dal genitore, malgrado la mai raggiunta indipendenza economica determinata dall’attuale e profonda crisi del mercato del lavoro, ma in ultima istanza il reddito di cittadinanza, per il figlio over 30 che non è riuscito ancora a trovare un lavoro in grado di renderlo indipendente e ciò perché più trascorrono gli anni, più si affievolisce il diritto all’assegno a carico del genitore in favore del figlio maggiorenne, abile al lavoro, ma disoccupato.

Il genitore obbligato si libererebbe dunque dall’obbligazione facendo valere, in rapporto all’età del richiedente, il fatto che il figlio abbia conseguito un titolo professionale ma non l’abbia adeguatamente attivato – del tutto o a sufficienza – per trovare un’occupazione consona a garantirgli uno stile di vita indipendente e dignitoso, essendo opportuno invece richiamare (qualora ne ricorrano i presupposti) strumenti di sostegno al reddito a carico dello stato sociale.

Ma la recente pronuncia non è l’unica a dirigersi in tale senso.

Quanto sin qui esplicato emerge  anche dall’ordinanza 38366/21, pubblicata il 3 dicembre scorso dalla Sez. I civile della Cassazione.

In quest’ultimo caso, la Corte accoglieva i motivi del ricorso formulati dal padre ricorrente, pensionato e divorziato, condannato dalla Corte d’Appello di Roma a versare la somma di € 300 mensili in favore della figlia ormai trentacinquenne.

Il tutto benché in passato la ragazza avesse ripetutamente rifiutato di impiegarsi presso l’attività del padre, declinando anche offerte di lavoro di terzi.

L’errore dei giudici del merito risiede nel non aver appurato se la giovane donna avesse utilizzato il titolo professionale conseguito per reperire un’occupazione stabile, onerando invece il padre di dimostrare il raggiungimento dell’indipendenza economica da parte della medesima. Nel testo dell’ordinanza, gli Ermellini, chiariscono come la necessità di mantenere una «vita dignitosa», non possa più essere soddisfatta attraverso il mantenimento a carico dell’anziano genitore, ma attraverso la fruizione di altri strumenti di ausilio atti a sostenere il reddito e ormai di dimensione sociale: il reddito di cittadinanza.

Dunque, per costante e confermato indirizzo della giurisprudenza di legittimità, l’obbligo dei genitori di concorrere al mantenimento dei figli non cessa certamente con il mero raggiungimento della maggiore età da parte di questi ultimi.

Tuttavia, il venir meno del diritto al mantenimento si verifica qualora il figlio, in rapporto all’età raggiunta dal medesimo, abusando di quel diritto, tenga un comportamento d’inerzia o di rifiuto ingiustificato di occasioni di lavoro (ovvero di colpevole negligenza nel compimento del corso di studi intrapreso) e, quindi, di disinteresse nella ricerca dell’indipendenza economica e nello sfruttamento del titolo professionale o scolastico perseguito, rifiutando financo di godere degli strumenti che agevolino la propria indipendenza economica, quale ad esempio il reddito di cittadinanza.


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Avv. Eleonora Deborah Iannello

Avvocato, docente di diritto e redattore di articoli giuridici in materi di diritto civile e penale.

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