Marchio debole e rischio confusorio

Marchio debole e rischio confusorio

Premessa. La Suprema Corte di Cassazione, Sez. Prima Civile, mediante l’ordinanza n. 12566 del 12.5.2021, ha fornito importanti spunti in merito alla protezione del marchio debole rispetto al rischio confusorio, qualora il segno anteriore risultasse caratterizzato da una ridotta capacità distintiva in quanto intrinsecamente connesso al prodotto o al servizio offerto.

La vicenda. La società Music Academy 2000 S.r.l., titolare del marchio “Music Academy”, proponeva opposizione alla domanda di registrazione di un marchio posteriore presentata da Music Academy Italia S.r.l.

L’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi rilevava che i marchi in conflitto erano da considerarsi simili tra loro e che gli elementi figurativi che li accompagnavano erano, in una valutazione globale, recessivi rispetto a quelli denominativi.

Inoltre, la locuzione “Music Accademy” era dotata di una ridotta capacità distintiva, ma che le coincidenze letterali erano tali da neutralizzare le differenze esistenti, le quali risultavano attenuate anche dalla circostanza per cui i prodotti e servizi contrassegnati erano identici o molto simili, restando in tal modo compensato il carattere debole del segno.

L’Ufficio, pertanto, accoglieva l’opposizione.

Tuttavia, la Commissione ricorsi ha successivamente rigettato l’opposizione, osservando come l’espressione “Music Accademy” presentasse natura generica e descrittiva, avendo attinenza ai servizi forniti nel settore della formazione, del divertimento e delle attività culturali in campo musicale.

In conseguenza, stante il carattere debole del marchio, l’esaminatore avrebbe dovuto orientarsi più che sui disegni – un presunto “cuore” – individuato nella loro coincidente parte denominativa, sulle modificazioni o aggiunte presenti in quello posteriore per stabilire se vi fosse imitazione integrale o in modo molto prossimo dell’insieme denominativo-figurativo oppure se la confondibilità fosse da escludere per gli interventi correttivi, seppur modesti, adottati in tale contesto.

Inoltre, la Commissione ricorsi precisava che la ridotta capacità distintiva del marchio debole comporta una tutela affievolita, onde lievi variazioni o integrazioni risulterebbero idonee ad escludere la contraffazione, consentendo la coesistenza dei segni.

La S.r.l. titolare del marchio ha impugnato con ricorso per Cassazione la pronuncia della Commissione, lamentando, tra le altre, che l’organo giudicante non avrebbe fatto corretta applicazione non solo di quanto disposto dall’art. 12, comma 1, lett. d), c.p.i., ma anche dei criteri legali sul carattere distintivo e sul rischio di confusione tra i segni.

La decisione della Suprema Corte. In via preliminare, gli Ermellini hanno ritenuto che l’apprezzamento del giudice di merito sulla confondibilità fra segni distintivi similari deve essere compiuto non in via analitica, attraverso il solo esame particolareggiato e la separata considerazione di ogni elemento, ma in via globale e sintetica[1].

L’accertamento va condotto con riguardo all’insieme degli elementi salienti grafici e visivi, mediante una valutazione di impressione, che prescinde dalla possibilità di un attento esame comparativo e che va condotta in riferimento alla normale diligenza e avvedutezza del pubblico dei consumatori di quel genere di prodotti, dovendo il raffronto essere eseguito tra il marchio che il consumatore guarda e il mero ricordo dell’altro.

Tale principio è conforme a quanto statuito dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea, secondo cui il rischio di confusione tra marchi deve essere oggetto di valutazione globale[2].

Ciò premesso, la Corte di Cassazione ha osservato che la Commissione ricorsi bene avesse eseguito l’accostamento grafico, cromatico e lessicale dei vari elementi.

Nel caso in specie, l’impressione suscitata dall’insieme dei segni distintivi non era sovrapponibile, dovendosi ritenere sufficiente la diversificazione tra i marchi operata con parole, colori e simboli, i quali si associavano alla comune denominazione descrittiva “Music Accademy”.

Secondo gli Ermellini deve ritenersi irrilevante la deduzione del ricorrente secondo cui nella percezione del pubblico rimarrebbe impressa la parte dominante, piuttosto che qualche marginale aspetto grafico.

Pertanto, la componente descrittiva del segno – ossia l’espressione “Music Accademy” – non può, almeno di regola, assumere valenza dominante all’interno del marchio, in quanto è inidonea ad essere percepita dal pubblico e a imprimersi nella memoria dello stesso, come un elemento munito di propria distintività.

Tale rilievo spiega anche sul tema della configurabilità di una contraffazione del marchio debole che si concreti nella riproduzione del segno con interventi emendativi o additivi di portata marginale.

Nella tradizione della Corte, difatti, la distinzione tra marchi forti e marchi deboli – ossia tra segni che rispettivamente non presentano, o presentano, aderenza concettuale al prodotto o al servizio offerto – rileva nel senso che, mentre per il marchio forte vanno considerate illegittime tutte le modificazioni, pur rilevanti ed originali, che ne lascino comunque sussistere l’identità sostanziale ovvero il nucleo ideologico espressivo costituente l’idea fondamentale che si riassume, caratterizzandola, come la sua attitudine individualizzante, per il marchio debole sono sufficienti ad escluderne la confondibilità anche lievi modificazioni o aggiunte[3].

Questa differenza di tutela viene solitamente spiegata con la considerazione che i c.d. marchi deboli sono tali in quanto risultano concettualmente legati al prodotto in quanto la fantasia che li ha concepiti non è andata oltre il rilievo di un carattere o di un elemento dello stesso oppure ancora per l’uso di parole di comune diffusione che non sopportano di essere oggetto di un diritto esclusivo[4]: traspare in ciò, la valorizzazione dell’esigenza, avvertita pure da una giurisprudenza di merito, di delimitare, in funzione antimonopolistica, l’ambito di tutela dei marchi aventi un forte contenuto descrittivo, consentendo ai concorrenti di utilizzare segni nei quali sono presenti elementi che suggeriscono lo stesso accostamento al prodotto o al servizio contrassegnato.

Ne discende la regola secondo cui, per il marchio debole, stante lo scarso valore distintivo del segno che renderebbe meno consistente il rischio di confusione, sono sufficienti ad escluderne la confondibilità anche lievi modificazioni o aggiunte.

Bisogna tuttavia tener presente che la suddetta regola va declinata in concreto, verificando se le variazioni apportate col marchio successivo al marchio anteriore possano considerarsi o meno trascurabili, secondo le circostanze, ai fini della confondibilità tra i segni.

Nel caso in specie, secondo la Suprema Corte, la Commissione ricorsi non si era arrestata alla semplice presa d’atto della natura debole del marchio del ricorrente, ma ha rilevato che il rischio di confusione tra i segni fosse da escludere.

A fronte di detto accertamento di fatto, la deduzione dell’istante secondo cui le lievi modificazioni del marchio debole valgano ad escludere la contraffazione devono essere idonee ad essere percepite con valore differenziante dai consumatori dei prodotti contrassegnati dal marchio in conflitto, si rileva non concludente.

Alla luce dei principi come sopra richiamati, i Giudici di legittimità hanno condiviso che il segno distintivo “Music Accademy” doveva essere qualificato come marchio debole, donde la decisione assunta dalla Commissione ricorsi non poteva che essere confermata, in quanto gli elementi modificativi e integrativi del marchio posteriore erano sufficienti a superare il raggio di protezione riconosciuto al marchio anteriore.

La Cassazione, pertanto, ha rigettato il ricorso.

 

 

 

 


[1] Vedasi, in tal senso, Cass. 6.4.2018, n. 8577; Cass. 28.1.2010, n. 1906; Cass. 7.3.2008, n. 6193
[2] Corte Giustizia CE 11.11.1997, C-251/95, Sabel, 22 e 23; Corte Giustizia CE 22.6. 1999, C-342/97, Lloyd, 25
[3] Tra le tante: Cass. 14.5.2020, n. 8942; Cass. 18.6.2018, n. 15927; Cass. 24.6.2016, n. 13170)
[4] Così Cass. 25.1.2016, n. 1267; Cass. 26.6.1996, n. 5924

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