Marchio: ipotesi di concorrenza sleale e contraffazione

Marchio: ipotesi di concorrenza sleale e contraffazione

In tema di contraffazione, la presenza sul mercato di modelli pedissequi e/o antecedenti  alla registrazione di un marchio e ancor prima, la carenza di contraffazione per mancata riproduzione di elementi individualizzanti, rappresentano condizioni idonee al rigetto delle richieste cautelari di inibitoria della commercializzazione del prodotto.

Il fenomeno della globalizzazione ha determinato, unitamente alla forte interazione economica a livello mondiale, nuove esigenze di diversificazione delle imprese, che mirano a rimarcare l’individualità dei propri brand e/o prodotti.

Una minuziosa definizione di marchio è delineata dal Codice dei Diritti di Proprietà Industriale, che individua, all’articolo 7, quale contenuto idoneo alla registrazione “tutti i segni suscettibili di essere rappresentati graficamente, in particolare le parole, compresi i nomi di persone, i disegni, le lettere, le cifre, i suoni, la forma del prodotto o della confezione di esso, le combinazioni o le tonalità cromatiche, purché siano atti a distinguere i prodotti o i servizi di un’impresa da quelli di altre imprese.”.

Il diritto del titolare del marchio d’impresa, a seguito della registrazione, consiste nella facoltà di uso esclusivo e nel divieto ai terzi, salvo proprio consenso, di impiego dello stesso nell’attività economica.

Pertanto, la violazione dell’art. 20 c.p.i. integra, al contempo, la fattispecie di concorrenza sleale ex art. 2598 c.c. e di contraffazione ex art. 498 c.p.

Il titolare del diritto leso potrà dunque agire in giudizio per la tutela delle sue ragioni, qualora ricorrano i presupposti previsti ex lege.

Di assoluto interesse, un pertinente nonché recentissimo caso in cui, una nota società napoletana – “TK” operante nel settore merceologico di velocipedi/quad elettrici – vedeva applicarsi un sequestro cautelativo sulla merce importata dalla Cina, poiché, a seguito di controlli, gli agenti accertatori ravvisavano un’apparente ipotesi di contraffazione di un conosciuto marchio commerciale.

A questo punto della trattazione, appare doveroso soffermarsi sull’attenta analisi dei requisiti vincolanti, affinché un marchio, così come obbligatoriamente previsto dal Codice della Proprietà Industriale,  possa considerarsi legalmente efficace: –Novità; – Capacità distintiva; – Liceità.

Il codice, ad opera degli articoli 12, 13 e 14, elenca tassativamente le ipotesi non riconducibili all’alveo suscettibile di tutela da parte dell’ordinamento.

Nel caso di specie, le violazioni menzionate attenevano all’uso di adesivi apparentemente identici al menzionato marchio motociclistico, pur differenziandosi per un uso commerciale dissimile e recante segni distintivi/colori univoci; tuttavia non qualificabile come reato di contraffazione in quanto ben lontano dall’operare in un regime di concorrenza sleale.

Per questi motivi, il GIP disponeva l’archiviazione del procedimento, data l’insussistenza di elementi integranti il reato di contraffazione.

Coerentemente a tale pronuncia, un’autorevole giurisprudenza così ha statuito: “In tema di contraffazione, la presenza di modelli identici sul mercato in data anteriore alla registrazione del modello stesso, il mercato affollato e, ancora prima, la carenza – prima facie – di contraffazione per la mancata riproduzione degli elementi individualizzanti, sono elementi che depongono tutti per il rigetto delle richieste cautelari di inibitoria della commercializzazione del prodotto. Al fine del riconoscimento dell’invocata tutela di cui all’art. 2598 n 1 c.c., è necessario verificare, oltre alla sussistenza della condotta dell’imitazione e della sua idoneità a generare confusione, anche la ricorrenza degli altri elementi costitutivi, che devono ricorrere tutti congiuntamente, della capacità distintiva del segno e della sua notorietà qualificata. L’imitazione servile va riferita non alla riproduzione di qualsiasi forma del prodotto altrui, ma solo a quella che cade su caratteristiche esteriori dotate di efficacia individualizzante, idonee, in virtù della loro capacità distintiva, a ricollegare il prodotto ad una determinata impresa.”(Tribunale Milano Sez. Imprese 2017).

In conclusione, la particolare disciplina della proprietà industriale è interessata da pronunce talvolta contrastanti e fuorvianti, conseguenza, di un manchevole controllo di anteriorità da parte delle autorità competenti in ordine ai marchi e/o brevetti; difatti, pur accordando tutela già al deposito, eventuali opposizioni potranno essere sollevate unicamente da coloro i quali rivendichino diritti antecedenti alla registrazione per poi procedere in autotutela.


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Immacolata Pignardelli

p. Avvocato Ab. del Foro di Napoli, attualmente collabora con un prestigiosi studi legali sito in Napoli e Roma, specializzati in tematiche del diritto civile, in particolare: diritto bancario, diritto societario, diritto fallimentare, diritto immobiliare, diritto assicurativo, recupero credito, proprietà intellettuale (marchi/brevetti) Laureata nel luglio 2018 presso la facoltà di Giurisprudenza, ha discusso una tesi in Informatica Giuridica dal titolo "Sistemi di sicurezza in ambito bancario". Un lavoro, che ha condotto all’attenta analisi delle connesse responsabilità civili e/o penali intercorrenti tra la banca e correntisti, rapporti di governance interbancari e di lettura congiunta delle direttive della Consob e Codice della Privacy.

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