Maternità surrogata e “diritto ad essere genitori” dopo la sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione n. 12193 del 2019

Maternità surrogata e “diritto ad essere genitori” dopo la sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione n. 12193 del 2019

La recente decisione delle Sezioni Unite della Cassazione n. 12193 del 2019[1] in tema di maternità surrogata ha indubbiamente suscitato particolare interesse in dottrina[2]. Ciò in quanto i giudici di legittimità, in controtendenza rispetto ad un recente orientamento giurisprudenziale disposto a riconoscere nel nostro Ordinamento un generico diritto ad essere genitori, hanno affermato che il divieto previsto dall’art. 12, comma 6, della legge n. 40 del 2004 racchiude un principio di ordine pubblico. In tema, infatti, le Sezioni Unite hanno affermato che circa il «riconoscimento dell’efficacia del provvedimento giurisdizionale straniero, la compatibilità con l’ordine pubblico, richiesta dagli artt. 64 e ss. della legge n. 218 del 1995, dev’essere valutata alla stregua non solo dei principi fondamentali della nostra Costituzione e di quelli consacrati nelle fonti internazionali e sovranazionali, ma anche del modo in cui gli stessi si sono incarnati nella disciplina ordinaria dei singoli istituti, nonché dell’interpretazione fornitane dalla giurisprudenza costituzionale ed ordinaria, la cui opera di sintesi e ricomposizione dà forma a quel diritto vivente dal quale non può prescindersi nella ricostruzione delle nozione di ordine pubblico, quale insieme dei valori fondanti dell’ordinamento in un determinato momento storico». Da quanto premesso sembra, dunque, potersi affermare che con la sentenza in esame la Cassazione ha inteso privilegiare una nozione di ordine pubblico non più limitato «ai soli principi supremi o fondamentali e vincolanti della Carta costituzionale»[3] comuni anche ad altri ordinamenti giuridici. Così, a differenza di quanto affermato nell’ordinanza del 22 febbraio 2018, n. 4382, le Sezioni Unite della Cassazione hanno delineato un concetto di ordine pubblico interessato delineato anche da altre regole che pur non trovando collocazione nella Costituzione, «rispondono all’esigenza di carattere universale di tutelare i diritti fondamentali dell’uomo, o che informano l’intero ordinamento in modo tale che la loro lesione si traduce in uno stravolgimento dei valori fondamentali dell’intero assetto ordinamentale».[4]

In tal senso, continua la Corte, «il riconoscimento dell’efficacia del provvedimento giurisdizionale straniero con cui sia stato accertato il rapporto di filiazione tra un minore nato all’estero mediante il ricorso alla maternità surrogata ed il genitore d’intenzione munito della cittadinanza italiana trova ostacolo nel divieto della surrogazione di maternità previsto dall’art. 12, comma sesto, della legge n. 40 del 2004, qualificabile come principio di ordine pubblico, in quanto posto a tutela di valori fondamentali, quali la dignità umana della gestante e l’istituto dell’adozione; la tutela di tali valori, non irragionevolmente ritenuti prevalenti sull’interesse del minore, nell’ambito di un bilanciamento effettuato direttamente dal legislatore, al quale il giudice non può sostituire la propria valutazione, non esclude peraltro la possibilità di conferire rilievo al rapporto genitoriale, mediante il ricorso ad altri strumenti giuridici, quali l’adozione in casi particolari, prevista dall’art. 44, comma primo, lett. d), della legge n. 184 del 1983».

Così, nella prospettiva di un bilanciamento del cosiddetto favor veritatis e di tutela della dignità della gestante, le Sezioni Unite, facendo leva sull’interesse del minore a vedere riconosciuti pur in assenza di un legame biologico i rapporti sviluppatisi «con soggetti che se ne prendono cura, individua nell’art. 44, comma primo, lett. d), della legge n. 184 del 1983 una clausola di chiusura del sistema, volta a consentire il ricorso a tale strumento tutte le volte in cui è necessario salvaguardare la continuità della relazione affettiva ed educativa, all’unica condizione della “constatata impossibilità di affidamento preadottivo”, da intendersi non già come impossibilità di fatto, derivante da una situazione di abbandono del minore, bensì come impossibilità di diritto di procedere all’affidamento preadottivo»[5].

La Corte, inoltre, richiamando la sentenza della Cass., Sez, I, 11/11/2014, n. 24001 e ricordando che l’ordine pubblico internazionale è «il limite che l’ordinamento nazionale pone all’ingresso di norme e provvedimenti stranieri, a protezione della sua coerenza interna», e dunque «non può ridursi ai soli valori condivisi dalla comunità internazionale, ma comprende anche principi e valori esclusivamente propri, purché fondamentali e (perciò) irrinunciabili»,ha ritenuto pacifica l’applicabilità del divieto della surrogazione di maternità risultante dall’art. 12, comma sesto, della legge n. 40 del 2004, osservando che tale disposizione è indubbiamente di ordine pubblico, come suggerisce già la previsione della sanzione penale, posta, di regola, a presidio di beni fondamentali. Ha inoltre precisato che «vengono qui in rilievo la dignità umana – costituzionalmente tutelata – della gestante e l’istituto dell’adozione, con il quale la surrogazione di maternità si pone oggettivamente in conflitto, perché soltanto a tale istituto, governato da regole particolari poste a tutela di tutti gli interessati, in primo luogo dei minori, e non al mero accordo delle parti, l’ordinamento affida la realizzazione di progetti di genitorialità priva di legami biologici con il nato». Inoltre, le Sezioni Unite hanno anche «escluso che tale divieto si ponga in contrasto con l’interesse superiore del minore (cd. best interest of the child principle), tutelato, tra gli altri, dall’art. 3 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989, resa esecutiva in Italia con legge 27 maggio 1991, n. 176, ritenendolo espressione di una scelta non irragionevole, compiuta dal legislatore nell’esercizio della sua discrezionalità, e volta a far sì “che tale interesse si realizzi proprio attribuendo la maternità a colei che partorisce e affidando […] all’istituto dell’adozione, realizzata con le garanzie proprie del procedimento giurisdizionale, piuttosto che al semplice accordo delle parti, la realizzazione di una genitorialità disgiunta dal legame biologico». Dunque, l’incompatibilità affermata della gestazione per altri con la nozione di ordine pubblico così come delineata, nel ragionamento della Corte, non si pone in contrasto con i principi sanciti dalle Convenzioni internazionali in tema dei diritti dei fanciulli in quanto la tutela del minore trova nell’ordinamento un adeguato riconoscimento nella «genitorialità civile», attuabile mediante l’art. 44 lettera d) legge n. 184 del 1983, disciplina già largamente riconosciuta applicabile nella giurisprudenza di merito e di legittimità nell’ambito della genitorialità omoaffettiva (Cass. n. 12692/2016).

Infine, della decisione in oggetto merita di essere evidenziato un ultimo profilo. Con essa, infatti, vi è stata una prima battuta d’arresto al sempre più diffuso tentativo di riconoscere l’esistenza nel nostro Ordinamento di un generico “diritto ad essere genitori”.

Infatti, benché nella Costituzione Italiana non sia contenuta alcuna menzione specifica di un cosiddetto “diritto alla genitorialità”, non sono mancati orientamenti giurisprudenziali favorevoli ad un suo riconoscimento attraverso un’interpretazione sistematica del testo costituzionale (l’ art. 2 in combinato disposto con gli artt. 29, 30 e 32) e come espressione della ‪‎libertà di ‪autodeterminazione che trova adeguata copertura costituzionale (artt. 2, 3 e 31) [6].

Del resto, tale interpretazione è stata accolta nelle ordinanze del 2 luglio 2018 del Tribunale di Pordenone e del 3 gennaio 2019 del Tribunale di Bolzano[7] con le quali è stata sollevata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 5 e dell’art. 12, commi 2, 9, 10 della legge n. 40 del 2004[8].

In queste due ordinanze, si è infatti sostenuto che il divieto vigente nel nostro Ordinamento di accesso alla PMA per le coppie same sex sarebbe in contrasto con l’articolo 2 della costituzione, essendo lesivo del «diritto alla genitorialità consistente nella aspirazione ad avere un figlio, che legittimamente nutre ogni soggetto, specie allorché ha costituito un legame di coppia stabile». In tal senso, pertanto, non considerando il rischio che dietro l’interesse superiore del minore si possa nascondere il tentativo degli adulti di ottenere il riconoscimento giuridico di vincoli familiari diversi e non riconosciuti dall’Ordinamento giuridico[9], non è rimasta isolata la linea che considera esistente nel nostro ordinamento un vero e proprio «diritto alla genitorialità», specificamente declinato come «aspirazione ad avere un figlio». Tuttavia, tali ordinanze, nel trascurare che il superiore interesse del minore relativamente al tema dell’omogenitorialità è utilizzato spesso per verificare se la conservazione di terminati rapporti affettivi siano funzionali o meno al pieno e armonico[10] sviluppo della personalità del minore[11] e nel richiamare l’introduzione nel nostro Ordinamento della disciplina delle unioni civili ad opera della legge n. 76 del 2016, non considera che tale normativa all’articolo 1 co. 20 esclude espressamente l’applicabilità alle unioni civili delle «disposizioni di cui alla legge 4 maggio 1983, n. 184» nonché delle norme del codice civile non espressamente richiamate come, ad esempio, quelle in tema di filiazione.

Del resto in tema la Corte di Cassazione, con sentenza n. 14878 del 2017, ha affermato che la clausola prevista dall’articolo 1 com. 20 della Legge n. 76 del 2016 per la quale «resta fermo quanto previsto e consentito dalle norme vigenti in materia di adozione»[12], deve essere letta nel senso che a favore degli uniti civilmente non possono esservi «adozioni piene e neppure adozioni in casi particolari ex art. 44 L. n. 184, quanto alla lettera b): adozione del figlio del coniuge», restando «aperta una via già praticata da alcune pronunce di merito che hanno applicato la lettera d) dell’art. 44: impossibilità di affidamento preadottivo, secondo un’interpretazione estensiva, che attiene pure all’impossibilità giuridica, oltre a quella di fatto (ove ad esempio non vi siano adottanti disponibili), e può prescindere dunque dall’abbandono».

Appare evidente, dunque, che anche il richiamo alla disciplina delle unioni civili non può certamente essere dirimente per potere considerare esistente ed operante nel nostro Ordinamento un generale diritto “ad essere genitori”.

Del resto, anche la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, che inizialmente ha considerato i principi di ordine pubblico collegati al divieto di maternità surrogata recessivi rispetto al superiore interesse del minore, con la sentenza del 24 gennaio 2017, ric. n. 25358/12 ha poi stabilito che non costituisce violazione dell’art. 8 della Convenzione la decisione delle autorità di uno Stato membro di allontanare il minore nato all’estero ricorrendo alla maternità surrogata dalla coppia che è ricorsa a tale tecnica per il concepimento quando il minore non abbia alcun legame genetico con il padre e la madre committenti. Ciò in quanto, ai fini dell’accertamento di una vita familiare da tutelare ex articolo 8 CEDU ed in assenza di un legame biologico col minore, non è possibile ritenere sufficiente «l’esistenza di un progetto genitoriale e la qualità dei vincoli affettivi» in presenza comunque di altri indici contrari quali una breve convivenza del nucleo familiare e una precarietà giuridica dei legami interpersonali, «malgrado l’esistenza di un progetto genitoriale e la qualità dei vincoli affettivi».

Ad analoghe conclusioni perviene anche la Corte Costituzionale con la sentenza n. 272 del 2017 che partendo dall’elevato grado di disvalore che il nostro ordinamento riconnette alla surrogazione di maternità, vietata da apposita disposizione penale e considerata «un’offesa intollerabile alla dignità della donna che mina nel profondo le relazioni umane», ha escluso l’illegittimità costituzionale dell’art. 263 c.c. chiarendo che «l’esigenza di verità» nella filiazione non può imporsi «in modo automatico sull’interesse del minore». Serve, infatti, una «valutazione comparativa» che, nel caso di nascita da utero in affitto, deve prendere in considerazione tutte le circostanze del caso concreto così come «l’elevato grado di disvalore che il nostro Ordinamento riconnette alla surrogazione di maternità, vietata da apposita disposizione penale»[13].

Al riguardo proprio la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo con un parere consultivo del 15 aprile 2019[14] pur avendo affermato che il diritto del minore nato da pratiche di maternità surrogata al rispetto della vita privata ai sensi dell’articolo 8 della Convenzione richiede che la legislazione nazionale preveda la possibilità di riconoscere una relazione del minore con il cosiddetto genitore intenzionale, ha anche statuito che tale riconoscimento, potendosi delineare anche delle soluzioni diverse rispettose del superiore interesse del minore, non deve necessariamente avvenire consentendo la trascrizione del certificato di nascita nei registri dello Stato.

Risulta allora pacifico che, dovendosi scandagliare concretamente il rapporto che c’è tra minore e adulto, il superiore interesse del minore non può presupporre necessariamente la costituzione di una relazione giuridicamente rilevante tra il minore ed il cosiddetto genitore intenzionale.

Proprio su tale aspetto, dunque, la decisione delle Sezioni Unite dell’8 maggio 2019 n. 12193 in tema di maternità surrogata ha sicuramente il merito di avere escluso che nei casi in cui non sussista un legame biologico tra il minore ed il cosiddetto genitore intenzionale il superiore interesse del minore debba coincidere sempre con la configurazione di un rapporto di filiazione tra gli stessi.

Se fosse così, come si è detto, il superiore interesse del minore finirebbe infatti per sovrapporsi e confondersi con l’interesse degli adulti ad essere genitori. In senso contrario, tale pronuncia rappresenta, invece, un primo arresto all’indiscriminato riconoscimento di un generico diritto alla genitorialità che, del resto, sarebbe in contrasto anche con la categoria giuridica della responsabilità genitoriale che, attraverso la riforma della filiazione[15], ha preso il posto della tradizionale potestà genitoriale e che, come del resto risulta anche dal contesto comunitario ed internazionale, dovendo essere esercitata tenendo conto sia delle capacità del figlio sia delle inclinazioni naturali e delle aspirazioni dello stesso, si sostanzia nell’unicità del rapporto relazionale che si istaura tra l’adulto ed il minore che necessita di cura e di protezione[16].


[1]Cass., Sez. un., 8 maggio 2019, n. 12193, in Guida al dir., 2019, 23, p. 113 e ss.
[2]G. Perlingieri, Ordine pubblico e identità culturale. Luci e ombre nella recente pronuncia delle Sezioni Unite in tema di c.d. maternità surrogata, in Diritto delle successioni e della famiglia, 2019, p. 337 e ss.;U. Salanitro, Quale ordine pubblico secondo le Sezioni Unite? Tra omogenitorialità e surrogazione, all’insegna della continuità, consultabile sul sito www.giustiziacivile.com. Sul tema si rinvia anche a G. Perlingieri, G. Zarra, Ordine pubblico interno e internazionale tra caso concreto e sistema ordinamentale, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2019; Cfr. R. Balbi, Il matrimonio religioso con effetti civili, Giappichelli, Torino, 2014.
[3] G. Casaburi, Riflessioni estemporanee su azioni di stato, nuova genitorialità, tutela del minore, en attendant le SS.UU. del 6 novembre 2018 consultabile online sul sito www.articolo29.it; V. Barba, Note minime sull’ordine pubblico internazionale, consultabile online sul sito www.articolo29.it; M. Dogliotti, Davanti alle sezioni unite della cassazione i “due padri” e l’ordine pubblico. Un’ordinanza di rimessione assai discutibile, consultabile online sul sito www.articolo29.it.
[4] Così Cass., Sez. un., 8 maggio 2019, n. 12193 e Cass., sez. lav., 26 novembre 2004, n. 22332; cfr. P. Romani, D. Liakopoulos, Giustizia materiale nel diritto internazionale privato e comunitario, Giuffrè, Milano, 2009, p. 250.
[5]Cass., Sez. I, 22 giugno 2016, n. 12962. Cfr. Cass., 22 giugno 2016, n. 12962, in Foro. It, 2016 con nota di G. Casaburi, L’adozione omogenitoriale e la Cassazione: il convitato di pietra; G. Recinto, Le genitorialità. Dai genitori ai figli e ritorno, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2016, p. 104 e ss.
[6] Sul tema si rinvia a G. Recinto, Responsabilità genitoriale e rapporti di filiazione tra scelte legislative, indicazioni giurisprudenziali e contesto europeo, in Diritto delle successioni e della famiglia, 2017, p. 895 e ss.
[7] Entrambe interamente consultabili sul sito internet www.articolo29.it.
[8] Al riguardo con un comunicato del 18 giugno 2019 la Corte Costituzionale, riunita in camera di consiglio per discutere le questioni sollevate dai Tribunali di Pordenone e di Bolzano sulla legittimità costituzionale della legge n. 40 del 2004 là dove vieta alle coppie omosessuali di accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita, ha affermato che al termine della discussione le questioni sono state dichiarate non fondate. La Corte ha ritenuto che le disposizioni censurate non siano in contrasto con i principi costituzionali invocati dai due Tribunali.
[9] Di una prospettiva prettamente adultocentrica potenzialmente in conflitto con il best interests of the child parla G. Recinto, Il superiore interesse del minore tra prospettive interne «adultocentriche» e scelte apparentemente «minorecentriche» della Corte europea dei diritti dell’uomo, in Foro it., 2017, I, p. 3669 e ss.; Id., La situazione italiana del diritto civile sulle persone minori di età e le indicazioni europee, in Diritto di famiglia e delle persone, 2012, p. 1304; Id., Le genitorialità. Dai genitori ai figli e ritorno, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2016, p. 99 e ss.; Id., Responsabilità genitoriale e rapporti di filiazione tra scelte legislative, indicazioni giurisprudenziali e contesto europeo, in Diritto delle successioni e della famiglia, 2017, 3, p. 895 e ss..
[10] G. Recinto, La situazione italiana del diritto civile sulle persone minori di età e le indicazioni europee, in Diritto di famiglia e delle persone, 2012, p. 1295 e ss.
[11] Cfr. Corte Cass., 22 giugno 2016, n. 12962 per la quale persone omosessuali possono ricorrere alle cosiddette adozioni in casi particolari ai sensi dell’art. 44, comma 1, lett. d, l. n. 184 del 1983, poiché tale «particolare ipotesi normativa di adozione permette di dare riconoscimento giuridico, previo rigoroso accertamento della corrispondenza della scelta all’interesse del minore, a relazioni affettive continuative e di natura stabile instaurate con il minore e caratterizzate dall’adempimento di doveri di accudimento, di assistenza, di cura e di educazione analoghi a quelli genitoriali».
[12] Art. 1 co. 20 della Legge n. 76 del 2016: «Al solo fine di assicurare l’effettività della tutela dei diritti e il pieno adempimento degli obblighi derivanti dall’unione civile tra persone dello stesso sesso, le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole «coniuge», «coniugi» o termini equivalenti, ovunque ricorrono nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti nonché negli atti amministrativi e nei contratti collettivi, si applicano anche ad ognuna delle parti dell’unione civile tra persone dello stesso sesso. La disposizione di cui al periodo precedente non si applica alle norme del codice civile non richiamate espressamente nella presente legge, nonché alle disposizioni di cui alla legge 4 maggio 1983, n. 184. Resta fermo quanto previsto e consentito in materia di adozione dalle norme vigenti».
[13] Al riguardo la Corte precisa che Corte ha dovuto argomentare come nella filiazione il criterio di verità non sia un principio assoluto: lo dimostra l’istituto dell’adozione, dove il legame genitoriale prescinde da quello genetico. Va dunque escluso che l’«accertamento della verità biologica e genetica dell’individuo costituisca un valore di rilevanza costituzionale assoluta», ma nello stesso tempo bisogna «riconoscere un accentuato favore dell’ordinamento per la conformità dello status alla realtà della procreazione». Tra queste due dimensioni bisogna dunque operare un «bilanciamento», consapevoli che il punto di equilibrio deve coincidere con «l’interesse del minore». «Vi sono casi – ricorda la Consulta – nei quali la valutazione comparativa tra gli interessi è fatta direttamente dalla legge, come accade con il divieto di disconoscimento a seguito di fecondazione eterologa (il coniuge o il convivente che ha prestato il consenso al figlio non può disconoscerlo, anche se non gli ha impresso i propri geni)». In altri, invece, lascia la possibilità che vengano valutate le singole situazioni, e a tal proposito i giudici costituzionali forniscono tre criteri per orientare la decisione: «Durata del rapporto instauratosi col minore», «modalità del concepimento e della gestazione», «presenza di strumenti legali che consentano la costituzione di un legame giuridico col genitore contestato». Proprio dopo aver enunciato questi criteri, la Consulta lancia un esplicito affondo contro la maternità surrogata: la surrogazione di maternità «offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane». La sentenza riconosce che «nel silenzio della legge» (diversamente da quanto accade con l’eterologa) non è possibile disciplinare univocamente la filiazione che da essa discende, ricordando poi come il nostro ordinamento le attribuisca un «elevato grado di disvalore». Secondo i giudici costituzionali, dunque, per attribuire la filiazione di un bimbo nato da un utero in affitto bisogna innanzitutto considerare la grande contrarietà della pratica al nostro corpus giuridico. Se fosse per ciò solo, dunque, il piccolo non potrebbe esser ritenuto figlio di chi l’ha fatto “assembleare” e “gestare” a pagamento. Bisogna tuttavia verificare se questa soluzione sia o meno superabile alla luce dell’interesse del minore, e l’operazione concreta consiste nell’applicazione dei tre criteri sopra enunciati.
[14] Parere consultivo n.  P16-2018-001 del 15 aprile 2019.
[15] Cfr. Legge n. 219 del 10 dicembre 2012, Disposizioni in materia di riconoscimento dei figli naturali; Decreto legislativo n. 154 del 28 dicembre 2013 in tema di Revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, a norma dell’articolo 2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219. In dottrina si rinvia a Aa.Vv., La  riforma del diritto della filiazione, in Nuove legg. civ. comm., 2013, p. 437 e ss.; F. Bocchini, Diritto di famiglia. Le grandi questioni, Torino, 2013, p. 267 ss.; C. M. Bianca, La legge italiana conosce solo figli, in Riv. dir. civ., 2013, I, p. 1 e  ss.; G. Ferrando, La nuova legge sulla filiazione. Profili sostanziali, in Corr. giur., 2013, p. 525 e ss.; M. Sesta, L’unicità dello stato di filiazione e i nuovi assetti delle relazioni familiari, in Fam. dir., 2013, p. 231 e ss.; G. Recinto, Legge n. 219 del 2012: responsabilità genitoriale o astratti modelli di minori di età?, in Dir. fam. pers., 4, 2013, p. 1475 e ss.; F. Bocchini, Diritto di famiglia. Le grandi questioni, Torino, 2013, p. 267 e ss.; A. Palazzo, La riforma dello status di filiazione, in Riv. dir. civ., 2013, p. 245 e ss.; V. Carbone, Riforma della famiglia: considerazioni introduttive, in Fam. dir., 2013, spec. p. 225 e ss.; B. De Filippis, La nuova legge sulla filiazione: una prima lettura, ivi, 2013, p. 291 e ss.
[16] A. Figone, La riforma della filiazione e della responsabilità genitoriale, Torino, 2014; B. Guerrini Degl’Innocenti, I legami di cura: attaccarsi, separarsi, affidarsi, in Fam. e dir., 2015, p. 199 e ss..

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Avv. Alessandro Palma

Alessandro Palma, avvocato del Foro di Napoli e specializzato in professioni legali, è dottore di ricerca in Filosofia del Diritto presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II. Presso lo stesso Ateneo si è perfezionato in Amministrazione e Finanza degli Enti Locali ed è cultore della materia in Diritto Ecclesiastico ed in Diritti Confessionali. E’ Tutor di Diritto Costituzionale alla Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II nonché Tutor di Diritto Ecclesiastico presso l’Università Telematica Pegaso. Per l’a. a. 2018/2019 è docente a contratto sulla cattedra di Diritto Ecclesiastico presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Cassino. I suoi interessi di ricerca vertono principalmente su questioni di bioetica e biodiritto, con particolare riguardo alle tematiche della fine vita e dei diritti fondamentali, sull’esperienza religiosa alla luce delle neuroscienze e della psicologia evoluzionistica e cognitiva, sui rapporti tra diritto e religione e sugli strumenti di inclusione giuridica delle diversità culturali nelle società multiculturali. E’ autore di molteplici recensioni e pubblicazioni scientifiche su riviste nazionali e di una monografia intitolata Finis Vitae. Il Biotestamento tra diritto e religione, Artetetra, Capua, 2018.

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