Morte per fatto illecito e risarcimento danni

Morte per fatto illecito e risarcimento danni

Nei casi in cui la morte di una persona sia stata causata da un fatto illecito (come potrebbero essere, ad esempio, un incidente stradale o un infortunio sul lavoro, etc.) la vittima ha diritto al risarcimento del danno anche non patrimoniale, diritto che viene trasmesso per diritto di successione agli eredi.

Gli aggettivi associati alla parola “danno”, nel tentativo di descrivere al meglio questa tipologia di danno non patrimoniale, sono plurimi: si sente parlare di “danno terminale”, “danno biologico”, “danno tanatologico”, “danno morale”, “danno catastrofico”, etc.

Cerchiamo di fare un po’ di chiarezza sulla base dei principi delineati dalla giurisprudenza negli ultimi anni.

Si tratta anzitutto di espressioni – quelle di “danno terminale”, “danno tanatologico”, “danno catastrofale” etc. – che non corrispondono ad alcuna categoria giuridica, ma hanno un mero valore descrittivo (Cass., Ord. n. 5448/2020).

È ormai consolidato in giurisprudenza l’orientamento, sostenuto anche dalle Sezioni Unite della Cassazione, secondo cui in caso di decesso immediato o avvenuto dopo brevissimo tempo rispetto al momento in cui il soggetto ha riportato le lesioni, la vittima non ha diritto al risarcimento danno da perdita del bene “vita” (Cass., Sezioni Unite, Sent. n. 15350/2015).

Il bene “vita” è fruibile solo in natura dal titolare ed è insuscettibile di essere reintegrato per equivalente, sicché la trasmissibilità agli eredi del diritto al risarcimento di tale pregiudizio è esclusa sia se il decesso avviene immediatamente, poiché manca del tutto un soggetto cui collegare la perdita del bene e nel cui patrimonio possa acquisirsi il relativo credito risarcitorio, sia se la morte si verifica dopo pochissimo tempo, in quanto questo brevissimo spazio di vita manca a tal fine di utilità.

Addirittura l’art. 2 della CEDU, norma di carattere generale e diretta a tutelare ogni possibile componente del bene “vita”, non garantisce un risarcimento ex se del danno non patrimoniale in tali casi, poiché essa né “detta specifiche prescrizioni sull’ambito e i modi in cui tale tutela debba esplicarsi né, in caso di decesso immediatamente conseguente a lesioni derivanti da fatto illecito, impone necessariamente l’attribuzione della tutela risarcitoria” (Cass., Sent. n. 28989/2019).

Secondo la giurisprudenza, il risarcimento del danno in favore degli eredi potrà essere accordato soltanto laddove:

– tra le lesioni e la morte sia intercorso un “apprezzabile lasso di tempo” che, per convenzione giurisprudenziale, si ritiene essere di almeno 24 ore (tale essendo la durata minima necessaria per l’apprezzabilità dell’invalidità temporanea), oppure

– il soggetto leso sia rimasto, anche per brevissimo tempo, in una condizione di “lucidità agonica” (è il cd. danno morale terminale, per la cui risarcibilità è irrilevante il tempo trascorso dalle lesioni al decesso).

Ne consegue che se un soggetto leso non riesce a rimanere “manifestamente lucido” e muore prima delle 24 h, per la giurisprudenza tale soggetto non ha subìto alcun danno non patrimoniale suscettibile di risarcimento, né sotto il profilo biologico – perché non è trascorso un “apprezzabile lasso di tempo” – né da un punto di vista morale – perché se la vittima non era consapevole dell’imminenza della propria morte, non è concepibile che la stessa potesse prefigurarsi la propria morte ed addolorarsi per essa (Cass., Ord. n. 5448/2020).

È il caso, ad esempio, affrontato recentemente dal Tribunale di Pavia (v. Trib. Pavia, Sent. del 19/07/21), che non ha riconosciuto né il danno biologico cd. terminale, perché il soggetto è deceduto all’incirca 22 ore dopo l’incidente, né il danno cd. morale terminale, perché al momento dei soccorsi la vittima era sì lucida, ma i parametri erano stabili e, quindi, non vi era una “sensazione di morte imminente”.

Prima delle 24 h, pertanto, il fatto che il soggetto leso non possa più svolgere le proprie attività quotidiane, e quindi abbia subito quello che viene definito “danno biologico terminale”, è del tutto irrilevante ai fini di un risarcimento.

Anche se non sono trascorse le tanto discusse “24 ore”, se un soggetto era lucido e consapevole che di lì a poco sarebbe morto (ad esempio, rispondeva ai sanitari ricostruendo con dichiarazioni la cronologia degli urti), egli ha diritto ad un risarcimento. La liquidazione, basata in linea generale sulle tabelle per la liquidazione del danno non patrimoniale redatte dall’Osservatorio sulla giustizia civile di Milano (edizione 2021), verrà affidata ad un criterio equitativo “puro” che, correlato alle circostanze del caso concreto, dovrà tener conto dell’enormità del pregiudizio sofferto a livello psichico in quella determinata circostanza (Cass., Ord. n. 16592/2019).

Ogni caso, quindi, è a sé e richiede per questo uno studio specifico.

Oggetto di approfondimento dovranno essere non solo gli elementi del fatto che si presume illecito e che ha provocato le lesioni al soggetto – poiché in mancanza di un fatto illecito non si avrà diritto al risarcimento di cui trattasi –, ma anche, e soprattutto, il periodo di tempo intercorso tra il verificarsi delle prime lesioni e il decesso.


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