Natura giuridica della riserva di legge

Natura giuridica della riserva di legge

Si discute in merito alla natura giuridica della riserva di legge (art. 25 co. 2 Cost.), in ambito penale, ed in particolare riguardo alla qualificabilità di essa tra:

  1. Le riserve di tipo assoluto;

  2. Le riserve di tipo relative.

Nella disamina di questa questione occorre tener presente la ratio, cioè le esigenze sottese alla costituzionalizzazione della riserva di legge in ambito penale.

Queste esigenze sono individuate nella necessità che il monopolio della criminalizzazione sia riservato in particolare alla legge, dunque, nell’ esigenza di riservare al parlamento le scelte di politica criminale, cioè a stabilire cosa è reato e con quali pene deve essere punito.

Partendo da questa ratio, sottesa al principio di riserva di legge, si è articolato il dibattito attorno alla sua natura relativa o assoluta.

Ci si chiede ciò se ci sia in ambito penale uno spazio, nella definizione di ciò che è reato da riservare a soggetti diversi, dal titolare della potestà legislativa, ed in particolare uno spazio da riservare al potere esecutivo.

Questa questione viene indicata:

  1. Da alcuni come modello di integrazione, in ambito penale, tra norma primaria e norma secondaria, quindi ci si chiede quali sono i modelli di integrazione possibile e, in particolare se è possibile che alla norma primaria si affianchi e sia integrata dalla norma secondaria;

  2. Da altri come norme penali in bianco.

La questione rimane sempre la stessa: è ammessa in ambito penale una norma primaria che non definisca per intero il precetto penale, rinviando per il completamento, per la specificazione e per l’integrazione di ciò che è reato a una norma secondaria?

Sulla questione si sono sviluppate alcune tesi dottrinarie e giurisprudenziali:

1. La tesi della natura assoluta della riserva di legge

Tesi secondo cui spetta soltanto alla legge ciò che è reato, senza che la stessa possa rinviare alcunché all’atto del potere esecutivo (regolamento, ordinanza, atto amministrativo).

Occorre evidenziare che spesso la legge per la complessità del procedimento di elaborazione della stessa non riesce a tenere il passo con i cambiamenti della realtà fattuale sociale cui la norma incriminatrice si riferisce, ed ancora non è in grado di tenere il passo con l’esasperato tecnicismo che tal volta connota alcune materia.

Sicché la tesi della natura assoluta della riserva di legge

  • se da un lato soddisfa in pieno l’esigenza che sia solo la legge a stabilire ciò che è reato;

  • dall’altro lato reca con sé il rischio di una immediata obsolescenza della norma penale primaria, il rischio cioè che introdotta la norma primaria, senza che la stessa possa rinviare alcunché alla norma secondaria, cambi la realtà fattuale e sociale a cui la stessa di riferisce e non ci sia un meccanismo altrettanto rapido di adeguamento della norma alla modifica della realtà cui la norma si riferisce.

2. La tesi della natura relativa della riserva di legge

Tesi secondo cui la norma penale può stabilire o limitarsi a stabilire le linee fondamentali del precetto penale mentre il completamento della descrizione del reato può essere attribuito alla norma secondaria.

Tuttavia la tesi della natura relativa rischia di compromettere la ratio sottesa al principio della riserva di legge, perché consente che a stabilire ciò che reato sia non la legge ma la norma secondaria cui la legge rinvierebbe per il completamento o integrazione del precetto penale;

3. La tesi della natura tendenzialmente assoluta della riserva di legge

I limiti della tesi relativa e assoluta hanno indotta la dottrina e la giurisprudenza ad adottare una soluzione compromissoria ad una tesi secondo cui la riserva di legge, in ambito penale, è tendenzialmente assoluta.

Con la tesi in esame si è cercato di contemperare le due opposte esigenze: di monopolio della legge della formulazione dei precetti penali e di adeguamento del precetto penale alla mutevolezza della realtà sociale e al tecnicismo che connota talune materie.

In cosa consiste la tesi della natura tendenzialmente assoluta?

La norma primaria può rinviare alla norma secondaria ma ad una duplice condizione cumulativa:

  1. La norma primaria rimette alla norma secondaria soltanto la specificazione in chiave tecnica di un elemento costitutivo della fattispecie di reato già descritto dalla norma penale.

Il fatto di reato, quindi, in tutta la sua struttura e in tutti i suoi elementi costitutivi, deve essere ben delineato dalla norma primaria, la quale può demandare alla norma secondaria solo il compito di specificare, in chiave tecnica, un elemento costitutivo della struttura di reato, già descritto nella norma primaria.

  1. La specificazione in chiave tecnica deve essere demandata alla norma secondaria non in bianco ma in applicazione di un criterio tecnico che la norma primaria indica.

Un caso in cui dottrina e giurisprudenza hanno ravvisato l’applicazione delle due condizioni riguarda l’art. 73 D.P.R. 309/1990 inerente al reato di coltivazione, acquisto, importazione, detenzione di sostanze stupefacenti.

L’art. 73 prevede tale reato rimettendo poi all’atto del potere esecutivo, decreto del ministro della giustizia, di indicare di specificare in chiave tecnica quando una sostanza possa dirsi stupefacente sicché:

  • il precetto è completo, perché l’art. 73 indica gli elementi costitutivi del reato, incluso l’oggetto della condotta (sostanza stupefacente);

  • l’elemento sostanza stupefacente è demandato all’autorità amministrativa ai fini della sua specificazione in chiave tecnica;

  • il legislatore non rimanda al potere amministrativo il compito di specificazione in bianco ma orienta lo stesso in maniera esplicita, indicando il criterio tecnico alla stregua del quale la specificazione stessa deve avvenire.

Questo criterio tecnico si rinviene nello stesso DPR 309/1990 laddove si prevede, all’art. 14, che è sostanza stupefacente soltanto quella che presenta un’attitudine a determinare in chi l’assume assuefazione. Sicchè è il criterio dell’assuefazione il criterio che il D.M. (cui l’art. 73 demanda il compito di specificare in chiave tecnica la nozione di sostanza stupefacente) deve seguire, individuando e verificando (in base ad una valutazione tecnico – scientifica) di volta in volta che una certa sostanza se assunta presenta l’attitudine a determinare l’assuefazione.


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