No allo sfratto per morosità se l’impossibilità è manifestamente legata alla pandemia

No allo sfratto per morosità se l’impossibilità è manifestamente legata alla pandemia

In epoca di emergenza sanitaria da Covid-19, si è tanto scritto e commentato su decisioni giudiziali riguardanti il venir meno del sinallagma contrattuale nelle locazioni ad uso commerciale: la chiusura generalizzata del paese ha creato gravissime perdite alle attività economiche che, a loro volta, si sono riversate sulla grave difficoltà e, talvolta, impossibilità a pagare i canoni di locazione dei locali dove queste venivano svolte.

Al contrario, nelle locazioni ad uso abitativo, il sinallagma non si è mai attenuato: anzi, i decreti ministeriali sull’obbligo del mantenimento totale delle distanze sociali hanno valorizzato il concetto di abitazione, unico luogo considerato sicuro, provvedendo anche al blocco dell’esecuzione degli sfratti già concessi fino a fine anno.

In tal senso il Tribunale di Roma, con la breve ordinanza n. 15093 del 28 agosto 2020, ha ritenuto di dover negare lo sfratto per morosità richiesto da un locatore nei confronti dell’inquilino moroso in relazione ai canoni da aprile a giugno 2020.

Di fatto, il conduttore ha dichiarato di non aver potuto provvedere al versamento delle quote in quanto, per via del Covid 19, era stato posto in cassa integrazione, senza però ottenere alcunché dall’ente previdenziale; inoltre, data la natura transitoria del contratto di locazione, sebbene formalmenente richiesto, non aveva potuto ottenere il contributo comunale previsto dalla legge.

Il giudice, quindi, valutata la manifesta ma impossibilitata volontà di adempiere del conduttore, nonché il perdurante stato di emergenza sanitaria, ha ritenuto di dover negare l’ordinanza immediata di sfratto, rinviando al giudizio ordinario per il merito.


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