Norme CEDU e revisione delle sentenze passate in giudicato

Norme CEDU e revisione delle sentenze passate in giudicato

La Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, CEDU, ratificata dall’Italia con L. n. 848/1955, assume notevole rilevanza nel quadro normativo nazionale  pur non facendo parte del sistema giuridico unionale[i].

La sua pregnanza con riferimento alle fonti di diritto interno e la sua influenza in ordine alla connotazione sostanziale dei singoli istituti giuridici, sono state ancor più rimarcate a seguito della riscrittura dell’art. 117 Cost[ii].- avvenuta nel 2001 con la riforma del Titolo V della Costituzione – che ha obbligato, espressamente, il Legislatore al rispetto dei vincoli internazionali, nei quali rientra la Convenzione Europea.

La richiamata disposizione costituzionale così, di volta in volta, risulta integrata dalle norme della Convenzione che assumono la valenza di c.d. norme interposte. Attraverso l’art. 117 Cost., 1 comma, quindi, gli articoli della CEDU si inseriscono a pieno titolo nel sistema delle fonti occupando una posizione intermedia tra le norme interne e i principi fondamentali della Costituzione.

Ne deriva che, le norme statali dovranno essere conformi alle norme sovranazionali e queste ultime, d’altro canto, non dovranno essere confliggenti con i principi cardine dell’ordinamento interno. Sul piano applicativo, il contrasto tra norme nazionali e norme CEDU, integrando violazione dell’art. 117.1 Cost., dovrà essere risolto in  via esclusiva dalla Corte Costituzionale. Viceversa, qualora siano le norme CEDU a denotare una violazione della Costituzione, la questione di legittimità dovrà avere ad oggetto la legge di ratifica del 1955 dal momento che avrebbe permesso l’ingresso nel sistema nazionale di norme contrastanti con i principi fondamentali del nostro ordinamento.

È, però, altrettanto pacifico che, prima di sollevare questione di legittimità costituzionale, il giudice nazionale deve tentare un’interpretazione normativa conforme, che sia in grado di conciliare l’interpretazione delle norme CEDU – così come esplicitata dalla Corte di Strasburgo – e l’ordinamento nazionale. Sicché, solo nel caso in cui tale preliminare operazione ermeneutica dia luogo ad un risultato negativo, che determini il perdurante contrasto tra la normativa sovranazionale e quella nazionale, sarà possibile adire il giudice costituzionale.

Così delineati i rapporti tra ordinamento nazionale e normativa CEDU, ciò che ha, poi, suscitato maggiori dibattiti dottrinali e giurisprudenziali, è stato stabilire l’esatta portata delle sentenze emesse dalla Corte EDU. Del resto, le soluzioni interpretative fornite dalla Corte di Strasburgo in ordine al contenuto delle disposizioni convenzionali non può essere disatteso dal giudice nazionale in capo al quale residua un limitato margine di apprezzamento idoneo a consentire il rispetto delle peculiarità ordinamentali.

A tal proposito, si ricorda che il rammentato margine di apprezzamento – su cui si innesta la nota teoria dei c.d. contro limiti[iii] – si è recentemente andato estendendo in virtù del disposto ex art. 101 Cost. che esalta il principio di autonomia del giudice nazionale. Tanto, in concreto, ha comportato che l’obbligo di uniformarsi all’interpretazione fornita in sede sovranazionale può dirsi effettivo solamente quando la riferita interpretazione assuma una connotazione definitiva o sia l’oggetto di una sentenza c.d. pilota, ma non anche quando sia frutto di una pronuncia isolata e minoritaria.

Ciò premesso, allo stato, appare di interesse valutare, in particolar modo, gli effetti prodotti dalle sentenze emesse dalla Corte di Strasburgo e contenenti l’accertamento di violazioni di norme CEDU da parte dell’Italia.

Invero, a seguito di tali sentenze incombe sullo Stato italiano un obbligo definibile “di risultato” che consiste nell’apprestare adeguata tutela a coloro i quali abbiano subito delle lesioni conseguentemente alle violazioni perpetrate ed accertate dal giudice sovranazionale. È l’art. 46 CEDU che prevede, a tal proposito, l’obbligo di conformazione dello Stato – parte del giudizio – alle sentenze definitive della Corte EDU. Da un’interpretazione evolutiva dell’articolo richiamato, letto in combinato disposto con l’art. 41 CEDU, la Corte di Strasburgo ha affermato che “l’obbligo di conformazione alle proprie sentenze implichi, a carico dello Stato condannato: 1) il pagamento dell’equa soddisfazione, ove attribuita dalla Corte ai sensi dell’art. 41 CEDU; 2) l’adozione, se del caso, di misure individuali necessarie all’eliminazione delle conseguenze della violazione accertata; 3) l’introduzione di misure individuali generali volte a far cessare la violazione derivante da un atto normativo o da prassi amministrative o giurisprudenziali e ad evitare violazioni future.”[iv]

Proprio in ragione dell’art. 46 CEDU, è stata dichiarata l’incostituzionalità[v] dell’art. 630 c.p.p. nella parte in cui non prevede un diverso caso di revisione della sentenza o del decreto penale di condanna al fine di consentire la riapertura del processo quando ciò sia necessario per rispettare l’obbligo di conformazione imposto dalla CEDU.

Sicché, sulla scorta di quanto statuito in riferimento alla norma processuale penale, l’Ad. Plenaria del Consiglio di Stato, ha investito la Corte Costituzionale di un’ulteriore questione di legittimità[vi], questa volta però asserendo  un contrasto tra l’art. 117.1 Cost. – oltre che gli artt. 24 e 111 Cost. – e gli artt. 106 c.p.a., 395 e 396 c.p.c.

Invero, i giudici rimettenti hanno ravvisato la violazione, ad opera della norme interne processuali, dell’art. 46 CEDU – per il tramite del parametro costituzionale – nella parte in cui non prevedono la revocazione delle sentenze nazionali, emesse a conclusione dei processi civili ed amministrativi, a seguito delle sentenze definitive della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.

Si è, quindi, pronunciata la Corte Costituzionale con sentenza n. 123/2017 dichiarando infondata la questione nel merito.

Con particolare riguardo all’asserita violazione dell’art. 117.1 Cost., e dunque dell’art. 46 CEDU, così come interpretato dalla Corte di Strasburgo, i giudici della Corte Costituzionale, in primo luogo, hanno affermato che l’obbligo di conformazione discendente dal combinato disposto delle norme 41 e 46 CEDU si sostanzia in misure individuali, atte a consentire la restituito in integrum e volte a far trovare il soggetto leso “in una situazione equivalente a quella in cui si troverebbe se non vi fosse stata una inosservanza delle esigenze della Convenzione[vii] ed in misure generali, idonee a porre fine alla violazione accertata.

In secondo luogo, peraltro, dall’analisi della giurisprudenza sovranazionale e dalla Raccomandazione R(2000)2 – seppur non vincolante – è dato sostenere, secondo la Corte, che le misure di cui si discute abbiano contenuto variabile. Sicché, la riapertura del processo è solo un’ipotesi eventuale, ma non sempre necessaria o imponibile, così come anche ricordato nella sentenza della Grande Camera del 2015, Bochan c. Ucraina, in cui si è chiarito che la scelta delle misure idonee a determinare la conformazione dello Stato che ha commesso una violazione delle norme CEDU, va effettuata dallo Stato stesso, discrezionalmente, “senza indebitamente stravolgere i principi della res iudicata o la certezza del diritto nel contenzioso civile, in particolare quando tale contenzioso riguarda terzi con i propri legittimi interessi da tutelare”.[viii]

Ad ulteriore conferma di quanto affermato si è osservato che “l’indicazione dell’obbligatorietà della riapertura del processo, quale misura atta a garantire la restituito in integrum, è presente esclusivamente in sentenze  [della Corte EDU] rese nei confronti di Stati i cui ordinamenti interni già prevedono, in caso di violazione delle norme convenzionali, strumenti di revisione delle sentenze passate in giudicato”.

Sicché, secondo i giudici della Corte Costituzionale, in ragione di quanto esposto, non vi sarebbe alcun obbligo generale che si sostanzi nella riapertura del processo, al di fuori dell’ambito penale.

Del resto, nonostante negli ultimi anni si stia assistendo ad una parziale erosione del principio di intangibilità del giudicato penale – giustificata dalla forza preponderante del principio del favor rei –, questo non significa che il travolgimento della res iudicata possa avvenire a prescindere da una concreta ponderazione tra interessi confliggenti.

In ambito civile ed amministrativo, non è possibile rinunciare ad un necessario ed inevitabile bilanciamento tra il diritto all’azione ex art. 24 Cost. e quello alla difesa dei terzi coinvolti. È, infatti, da tenere in debita considerazione che, nei giudizi civili, come in quelli amministrativi, e differentemente dai giudizi penali, partecipano anche altri soggetti privati e controinteressati che necessitano di adeguata tutela.

A tanto, si aggiunga che, se nei processi penali è in gioco la libertà personale, non può dirsi lo stesso per i giudizi di altra natura.

Sicché, non è dato rinvenire alcun contrasto tra gli artt. 106 c.p.a., 395 e 396 c.p.c. e le norme convenzionali, ed in particolare con l’obbligo di conformazione ex art. 46 CEDU, posto che non è possibile sostenere che dalla suddetta norma discenda un generale obbligo di riapertura del processo, soprattutto quando sull’oggetto della controversia – civile o amministrativa – si sia già formato il giudicato.


[i] La CEDU, infatti, ha autonoma natura di trattato internazionale.

[ii] In particolare, l’art. 117.1 Cost. funge da addentellato normativo a quanto poi chiarito con le sentenze gemelle della Corte Costituzionale nn. 348 e 349, per cui le norme CEDU, differentemente dalle norme unionali, non producono effetti diretti nell’ordinamento interno e non possono, perciò, essere ricondotte né entro i confini applicativi dell’art. 11 Cost. né in quelli di cui all’art. 10, salvo che non si tratti di una norma CEDU ricognitiva di una norma di diritto internazionale generalmente riconosciuta.

[iii] I vincoli internazionali non possono mai compromettere o limitare i livelli di tutela approntati a livello nazionale configgendo con i principi fondamentali della Costituzione.

[iv] Come affermato fin dalla sentenza della Grande Camera del 2000 Scozzari e Giunta c. Italia.

[v] Sentenza Corte Costituzionale n. 113 del 2011.

[vi] Ordinanza di rimessione dell’Ad. Plenaria del C.d.S. n.2/2015.

[vii] In tal senso, sent. della Grande Camera del 2009, caso Scoppola c. Italia.

[viii] Sent. della Grande Camera del 2015, Bochan c. Ucraina.


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