Nullità del contratto: rilevabilità d’ufficio e risarcimento del danno

Nullità del contratto: rilevabilità d’ufficio e risarcimento del danno

Con una recente sentenza (n. 12996 del 23/06/2016) la III Sez. della Corte di Cassazione ha nuovamente affrontato la questione sulla rilevabilità d’ufficio della nullità del contratto, laddove le parti abbiano agito in giudizio esercitando una diversa azione.

Il caso riguardava un paziente che aveva citato in giudizio il proprio odontoiatra, demandando il risarcimento di tutti i danni patiti a seguito dell’inesatta prestazione . Il medico, nel caso specifico, non risultava iscritto nell’albo della categoria professionale, condizione che integrerebbe un’ipotesi di nullità assoluta del contratto ex art. 1418 e 2231 c.c..

Per comprendere pienamente il nocciolo della questione occorre premettere brevi cenni sul rimedio della nullità.

Il rimedio è disciplinato dall’art. 1418 c.c.. Si tratta di un’azione non  soggetta a termine  di prescrizione con valore di accertamento; pertanto la sentenza del giudice assume carattere dichiarativo. Quanto alla legittimazione attiva, salvo i casi di nullità relativa, può essere esercitata da chiunque vi abbia interesse  e “può essere rilevata d’ufficio dal giudice” – ai sensi dell’art. 1421 c.c..

L’inciso sopra evidenziato ha creato in passato un ampio dibattito interpretativo, per quanto riguarda la possibilità di configurare  una mera facoltà o un vero e proprio obbligo per il giudice chiamato a decidere la vertenza oltre che sugli eventuali limiti, avuto riguardo al principio dispositivo in senso materiale di cui all’art. 112 c.p.c. Su quest’ultimo punto, prima dell’intervento delle Sezioni Unite  erano due gli orientamenti prevalenti in giurisprudenza.

Secondo un primo orientamento, il Giudice poteva rilevare d’ufficio la nullità solo nei casi in cui l’attore avesse chiesto l’adempimento o l’esecuzione del contratto; diversamente si sarebbe determinata una grave violazione del disposto ex art. 112 c.p.c., che porrebbe la domanda delle parti quale limite alla pronuncia dell’organo giudicante. Inoltre l’art. 1421 c.c. sembrerebbe ammettere detta rilevabilità solo nei casi in cui la nullità sia in contrasto con la domanda, determinandone il rigetto. Sotto il profilo difensivo, infatti, la nullità non assurgerebbe ad eccezione, bensì  a linea difensiva di cui eventualmente la parte non ha manifestato la volontà di avvalersi; l’art. 1421 c.c. andrebbe letto in combinato disposto con gli artt. 99 e 112 c.p.c.

Secondo un diverso orientamento, il Giudice poteva sempre rilevare d’ufficio la nullità del contratto, in quanto anche nella stessa domanda di risoluzione o rescissione sarebbe sempre implicitamente dedotta l’assenza di vizi che ne determinino la nullità. A ciò non osterebbe il principio del divieto di extra-petizione, in quanto sotto il profilo processuale integrerebbero una violazione dell’art. 112 c.p.c. esclusivamente l’omesso esame della domanda e la pronuncia su una domanda non proposta dalle parti.

Le Sezioni Unite, intervenendo sul punto nel 2012, hanno risolto la questione facendo riferimento alla ratio della nullità quale rimedio preposto alla tutela di interessi generali. Proprio in virtù di tale ratio la nullità, a differenza di altri rimedi contrattuali, può essere fatta valere da chiunque ne abbia interesse e conseguentemente deve essere accertata dal Giudice, a prescindere che le parti abbiano agito in giudizio per ottenere l’adempimento ed esecuzione del contratto. La risoluzione stessa ne postulerebbe pur sempre la validità. La Corte di Cassazione ha altresì interpretato l’art. 1421 c.c. nel senso che sussista un vero e proprio obbligo per il Giudice di accertare e dichiarare la nullità; sotto il profilo processuale infatti sono prive di fondamento le eccezioni sollevate a sostegno della tesi avversa. Accertata la nullità l’eventuale restituzione delle prestazioni dovrà avvenire come di norma ex art. 2033 c.c. Detta sentenza avrebbe valore di giudicato peraltro solo qualora le parti ne avessero fatto domanda o nei casi in cui, domandata la risoluzione, sia stata riconosciuta implicitamente la validità del contratto.

Con le successive sent. 26242 e 26243/2014, le Sezioni Unite hanno ulteriormente sancito l’obbligo del Giudice di rilevare la nullità – salvo le ipotesi di nullità di protezione – rigettando la domanda negoziale di adempimento, risoluzione, annullamento e rescissione, altresì in sede di appello o ricorso in Cassazione qualora il giudice di primo grado non l’abbia rilevata, soffermandosi più nello specifico sulla problematica del giudicato implicito. Una volta dichiarata la nullità del contratto, la sentenza, a prescindere dalla domanda delle parti, acquisterà efficacia di giudicato se non sarà oggetto di impugnazione sul punto; se la nullità non venisse dichiarata – in linea generale – la sentenza acquisterebbe al pari efficacia di giudicato, il tutto con alcune precisazioni:

  • il Giudice ha la facoltà di dichiarare la nullità, una volta rilevata, e di rigettare la domanda  specificando la ratio decidendi nella motivazione – in questo caso la dichiarazione di nullità è idonea ad acquisire valore di giudicato sulla nullità negoziale;

  • il Giudice rigetta la domanda senza dichiarare o rilevare la nullità, fondando la sua decisione su una ragione più liquida – la sentenza non ha valore di giudicato sul punto nullità;

  • il Giudice dichiara la nullità nel dispositivo sulla base di una domanda principale o incidentale delle parti – la sentenza è idonea ad acquisire valore di giudicato sul punto se non è oggetto di impugnazione;

  • il Giudice accoglie la domanda negoziale – la sentenza ha valore di giudicato sulla validità del contratto, salvo la facoltà del Giudice di grado superiore di rilevare la nullità in quella sede;

  • il Giudice rigetta la domanda, ma si esprime inequivocabilmente sulla validità del contratto – il giudicato verterebbe sulla non nullità;

  • il Giudice, chiamato a decidere in via principale o incidentale sulla nullità, rigetta la domanda – l’eventuale giudicato coprirebbe la non nullità del contratto.

La sentenza 12996/2016 riprende le argomentazioni delle Sezioni Unite, estendendole altresì al caso in cui una delle parti abbia agito in giudizio chiedendo il solo risarcimento del danno. E’ ormai costantemente riconosciuto che, in  presenza di inadempimento, la parte lesa possa agire per il risarcimento dei danni senza domandare la risoluzione del contratto, trattandosi di due azioni autonome, tuttavia – in un’ipotesi simile a quella oggetto di esame da parte della Corte – l’esercizio dell’azione risarcitoria postulerebbe pur sempre la validità ed efficacia del negozio giuridico. La non nullità si porrebbe quindi quale questione pregiudiziale logico–giuridica della pronuncia e  l’eventuale nullità andrebbe rilevata dal Giudice anche in sede di legittimità, sia nei casi in cui sia esercitata un’impugnativa negoziale sia nei casi in cui sia esercitata un’azione risarcitoria per inadempimento contrattuale in via autonoma. Ogni qual volta il Giudice accerti la nullità, dovrà pertanto rigettare la domanda risarcitoria.


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