Nuova svolta nella vicenda Airbnb

Nuova svolta nella vicenda Airbnb

Nel 2017 il governo Gentiloni ha previsto, con il decreto legge 50/2017, l’applicazione, per gli affitti brevi di durata non superiore ai 30 giorni, della cedolare secca al 21%. L’importo derivante, qualora il pagamento sia gestito da intermediari immobiliari, quali agenzie e portali, viene trattenuto e versato al fisco subito. Nel caso in cui i contratti siano invece gestiti direttamente dai locatori, il versamento avverrà al momento della dichiarazione dei redditi.

Finora però la nota piattaforma Airbnb si era rifiutata di raccogliere le imposte e di trasmettere i dati degli host all’Agenzia delle Entrate, limitando quindi, in tale settore, le possibilità di lotta all’evasione.

Tale comportamento ha avuto come primo effetto un flop per il gettito previsto dall’applicazione del tributo. Secondo lo Stato, infatti, degli 83 milioni di attesi nelle casse pubbliche già nel 2017, ne sono entrati soltanto 19, mentre nel 2018, in attesa di stime ufficiali, il risultato potrebbe essere stato anche peggiore, visto che il gettito atteso era di 139 milioni.

Secondo la tesi sostenuta dalla nota piattaforma telematica, questi adempimenti, poiché configurabili come quelli di un vero e proprio sostituto d’imposta, non spetterebbero a loro, non potendo equipararsi, per differenze tecniche e operative, le agenzie immobiliari e i portali online che gestiscono migliaia di utenti, di cui solo una parte

rientrerebbe nei criteri stabiliti dal legislatore, senza contare tutti i problemi legati alla gestione dei dati e della privacy.

Il Tar del Lazio, con la sentenza n. 2207/2019, ha però respinto le richieste di Airbnb, confermando l’orientamento espresso già in sede cautelare con cui aveva bocciato la richiesta di sospensiva del provvedimento presentata dai legali del portale.

Secondo i giudici amministrativi non sussiste infatti nessuna «disparità di trattamento» o «discriminazione» nei confronti di Airbnb né una limitazione alla libertà di concorrenza. La normativa contestata impone infatti gli stessi obblighi sia a carico dei soggetti intermediari che hanno residenza in Italia sia di quelli non residenti né stabiliti in Italia e che operano attraverso portali telematici che mettono in contatto persone in ricerca di un immobile con persone che dispongono di unità immobiliari da locare.

L’unica differenza consiste nel fatto che i soggetti residenti o stabiliti nel territorio dello Stato operano, in qualità di sostituti d’imposta, una ritenuta del 21 per cento sull’ammontare dei canoni e corrispettivi all’atto del pagamento al beneficiario e provvedono al relativo versamento, mentre i soggetti che – come Airbnb – non sono stabiliti in Italia, ottemperano ai medesimi obblighi in qualità di responsabili di imposta, mediante la nomina di un rappresentante fiscale (art. 4, comma 5 bis).

È da segnalare, inoltre, come il portale già svolga, sia in Italia sia all’estero, attività simili a quelle che contesta alle quali lo stesso Tar, nella sua pronuncia, ha fatto riferimento.

La vicenda non sembra però essersi conclusa qui, in quanto i vertici della piattaforma hanno già annunciato che intendono fare ricorso presso il Consiglio di Stato, anche ai fini di un eventuale successivo interessamento della Corte di Giustizia Europea, gettando così nell’incertezza i tanti utenti che si avvalgono dei loro servizi.


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