Nuove forme di vendita immobiliare: il rent to buy e la sua regolamentazione legislativa

Nuove forme di vendita immobiliare: il rent to buy e la sua regolamentazione legislativa

La vendita immobiliare ha sempre avuto un ruolo di rilievo nella disciplina del contratto in generale. Al di là, infatti, dell’esiguità delle norme che il codice civile specificamente riserva alla vendita immobiliare (che, formalmente, si riducono agli articoli da 1537 a 1541 c.c.), è indiscutibile l’influenza che il “modello” della vendita immobiliare ha esercitato (e continua ad esercitare) sulla costruzione di alcune delle principali categorie e regole del diritto dei contratti. La recente crisi economica ha coinvolto in misura rilevante tale settore e ha sollecitato nuove strategie per superare gli ostacoli derivanti dalla generale carenza di liquidità, dalla difficoltà di ottenere prestiti bancari, dall’aggravarsi del carico fiscale, dalla contestuale ed ineludibile diminuzione delle negoziazioni immobiliari. E’ all’interno di questo quadro di riferimento che si è diffusa una prassi contrattuale orientata verso la ricerca di strumenti idonei a rimandare ad un momento futuro gli effetti finali dell’operazione di compravendita; un quadro in cui si inserisce la nuova disciplina del contratto di godimento in funzione della successiva alienazione di immobili, introdotta nel nostro ordinamento con l’art. 23 del decreto legge 12 settembre 2014, n. 133 (c.d. “Sblocca-Italia”), convertito con la legge 11 novembre 2014, n. 164. La proprietà, infatti, è fenomeno centrale in virtù del suo stretto collegamento con gli istituti del diritto civile, in particolare, con i contratti. La Costituzione repubblicana affianca alla necessaria produttività del rapporto proprietario anche interessi non patrimoniali, facendo riferimento emblematicamente sia alla sua accessibilità a tutti sia alla sua funzione sociale. E così, la proprietà non ha bisogno di essere confinata secondo un’accezione esclusivamente liberale nel diritto di escludere gli altri dall’uso o dal godimento dei beni, ma può consistere in un diritto individuale a non essere escluso a opera di altri dall’uso o dal godimento di alcuni beni. Se la carta dei diritti fondamentali dell’unione europea pone il diritto di proprietà nel capo delle libertà, all’art. 17, si può osservare che la sua formulazione propone non tanto un diritto “di” proprietà, quanto un diritto “alla” proprietà, sì che il suo oggetto atterrebbe alla tutela dell’individuo il quale voglia accedere alla proprietà dei beni.

Il rent to buy si appalesa come una via contrattuale alternativa all’acquisizione della proprietà, alternativa rispetto a quella c.d. ortodossa costituita dalla compravendita pura. La nuova operazione contrattuale, pur differendo nel tempo il momento del trasferimento dell’immobile (a conclusione di un periodo, più o meno lungo, di mero godimento dell’immobile a titolo “locativo”), appare idonea a consentire tanto all’aspirante acquirente quanto all’aspirante venditore di “fissare” l’affare, pur condividendo l’eventualità (espressamente prevista nel programma negoziale) che alla fase del godimento del bene non segua quella finale del trasferimento della proprietà, qualora il conduttore non possa o non voglia esercitare il proprio “diritto all’acquisto”. L’art. 23, dunque, introduce una tipologia negoziale a “maglie larghe” per consentire all’autonomia privata di meglio modulare il contenuto del contratto in funzione delle specifiche esigenze e nell’ottica del miglior soddisfacimento degli interessi di entrambe le parti. La sua natura eterogenea è testimoniata dal fatto che vengono richiamati, al suo interno, elementi propri del contratto di locazione ed elementi propri del contratto di compravendita, pur non potendo essere avvicinato a nessuno dei predetti modelli negoziali. Il distacco dalla locazione con opzione di acquisto o collegata ad un preliminare lo si ha in punto di pagamento del canone (nel rent to buy, una parte è imputata al prezzo della futura vendita, mentre nella locazione rappresenta esclusivamente il corrispettivo del godimento). Un’altra figura affine è rappresentata dalla vendita sotto forma di locazione di cui all’art. 1526, co. 3, c.c.: in questo caso il trasferimento della proprietà avverrebbe in modo automatico alla scadere della locazione, senza una successiva manifestazione di volontà, a differenza di quanto richiesto nel rent to buy.

Ai fini del corretto inquadramento civilistico del contratto in questione occorre richiamare l’attenzione sull’apposita disciplina dettata in tema di trascrizione. La trascrizione del contratto di rent to buy, sebbene ad effetti obbligatori, viene fissata secondo le regole previste dall’art. 2645 bis c.c. in ordine al contratto preliminare di compravendita, ma con un adattamento, visto che il termine di efficacia della trascrizione è elevato da tre anni a tutta la durata del contratto di godimento e comunque ad un periodo non superiore a dieci anni. L’operazione negoziale, pertanto, non può protrarsi per più di dieci anni; la conseguenza sarebbe la caducazione dell’effetto di opponibilità del titolo ai terzi che nel medio tempore abbiano iscritto o trascritto altre formalità sullo stesso bene. Oltre a tale efficacia prenotativa, ai contratti di godimento in funzione della successiva alienazione vengono estesi anche gli effetti della pubblicità dichiarativa della trascrizione prevista per i contratti di locazione ultranovennale, con l’obiettivo di rendere tali operazioni opponibili ai terzi, a prescindere dalla successiva stipula di un contratto di compravendita.

E’ il caso di segnalare che il legislatore ha previsto che la concessione di godimento del bene oggetto di rent to buy debba essere immediata. Pertanto, l’inciso “immediata concessione del godimento” può essere inteso come “anticipata concessione del godimento. E’ diffusa l’opinione secondo cui la concessione in godimento configuri un’ipotesi di diritto personale di natura obbligatoria e non reale, atteso l’espresso richiamo all’art. 2643, n. 8, c.c., che disciplina la trascrizione del contratto di locazione ultranovennale.

Il comma 1 bis dell’art. 23 del D.L n. 133 del 2014 stabilisce che “Le parti definiscono in sede contrattuale la quota dei canoni imputata al corrispettivo che il concedente deve restituire in caso di mancato esercizio del diritto di acquistare la proprietà dell’immobile entro il termine stabilito”. Dunque, alla stregua di tale disposizione, il canone di locazione riceve dalle parti una “articolazione” che distingue la componente che rimane definitivamente acquisita al concedente quale corrispettivo della concessione del godimento e quella che è destinata ad essere imputata al “prezzo” convenuto per la (futura ed eventuale) vendita. La doppia imputazione del canone deve ritenersi elemento essenziale del contratto. La sua mancanza determina, pertanto, la fuoriuscita dal tipo negoziale con la conseguente applicazione di una disciplina in ragione della sua riqualificazione della fattispecie contrattuale. Ci si chiede, qualora le parti nulla abbiano previsto, a che titolo il concedente possa trattenere la parte del corrispettivo imputata al trasferimento futuro dell’immobile nell’ipotesi del legittimo mancato esercizio del diritto di acquistare. Non a titolo di penale, dal momento che la penale presuppone un inadempimento che invece nel caso di specie difetta, perché legittimamente il conduttore può non esercitare il diritto di acquistare. La dottrina, allora, ha invocato l’istituto dell’indennità quale ristoro di un danno non illegittimamente subito, ma essa deve ritenersi dovuta solo laddove espressamente prevista.

La legge, inoltre, tipizza uno statuto a protezione dell’avente causa in caso di inadempimento: il contratto può infatti essere risolto se costui omette di pagare un numero di canoni – benché non consecutivi – almeno pari al ventesimo della loro totalità. In tale situazione il concedente, oltre ad avere diritto alla restituzione dell’immobile, acquisisce interamente i canoni già riscossi a titolo d’indennità, se non è stato diversamente pattuito. Qualora l’inadempimento sia del concedente, questi dovrà restituire quella parte dei canoni imputata al corrispettivo, maggiorata degli interessi legali. Anche in questo caso, l’autonomia privata gioca un ruolo fondamentale nel colmare le incertezze della disciplina. Un punto che però non è stato preso in considerazione dal legislatore riguarda la questione del rilascio dell’immobile a favore del proprietario a fronte di un inadempimento del conduttore. Ciò può avvenire allorché il conduttore interrompa il pagamento dei canoni convenuti, pur continuando di fatto a mantenere la detenzione dell’immobile. E’ evidente che, se il nuovo schema contrattuale è differente dalla locazione, in caso di inadempimento del conduttore non rimarrà al proprietario che agire per il rilascio per occupazione sine titulo.

Un problema che è stato oggetto di riflessione giurisprudenziale riguarda l’ipotesi di vendita di un’unità immobiliare posta in un condominio, nel quale siano stati deliberati lavori di manutenzione o di ristrutturazione. In questo caso, in assenza di un accordo fra le parti, occorre chiedersi chi sia tenuto, tra l’alienante e l’acquirente, a sopportare le relative spese, e soprattutto quale sia il momento determinante per identificare l’insorgenza del relativo obbligo. Con sentenza n. 10235 del 2 maggio 2013, la Cassazione ha distinto la diversa origine dell’obbligazione, a seconda che si tratti di spese relative alla manutenzione ordinaria oppure spese relative ad interventi di straordinaria amministrazione. Nel primo caso l’obbligazione sorge al momento del compimento effettivo dell’attività gestionale relativa alla manutenzione, alla conservazione, al godimento di parti comuni dell’edificio. Di contro, in caso di spese di straordinaria amministrazione, la giurisprudenza ritiene che l’obbligo di singoli condomini non possa essere ricollegato all’esercizio della funzione gestionale demandata all’amministratore in relazione al mero bilancio preventivo, ma debba considerarsi conseguenza diretta della specifica delibera assembleare che ha valore costitutivo. Pertanto, in caso di vendita di un’unità immobiliare posta in un condominio, nel quale siano stati deliberati lavori di straordinaria manutenzione sulle parti comuni, e nel caso in cui venditore e acquirente non si siano diversamente accordati sulle modalità di ripartizione delle relative spese, sarà tenuto a sopportarne i costi chi era proprietario dell’immobile al momento della delibera assembleare che abbia disposto l’esecuzione degli interventi, avendo tale delibera valore costitutivo della relativa obbligazione. Se si applicano gli stessi principi ai contratti di rent to buy, qualora l’approvazione della delibera di esecuzione di lavori di straordinaria manutenzione, efficace e definitiva per tutti i condomini, sopravvenga in pendenza della stipula del contratto di godimento, ma prima dell’effetto traslativo della proprietà, l’obbligo al pagamento delle relative quote condominiali incomberà sul venditore e non sul conduttore.


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