Obblighi di bonifica e responsabilità per danno ambientale

Obblighi di bonifica e responsabilità per danno ambientale

Il valore giuridico del bene “ambiente”.

La tutela del bene giuridico “ambiente” ha assunto, nel tempo, sempre più preminenza nel panorama giuridico comunitario e nazionale. Dapprima intesa quale materia dai confini incerti, l’ambiente è divenuto ormai un bene giuridico autonomo e primario, così come avallato da numerose pronunce della Consulta, a partire dagli anni ’80.

E’ proprio grazie all’attività ermeneutica della Corte che è stata offerta, in tempi recenti, una visione costituzionalmente orientata della tutela ambientale, la quale non trova un referente normativo all’interno della Carta Fondamentale. In particolare, la radice giuridica per la copertura, a livello costituzionale, del bene “ambiente” – termine assente in Costituzione, fino alla Riforma del Tit. V – è stata ravvisata nelle norme di cui agli artt. 9 e 32 Cost., poste a tutela del paesaggio e a tutela della salute. Ed è sempre la Consulta ad aver definito la materia ambientale “trasversale”, quale “bene giuridico materiale complesso ed unitario”, posto che sullo stesso oggetto insistono interessi diversi, quello alla conservazione dell’ambiente e quelli inerenti alle sue utilizzazioni. Infatti, se è vero che oltre al bene giuridico ambiente in senso unitario, possono esistere altri beni giuridici aventi ad oggetto aspetti dell’ambiente ma concernenti interessi diversi, giuridicamente tutelati, ciò rende possibile una duplice ricaduta sul piano della distribuzione della potestà legislativa, a seguito della riforma del Titolo V della Costituzione: infatti, da un lato, la materia della “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali” è attribuita alla potestà legislativa statale, dall’altro la“valorizzazione dei beni culturali e ambientali” è affidata invece alla potestà legislativa concorrente (art. 117, comma 2, lettera s) e comma 3, Cost. ).

Senza dubbio, la centralità della tutela del bene ambiente ha avuto un ruolo decisivo, ancor prima che a livello interno, in ambito comunitario. Il primo passo in questa direzione, è stato  compiuto dal Trattato di Amsterdam, che ha comportato l’integrazione delle esigenze ambientali nella definizione e nell’attuazione delle altre politiche e azioni comunitarie, per poi proseguire con il Trattato di Nizza, che ha sancito l’obiettivo europeo della promozione dello sviluppo armonioso, equilibrato e sostenibile delle attività economiche e di garantire un elevato livello di protezione dell’ambiente nonché il miglioramento della qualità.

Ciò premesso, norma cardine, nel quadro comunitario, è rappresentata senz’altro dall’art 174 del Trattato, che introduce il cd. “principio di precauzione”, a tenore del quale al fine di garantire la protezione di beni fondamentali, come la salute o l’ambiente, è necessaria l’adozione o l’imposizione di determinate misure di cautela anche in situazioni di incertezza scientifica, in cui una situazione di rischio è ipotizzabile e non anche dimostrata. Il principio de quo, quindi, anticipando la soglia di rilevanza penale, permette di intervenire a difesa di valori essenziali (salute, ambiente, ecc.) in un momento anteriore alla loro messa in pericolo, poiché la lesione di tali interessi non potrebbe essere adeguatamente riparata. Dunque, la norma di cui all’art. 174 del Trattato, oltre a porre come obiettivi della politica comunitaria azioni quali la salvaguardia, la tutela dell’ambiente e la promozione, sul piano internazionale, di misure destinate a risolvere i problemi ambientali a livello regionale o mondiale, ne afferma la base nei citati principi di precauzione, di azione preventiva, nel “principio di correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all’ambiente, e, inoltre, nonché nel principio «chi inquina paga»” (Art. 174, comma 2, Trattato Ue).

Quanto a tale ultimo principio, esso è stato introdotto con la finalità deterrente atta a spingere i responsabili della contaminazione a diminuire eventuali azioni inquinanti e a ricercare nuove metodologie meno invasive, pena l’imputazione dei costi ambientali.

Cenni alle  prescrizioni contenute nel Codice dell’ambiente.

In tale contesto di attenzione “europea” verso il valore essenziale “ambiente”, si inserisce, a livello nazionale, l’introduzione del D. Lgs. n. 152/2006, il cd. Codice dell’Ambiente. In particolare, nella parte IV del Codice, dedicata alla materia dei rifiuti e della bonifica dei siti inquinati, il Titolo V, destinato a regolare tutto quanto attiene alla bonifica e di ripristino ambientale dei siti contaminati, fa applicazione espressa del citato principio comunitario del «chi inquina paga», in armonizzazione con altre norme e principi di respiro europeo, per disciplinare lo svolgimento delle operazioni necessarie per l’eliminazione delle sorgenti dell’inquinamento e comunque per la riduzione delle concentrazioni di sostanze contaminanti. Preliminarmente occorre specificare che, ai sensi del citato Codice dell’ambiente, il danno ambientale qualsiasi deterioramento significativo e misurabile, diretto o indiretto, di una risorsa naturale o dell’utilità assicurata da quest’ultima, in particolare provocato alle specie e agli habitat naturali protetti come alle acque costiere ed interne e al terreno, quando ne sia alterato significativamente lo status ecologico o ambientale (cfr., art. 300 D. Lgs. 152/2006).

Ed è proprio in nome del principio di precauzione che, quando un danno ambientale non si è ancora verificato ma esiste una minaccia imminente che si verifichi, grava in capo all’operatore interessato l’obbligo di adottare, entro ventiquattro ore e a proprie spese, le necessarie misure di prevenzione e di messa in sicurezza mentre, quando invece il danno si è già verificato, oltre agli obblighi di comunicazione, egli è tenuto a porre in essere le necessarie misure di ripristino nonché tutte le iniziative praticabili, per controllare, circoscrivere, eliminare o gestire in altro modo, con effetto immediato, qualsiasi fattore di danno, allo scopo di prevenire o limitare ulteriori pregiudizi ambientali ed effetti nocivi per la salute umana o ulteriori deterioramenti ai servizi (art. 305 D. Lgs. 152/2006).

Sempre ai sensi del Codice dell’ambiente, per “bonifica” il legislatore ha inteso invece l’insieme degli interventi atti ad eliminare le fonti di inquinamento e le sostanze inquinanti o a ridurre le concentrazioni delle stesse presenti nel suolo, nel sottosuolo e nelle acque sotterranee ad un livello uguale o inferiore ai valori delle concentrazioni soglia di rischio, mentre il concetto di “ripristino ambientale” allude invece agli interventi di riqualificazione ambientale e paesaggistica, anche costituenti complemento degli interventi di bonifica o messa in sicurezza permanente, che consentono di recuperare il sito alla effettiva e definitiva fruibilità per la destinazione d’uso conforme agli strumenti urbanistici (art. 240, comma 1, D. Lgs. 152/2006). La bonifica del sito contaminato vede molteplici attori incaricati di adempiere alle prescrizioni procedurali dettate dal Codice dell’ambiente. Primo tra tutti, è in campo al  “responsabile dell’inquinamento” che, a fronte della contaminazione di un territorio, grava l’obbligo di procedere alla tempestiva  messa in opera nonché comunicazione delle misure necessarie di prevenzione provvedendo, se del caso, al ripristino della zona contaminata (art. 242, comma 2, D. Lgs. 152/2006). Nel caso di contaminazione importante, le legge prescrive invece che il responsabile medesimo attenzioni le autorità regionali,  sottoponendo loro, nei successivi sei mesi dall’approvazione del documento di analisi di rischio, il progetto operativo degli interventi di bonifica o di messa in sicurezza, operativa o permanente, e le ulteriori misure di riparazione e di ripristino ambientale, al fine di minimizzare i rischi (art. 242, comma 7, D. Lgs. 152/ 2006).

Tale norma, invero, potrebbe essere intesa quale una possibile declinazione del principio costituzionale di sussidiarietà, laddove si consideri che qualora i soggetti responsabili della contaminazione non provvedessero direttamente agli adempimenti obbligatori di bonifica ovvero non fossero individuabili né il proprietario del sito né altri soggetti interessati, essi devono essere realizzati d’ufficio dal Comune territorialmente competente e, ove questo non provveda, dalla Regione, secondo l’ordine di priorità fissati dal piano regionale per la bonifica delle aree inquinate (art. 250 D. Lgs. 152/2006). Inoltre, sempre al fine di garantire la massima tutela possibile da apprestare ai siti ambientali a seguito di contaminazione o inquinamento, è stato previsto che gli interventi de quibus possano essere posti in essere altresì dagli interessati non responsabili, quali il proprietario o il gestore incolpevole dell’area, fermo restando l’obbligo di comunicazione, comunque dovuto, alle amministrazioni territoriali interessate, circa “il pericolo concreto e di attuazione delle “misure di prevenzione” (art. 245 D. Lgs. 152/2006).  Con tale ultima locuzione, oggetto di un fervente dibattito dottrinale, pare indubbio intendersi l’insieme delle “iniziative per contrastare un evento, un atto o un’omissione che ha creato una minaccia imminente per la salute o per l’ambiente, intesa come rischio sufficientemente probabile che si verifichi un danno sotto il profilo sanitario o ambientale in un futuro prossimo, al fine di impedire o minimizzare il realizzarsi di tale minaccia” (art. 240, comma 1, i) D.Lgs. 152/2006), e non già operazioni di messa in sicurezza o bonifica in senso stretto del sito, giacché ciò confliggerebbe con un fondamentale principio dell’ordinamento, secondo cui ognuno è responsabile della propria azione od omissione.

Interessante il regime sanzionatorio previsto dal Codice in caso di inosservanza delle precedenti prescrizioni. Occorre, a tal proposito, operare una summa divisio tra responsabilità di chi inquina, ispirata al principio per cui “chi inquina paga”, e responsabilità del proprietario o gestore incolpevole del sito, per mancata comunicazione.

Sotto il primo profilo, quindi,  chiunque cagiona l’inquinamento del suolo, del sottosuolo, delle acque superficiali o delle acque sotterranee con il superamento delle concentrazioni soglia di rischio è punito con la pena dell’arresto da sei mesi a un anno o con l’ammenda da duemilaseicento euro a ventiseimila euro, se non provvede alla bonifica in conformità al progetto approvato dall’autorità competente, salvo che ciò costituisca reato più grave. Al contrario, l’infrazione degli obblighi di comunicazione comporta, ragionevolmente, una sanzione meno grave, consistente nella pena dell’arresto da tre mesi a un anno o con l’ammenda da mille euro a ventiseimila euro. Per il reato più grave rappresentato dall’inquinamento da sostanze pericolose, invece è prevista la pena dell’arresto da un anno a due anni e la pena dell’ammenda da cinquemiladuecento euro a cinquantaduemila euro (art. 257 D. Lgs. 152/2006). Senza contare che, per quanto attiene alla sanzione relativa alla commissione del danno ambientale in senso stretto, spetta al Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare agire, anche esercitando l’azione civile in sede penale, per il risarcimento del danno ambientale in forma specifica e, se necessario, per equivalente patrimoniale, posto che  solo quando l’adozione delle misure di riparazione anzidette risulti in tutto o in parte omessa, o comunque realizzata in modo incompleto o difforme dai termini e modalità prescritti, l’autorità ministeriale determina i costi delle attività necessarie a conseguirne la completa e corretta attuazione e agisce nei confronti del soggetto obbligato per ottenere il pagamento delle somme corrispondenti (art. 311 D. Lgs. 152/2006). Dunque, l’attuale sistema delineato dal Codice dell’ambiente presenta due diversi regimi sanzionatori, ossia quello generale, consistente nel risarcimento del danno ambientale, e quello speciale, consistente nell’obbligo di bonifica dei siti contaminati.

La particolare asperità che contraddistingue ictu oculi il citato impianto sanzionatorio si concilia con la primazia e la rilevanza assunta dal bene “ambiente”. Strettamente connesso ai profili della tutela della salute e dell’ecosistema, esso costituisce un valore tanto prezioso e rilevante quanto facilmente suscettibile di messa in pericolo e di lesione, tant’è che l’ordinamento vuole scongiurare tali evenienze divenute sempre più frequenti, minacciando, per l’effetto, pene particolarmente severe ovvero subordinando sconti o agevolazioni di pena all’esecuzione degli interventi di emergenza, bonifica e ripristino ambientale (art. 257, comma 3, D. Lgs. 152/2006).

L’orientamento giurisprudenziale, comunitario e nazionale, consolidatosi sul punto.

Il consolidato orientamento giurisprudenziale, sia comunitario che nazionale, sviluppatosi in materia, mostra nettamente come, ai fini di una corretta attribuzione delle responsabilità, non possa essere in alcun modo imposto l’obbligo, per il proprietario incolpevole, di bonificare l’area contaminata per mano altrui. Invero, così come statuito in numerose occasioni dai Giudici di Palazzo Spada, al proprietario non colpevole dell’inquinamento non possono essere imposti gli interventi di riparazione, bonifica e messa in sicurezza, ma solo l’applicazione delle misure di prevenzione previste dal Codice dell’ambiente, giacché va esclusa l’imputabilità soggettiva dell’inquinamento ad un soggetto di cui non sia stata provata la responsabilità, a livello causale o concausale, nella produzione dello stesso.  Al proprietario senza colpa possono soltanto essere addebitate le spese relative agli interventi posti dalle autorità competenti nel limite del valore di mercato presentato dal sito, una volta avvenuta la contaminazione. Similmente, i Giudici amministrativi nazionali sono unanimi ormai nel sostenere che, in ossequio del principio per cui “chi inquina paga”, è precluso all’Amministrazione procedente porre a carico del proprietario incolpevole alcun obbligo attinente alla adozione di misure, urgenti o definitive, per il solo fatto di essere proprietari delle aree inquinate, pur non avendo causato il degrado del luogo. Tale principio è stato finanche avallato in Adunanza Plenaria nel 2013, a fronte di alcune statuizioni che riconoscevano in capo al proprietario incolpevole una forma di responsabilità derivante dalla detenzione o dalla custodia del bene “contaminato”. Sulla stessa scia, da ultimo, Corte di Giustizia ha parimenti confermato che la disciplina nazionale, dal momento che non prevede obblighi a carico del proprietario incolpevole, non cozza con i principi e le disposizioni di cui alla direttiva sul danno ambientale 2004/35/CE.

Le tendenze ermeneutiche in parola, peraltro, sembrano, a parere di chi scrivere, aderire appieno al principio di offensività, salvaguardando la posizione di chi non è legato da alcun nesso di causalità, commissiva o omissiva, con l’evento-contaminazione.


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Giada Antonia Lo Prete

Laureata in Giurisprudenza con lode presso l’Università La Sapienza di Roma, ha superato l’esame di abilitazione alla professione forense. Redige articoli in materie giuridiche su riviste di settore. È stata menzionata nelle bibliografie di alcuni dossier redatti a cura del Ministero dell’Interno e del Consiglio regionale del Piemonte. Ha partecipato alle olimpiadi di filosofia in lingua straniera, arrivando alle selezioni regionali. Redattrice del periodico “Quantum” - il giornale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili di Cosenza.

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