Obbligo di assistenza ai figli: la sua violazione integra il reato anche per il genitore naturale

Obbligo di assistenza ai figli: la sua violazione integra il reato anche per il genitore naturale

Cass. pen., Sez. V, sent. 9 marzo 2022, n. 8222

La Corte di Cassazione ha affermato che il delitto di omesso versamento dell’assegno periodico per il mantenimento, l’educazione e l’istruzione dei figli, previsto dall’art. 570-bis c.p., è configurabile anche in caso di violazione degli obblighi di natura patrimoniale stabiliti nei confronti di figli minori nati da genitori non legati da vincolo formale di matrimonio.

 

Riflessioni e spunti critici di commento – Conclamata la parità tra genitori naturali e quelli legittimi anche sotto il profilo penale

Con questa recentissima e significativa pronuncia la Quinta Sezione Penale della Corte di Cassazione assesta un altro, e probabilmente decisivo, colpo, in senso favorevole, per l’equiparazione, anche sotto un profilo di responsabilità penale, tra la famiglia naturale e quella legittima, tra genitori naturali e legittimi, tra figli nati all’interno del matrimonio e quelli frutto di un rapporto di semplice convivenza.

Si tratta, infatti, dell’ulteriore espressione di quella civiltà giuridica che nel corso del tempo ha fatto sì che il primato, normativo e sostanziale, riconosciuto al matrimonio venisse giustamente scalfito e superato dalle nuove forme di rapporto affettivo e genitoriale che si sono imposte alla nostra attenzione in un continuo, incessante processo di liberalizzazione dei costumi e di sviluppo della personalità.

La sentenza oggi in commento, pertanto, ha l’indiscutibile merito di far proprie queste esigenze del nuovo, per così dire, vivere civile ribadendo un proprio consolidato indirizzo giurisprudenziale, a dimostrazione di come la Giustizia propriamente intesa spesso proceda molto più velocemente ed al passo dei tempi di quanto, purtroppo, non faccia il nostro Legislatore, come ci dimostra facilmente il caso in esame.

Questa vicenda, infatti, ruota intorno alla interpretazione, più o meno letterale, che si voglia dare all’art. 570-bis c.p. che, sotto la rubrica “Violazione degli obblighi di assistenza familiare in caso di separazione o di scioglimento del matrimonio”, testualmente prescrive che “Le pene previste dall’articolo 570[1] si applicano al coniuge che si sottrae all’obbligo di corresponsione di ogni tipologia di assegno dovuto in caso di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio ovvero viola gli obblighi di natura economica in materia di separazione dei coniugi e di affidamento condiviso dei figli”.

Ebbene, i fautori della linea per così dire più integralista, e cioè quella che guarda al dato esclusivamente testuale della norma in parola, da sempre sono portati a ritenere che questo fatto di reato non sia ascrivibile, soggettivamente parlando, se non al genitore coniugato, poiché detta disposizione farebbe esplicito riferimento al solo “coniuge” senza alcuna possibilità di estensione analogica o interpretativa diversa.

In verità, però, se analizziamo compiutamente il significato logico e giuridico dell’art. 570 c.p., del quale quello successivo è il naturale presupposto e/o antefatto di reato, ci rendiamo agevolmente conto di come il rigore interpretativo appena richiamato in realtà non sia suscettibile di applicazione, dal momento che il Legislatore penale utilizza una terminologia volutamente generica ed ampia per individuare la pletora di soggetti potenzialmente chiamati a rispondere del reato, appunto, di “Violazione degli obblighi di assistenza famigliare”.

Così, pertanto, è ritenuto tale “Chiunque, abbandonando il domicilio domestico, o comunque serbando una condotta contraria all’ordine o alla morale delle famiglie, si sottrae agli obblighi di assistenza inerenti alla responsabilità genitoriale, alla tutela legale, o alla qualità di coniuge….” ovvero chi “1) malversa o dilapida i beni del figlio minore o del pupillo o del coniuge; 2) fa mancare i mezzi di sussistenza ai discendenti di età minore, ovvero inabili al lavoro, agli ascendenti o al coniuge, il quale non sia legalmente separato per sua colpa”.

Come possiamo vedere, quindi, nel testo letterale di questa norma non vi è alcun utilizzo di terminologie indirizzate esclusivamente al coniuge, essendo questi piuttosto uno dei soggetti che possano effettivamente compiere il fatto di reato punito, al pari del semplice genitore, non necessariamente coniugato, che incorra nella responsabilità di tal genere ovvero malversi o dilapidi i beni del proprio figlio minore o faccia mancare i mezzi di sussistenza ai propri discendenti di età minore.

Vi è pertanto una netta distinzione tra le due disposizioni di legge, sebbene esse siano tra loro intimamente connesse e coordinate per espresso volere del Legislatore penale.

Probabilmente, dunque, partendo da questo assioma, anche la Corte di Cassazione, con la sentenza oggi in commento, come detto ha inteso rivolgere l’applicazione del reato di omesso versamento dell’assegno periodico per il mantenimento, l’educazione e l’istruzione dei figli di cui al citato art. 570-bis c.p. anche nei confronti dei genitori non legati da vincolo formale di matrimonio, richiamando un proprio conforme e consolidato orientamento[2].

Sul tema, peraltro, i Giudici di legittimità ricordano come già in passato essi abbiano ritenuto infondata la deduzione difensiva secondo la quale sarebbe insussistente il reato di cui all’art. 3 della Legge n. 54 dell’08 febbraio 2006[3] in caso di genitore inadempiente non coniugato, nonostante la voce contraria che pure era stata espressa, a loro memoria, in una sola occasione[4], per quanto comunque argomentata.

In quest’ultimo caso, infatti, la Corte aveva rammentato anzitutto come la predetta Legge n. 54/2006 in materia di affidamento condiviso contempli una disposizione di carattere penale che, per i casi di inadempimento dell’obbligo di corresponsione dell’assegno di mantenimento, estende al coniuge separato l’applicabilità dell’art. 12 sexies della Legge n. 898/1970 che, a sua volta, rinvia all’art. 570 c.p.

La stessa Corte, peraltro, se da una parte riconosceva come detta riforma del 2006 abbia avuto il merito di affermare il principio della “bigenitorialità”, comportando l’obbligo di assunzione di una pari responsabilità dei genitori in ordine alla cura, all’educazione e all’istruzione dei figli, anche dopo la separazione, il divorzio o lo scioglimento della coppia convivente di fatto, dall’altro ammetteva, suo malgrado, come tale conquista non sia stata armonizzata con le diversità di trattamento che l’ordinamento ha previsto nei casi di omissione del contributo al mantenimento dei figli posto in essere da un genitore coniugato/divorziato e un genitore ex convivente.

Rilevava quindi la Cassazione come la differenza non sia di esigua importanza se si riflette attentamente sul fatto che non ogni mancato pagamento integri un reato penale, dovendo piuttosto il giudice accertare che l’inadempimento del genitore all’obbligo di versare l’assegno di mantenimento abbia determinato nell’avente diritto un reale stato di bisogno, venendo a mancare per effetto di tale inadempimento i necessari mezzi di sussistenza.

La stessa Corte, oltretutto, in quell’occasione già sottolineava come le disposizioni della nuova legge “si applicano anche in caso di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio, nonché ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati” pur precisando come l’estensione dei principi introdotti dalla legge di riforma riguardasse esclusivamente l’aspetto civile.

La conclusione, quindi, enucleata a quel tempo dagli Ermellini si fondava sull’assioma che “mentre in caso di separazione dei genitori coniugati, ovvero di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio si applicano tutte le disposizioni previste dalla L. n. 54 del 2006, per quanto riguarda i figli di genitori non coniugati il riferimento ai “procedimenti relativi” agli stessi assolve alla funzione di circoscrivere l’ambito delle disposizioni applicabili a quelle che concernono i procedimenti indicati dalla L. n. 54 del 2006, e che sono quelli civili di cui all’art. 2, e non anche alle previsioni normative che attengono al diritto penale sostanziale”.

Contrariamente, quindi, a questa primigenia, ma isolata, impostazione, oggi la Cassazione è ormai univocamente orientata nel senso di riconoscere, in tema di reati contro la famiglia, la configurabilità del predetto reato anche in presenza di figli nati fuori dal matrimonio[5] alla luce anche della pacifica interpretazione sistematica della disciplina sul tema delle unioni civili e della responsabilità genitoriale nei confronti dei figli introdotta dalla Legge n. 76 del 20 maggio 2016 e dall’art. 55 del D. Lgs. n. 154 del 28 dicembre 2013 con il quale è stato inserito nel nostro sistema codicistico l’art. 337 bis c.c.

Si tratta, infatti, di disposizione del nostro Codice Civile che ha volutamente stabilito che “In caso di separazione, scioglimento, cessazione degli effetti civili, annullamento, nullità del matrimonio e nei procedimenti relativi ai figli nati fuori del matrimonio” si applichino le norme contenute nel relativo capo e cioè quelle di cui al Titolo IX – Della Responsabilità genitoriale e dei diritti e doveri del figlio.

Il definitivo passaggio a questa visuale, in realtà, non è stato semplice e naturale come si potrebbe credere, poiché già solo dalla lettura della sentenza oggi in commento si percepiscono tutte le incertezze ed i dubbi che probabilmente hanno attanagliato i Giudici di legittimità nel difficile compito, da una parte, di dover tener conto di questo ineluttabile processo di equiparazione giuridica dei figli naturali rispetto a quelli legittimi e, dall’altra parte, del non poter tralasciare lo stretto dato letterale dell’art. 570 c.p. nella modifica normativa intervenuta con il D. Lgs. n. 21 del 01 marzo 2018[6]ed il suo esplicito e vincolante riferimento alla sola figura del “coniuge”.

E’ evidente, in un certo senso, il travaglio interpretativo della Corte nel propendere per la prima delle suddette posizioni, evidentemente ben conscia del fatto che una eventuale diversa soluzione oggi più che mai finirebbe per determinare una incostituzionale diversità di trattamento, accordando una più ampia e severa tutela penale ai soli figli di genitori coniugati rispetto a quelli nati fuori dal matrimonio, senza una plausibile spiegazione di un tale contrasto, lo ripetiamo, rispetto al pensiero ed alla legislazione, anche sociale, imperanti.

La dimostrazione di ciò risiede, per chi legge la sentenza in commento, proprio nella dettagliata e scrupolosa ricostruzione cronologica e di contenuti che la Corte di Cassazione fa in merito alle diverse disposizioni normative che regolamentano la specifica materia, dilungandosi efficacemente nel processo di modifica e/o di sovrapponibilità legislativa intervenuto nel tempo e sull’efficacia di questo rispetto alla precisa individuazione del soggetto attivo della fattispecie criminosa considerata, secondo il riproposto, ed originario, problema del coordinamento della disciplina penalistica con le norme di cui all’art. 4 della Legge n. 54 del 2006.

Non sfugge, infatti, a questa attenta valutazione della Corte il fatto che questa legge, solo a seguito della propria interpretazione, abbia esteso l’intera disciplina anche ai procedimenti relativi ai figli dei genitori non coniugati, dal momento che la lettura incentrata sul tenore letterale della norma, per l’inequivoco riferimento al coniuge, ha già indotto la giurisprudenza di merito, ove non ricorrano le condizioni per applicare la previsione di omessa prestazione dei mezzi di sussistenza al figlio minore ovvero inabile al lavoro di cui all’art. 570 c.p. comma 2 n. 2 a fare ricorso, per la violazione consistente nell’omessa corresponsione di assegno in favore di figli recate dalle decisioni giudiziarie in favore di figli nati fuori dal matrimonio, alla fattispecie di cui allo stesso articolo comma 1.

A conclusione di questo percorso, dunque, dalla lettura complessiva e soprattutto maggiormente orientata degli artt. 3 e 4 della Legge n. 54 del 2006  si ricava come l’interpretazione sistematica debba necessariamente deporre nel senso della totale equiparazione anche della disciplina penalistica posta a presidio dell’esatto adempimento delle obbligazioni statuite a carico dei genitori in favore dei figli anche all’esito della cessazione della convivenza e non solo nel caso di vicende patologiche del rapporto matrimoniale a monte.

Detta disciplina penale relativa al mancato rispetto di una pronuncia giudiziale o di uno specifico accordo che impongono al genitore naturale l’obbligo di corrispondere una determinata somma di denaro per il mantenimento del figlio va, quindi, contestualizzata con riferimento alla cornice dettata nel codice civile che, nella rubrica dell’attuale Capo II del titolo IX recita “esercizio della responsabilità genitoriale a seguito di separazione, scioglimento, cessazione degli effetti civili, annullamento, nullità del matrimonio ovvero all’esito di procedimenti relativi ai figli nati fuori del matrimonio” e, all’art. 337 bis c.c., disciplinando l’ambito di applicazione stabilisce che “in caso di separazione, scioglimento, cessazione degli effetti civili, annullamento, nullità del matrimonio e nei procedimenti relativi ai figli nati fuori del matrimonio, si applicano le disposizioni del presente capo“.

Secondo la Quinta Sezione Penale, in definitiva, l’esegesi letterale dell’art. 570 bis c.p. tra la posizione dei figli nati da genitori conviventi rispetto alla prole nata in costanza di matrimonio si pone in netta antitesi con la piena equiparazione realizzata nell’ambito del diritto civile dall’art. 337 bis c.c. e segg. in un sistema normativo ormai costantemente orientato a far sì che gli obblighi dei genitori, nascendo dal rapporto di filiazione, non subiscano alcuna modifica a seconda che sia o meno intervenuto il matrimonio, in conformità, del resto, con la previsione dell’art. 30 comma 3 della Costituzione.

Questo orientamento, infatti, ci sembra difficilmente confutabile, avendo esso oltretutto ricevuto anche l’esplicito avallo della Corte costituzionale[7] nella giusta considerazione che la lettura coordinata dell’art. 4 comma 2 della Legge n. 54 del 2006 e dell’art. 8 del D. Lgs. n. 21 del 2018 in relazione all’art. 570 bis c.p. determini “l’estensione del relativo ambito applicativo“, così da “superare, senza alcuna indebita estensione analogica della norma incriminatrice, i dubbi di costituzionalità prospettati, incentrati sulla supposta depenalizzazione delle condotte di violazione degli obblighi di natura economica nei confronti dei figli nati fuori dal matrimonio“.

 

 

 

 

 


[1] Art. 570 c.p. “Violazione degli obblighi di assistenza famigliare”
[2] La Corte riporta le proprie sentenze, tutte della Sesta Sezione, n. 55744 del 24.10.2018, n. 56080 del 17.10.2018 e n. 8297 del 05.12.2018
[3] Art. 3. (Disposizioni penali) – “In caso di violazione degli obblighi di natura economica si applica l’articolo 12-sexies della legge 1º dicembre 1970, n. 898”
[4] Cass. Civ. Sezione Sesta Penale – sentenza n. 2666 del 19.01.2017
[5] nella sentenza vengono richiamate le pronunce n. 14731 del 22.02.2018, n. 12393 del 31.01.2018 e n. 25267 del 06.04.2017
[6] pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 63 del 22 marzo 2018 e in vigore dal 6 aprile 2018 con il quale si è data attuazione ad una delle deleghe contenute nella Legge n. 103 del 23 giugno 2017 (c.d. “legge Orlando”)
[7] Sentenza n. 189 del 2019

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Nata a Lecce nel 1963 e conseguita la Laurea in Giurisprudenza presso l’Università di Siena con la votazione di 110/110, svolge da subito la pratica legale presso uno studio di Milano abilitandosi all’esercizio della professione forense nel 1991 e nello stesso anno diventa titolare dello studio già avviato dal padre Avv. Renato da cui eredita, oltre alle qualità umane, l’inclinazione per il Diritto Civile, operando prevalentemente in tutto il Salento. All’iniziale interesse per il Diritto di famiglia e dei minori si affianca l’approfondimento di altre branche del diritto privato, quali il Diritto Commerciale e la sicurezza sul lavoro, complice anche l’espletamento di ulteriori incarichi quali quelli di Giudice Conciliatore e di Mediatore Professionista. La sua attività professionale si estende nel tempo anche al campo dei diritti della persona e tutela degli stessi e l’acquisizione di una crescente esperienza in materia di privacy e sicurezza sul lavoro la incita ad incrementare l’impegno riposto nell’aggiornamento continuo. Particolare rilevanza assume anche lo svolgimento dell’attività di recupero crediti nell’interesse di privati e società, minuziosamente eseguita in ogni sua fase, nonché quella per la tutela del debitore con specifica attenzione alla nuova disciplina in materia di sovraindebitamento. Dal 1990 è docente di Scienze Giuridiche ed Economiche presso gli Istituti ed i Licei di Istruzione Superiore di Secondo Grado, attività che svolge con passione e che, per il tramite della continua interazione con le nuove e le vecchie generazioni, le agevola la comprensione dei casi e delle fattispecie a lei sottoposte, specie nell’ambito del diritto di famiglia. E’ socio membro di FEDERPRIVACY, la più accreditata, a livello nazionale, Associazione degli operatori in materia di privacy e Dpo. Dà voce al proprio pensiero per il tramite degli articoli pubblicati sul proprio sito - SLS – StudioLegaleSodo (www.studiolegalesodo.it) nonché attraverso i rispettivi canali social ( FaceBook e LinkedIn ) ed è autrice di vari articoli e note a sentenza su riviste telematiche del diritto di primario interesse nazionale.

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