Obbligo di motivazione nell’ordinanza di ingiunzione prefettizia

Obbligo di motivazione nell’ordinanza di ingiunzione prefettizia

Nel caso – non infrequente – in cui le ordinanze – ingiunzione prefettizie sono formulate a mò di mera clausola di stile, è stata sostenuta, presso gli operatori, la tesi della illegittimità per carenza del fondamentale requisito di motivazione previsto dall’art. 3, legge 7 agosto 1990 n. 241, come modificato dalla recente legge 11 febbraio 2005 n. 15, il quale recita: Articolo 3 – Obbligo di motivazione “1. Ogni provvedimento amministrativo, compresi quelli concernenti l’organizzazione amministrativa, lo svolgimento dei pubblici concorsi ed il personale, deve essere motivato, salvo che nelle ipotesi previste dal comma 2. La motivazione deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione, in relazione alle risultanze dell’istruttoria.2. La motivazione non è richiesta per gli atti normativi e per quelli a contenuto generale. 3. Se le ragioni della decisione risultano da altro atto dell’amministrazione richiamato dalla decisione stessa, insieme alla comunicazione di quest’ultima deve essere indicato e reso disponibile, a norma della presente legge, anche l’atto cui essa si richiama”.

Nel disciplinare il contenuto minimo della motivazione, la suddetta legge, precisa che essa debba indicare presupposti di fatto e ragioni di diritto, dovrà tener conto, dunque, anche delle argomentazioni esposte dall’interessato nella memoria difensiva.

L’ordinanza ingiunzione rappresenta un vero e proprio provvedimento sanzionatorio con cui si applica la sanzione amministrativa. In considerazione del fatto che soltanto l’ordinanza ingiunzione è l’atto che incide sulle posizioni giuridiche soggettive dei destinatari, la legge ne prevede una tutela giurisdizionale, allorchè secondo le regole generali sull’invalidità riflessa, i vizi degli atti endoprocessuali (atti interni al procedimento finalizzati all’emanazione dell’atto) si riflettono in termini di validità sull’atto finale.

Vero è che, in generale l’art. 3, comma 3 della legge 241/90 ammette che le ragione della decisione possano risultare da altro atto richiamato dalla decisione stessa, tuttavia tale disposizione impone altresì che l’atto richiamato sia indicato e reso disponibile dall’autorità amministrativa che ha emanato il provvedimento motivato per relationem., non ricorrendo dunque ad un mero richiamo ma, perlomeno facendo riferimento a quegli elementi logico-giuridici sulla base del quale è stata adottata l’impugnata decisione.

È noto che presso gli operatori del diritto vi sia oggi concordia di opinioni nel riconoscere valenza prioritaria al citato requisito della motivazione degli atti amministrativi, assolutamente servente al rispetto del principio del contraddittorio, la cui cittadinanza è pure riconosciuta nella materia del procedimento amministrativo.

Oltretutto l’art. 18, 2° comma della legge 24 Novembre 1981 n. 689 impone l’obbligatoria motivazione dell’ordinanza con cui si determina la somma dovuta a titolo di sanzione amministrativa.

Motivare un atto significa manifestare le ragioni che hanno condotto ad adottare una determinata scelta richiamando le circostanze di fatto nonché il processo logico seguito per pervenire ad una determinata decisione. La funzione della motivazione è duplice: da una parte porre l’interessato in condizione di esercitare le proprie difese, ripercorrendo l’iter logico e giuridico che hanno portato l’autorità amministrativa a ritenere fondato l’accertamento ed ad applicare la sanzione; dall’altro lato consentono al giudice di eseguire un controllo sulla validità formale e sostanziale dell’ingiunzione stessa.

Tali considerazioni trovano autorevole conforto nella unanime recentissima giurisprudenza della Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione Sent. 519/2005,  di cui qui ci si limita a riportarne la massima: << Ove l’interessato si sia avvalso della facoltà di proporre il ricorso al Prefetto ex articoli 203 e 204 del Cds, l’ordinanza ingiunzione, implicandone il rigetto, deve essere a pena di illegittimità, motivata, sia pure succintamente, sia in relazione alla sussistenza della violazione, sia in relazione alla infondatezza dei motivi allegati con il ricorso».

Ciò, in quanto, con riferimento alle violazioni attinenti alla circolazione stradale, gli articoli 203 e 204 del Cds attribuiscono, a colui a cui sia stata contestata la trasgressione, la facoltà di proporre ricorso al Prefetto, imponendo a tale organo della PA l’emissione, entro un termine predeterminato, dell’ordinanza «motivata» relativa alla eventuale ingiunzione dì pagamento della sanzione irrogata.

La ratio di tale normativa, secondo la cennata sentenza è “quella di risolvere, per quanto possibile, dette controversie in sede amministrativa, deflazionando l’accesso alla giurisdizione, scopo che resterebbe frustrato ove si negasse ogni rilievo alla mancata motivazione sulle doglianze fatte valere in tale sede, in difformità dall’esplicito dettato normativo e, comunque, dal principio generale secondo il quale la violazione delle norme procedimentali attinenti alla formazione degli atti amministrativi ne determina la illegittimità” (Cass. 391/99, e la recentissima 13 gennaio 2005 n. 510). Più in dettaglio, motiva la Cassazione, l’inottemperanza a tali dettami porterebbe all’abnorme seguente conseguenza: “la motivazione sarebbe meramente fittizia e nasconderebbe solo un apparente esame del caso controverso, equivalente al suo mancato compimento nei termini previsti dalla legge. Insomma, il principio secondo il quale nel procedimento di opposizione a sanzione amministrativa il sindacato del giudice si estende alla validità sostanziale del provvedimento irrogativo dì essa, attraverso un autonomo esame della ricorrenza dei presupposti di fatto e di diritto dell’infrazione, non esclude affatto che in tale procedimento possano farsi valere anche i vizi del procedimento irrogativo della sanzione. Tra essi, ove sia stato proposto il ricorso previsto dall’articolo 203 del Cds, deve annoverarsi anche quello relativo alla carenza assoluta di motivazione, in quanto dimostrativa del mancato esame del caso controverso sottoposto all’autorità pubblica, poiché entro questi limiti l’obbligo dì motivazione è previsto dalla legge come condizione di legittimità dell’atto irrogativo della sanzione amministrativa. Di conseguenza, in mancanza di tale dimostrazione scritta, il giudice dell’opposizione, che non trovi il riscontro dell’esame (obbligatorio) dei presupposti del rapporto sanzionatorio, da parte dell’autorità amministrativa preposta a tale controllo, deve annullare detto provvedimento per violazione di legge”. (orientamento confermato anche dalla sentenza 9.02.2005 gdp di Pozzuoli).

Per quanto attiene al giudizio di merito, le Sezioni Unite delineano con notevole completezza un’articolata ricostruzione del processo ex art. 22, osservando che: a)  l’oggetto di tale giudizio è formalmente costruito come giudizio di impugnazione dell’atto, ma tende all’accertamento negativo della pretesa sanzionatoria, nel senso che l’atto è il veicolo d’accesso al giudizio di merito, al quale si perviene per l’appunto tramite la sua impugnazione; b) che il giudizio concerne anzitutto la legittimità formale e sostanziale dell’ordinanza-ingiunzione e che, nel caso che sia accertata l’illegittimità del provvedimento, il giudizio deve definirsi con l’annullamento del provvedimento sanzionatorio, senza possibilità che la P.A. possa pretendere una pronunzia sulla sussistenza della sua pretesa sanzionatoria, con una sua consacrazione in una statuizione sostitutiva del giudice c) che la struttura del procedimento ex art. 22 l. 689/81 in punto di poteri del giudice in ordine all’attività di allegazione, deve ricostruirsi tenendo conto che si tratta di un procedimento che deve ricondursi nell’alveo del processo civile, le cui regole generali debbono trovare applicazione, con la conseguenza che i limiti dell’esame giudiziale debbono reputarsi segnati dal contenuto della domanda introduttiva dell’opposizione, essendo possibile soltanto che il giudice fondi la decisione sulla causa petendi prospettata dall’opponente ed essendo, invece, precluso al giudice il porre a fondamento della decisione una causa petendi diversa da quella dedotta dall’opponente, sulla base di una propria attività di accertamento ed allegazione.

La pronuncia delle Sezioni Unite ha, dunque, ricondotto il giudizio di opposizione avverso l’ordinanza-ingiunzione nell’ambito del modello generale del processo civile, sancendo, in particolare, la piena applicabilità ad esso del principio della domanda e del principio della corrispondenza fra chiesto e pronunciato.


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