Omicidio stradale e guida in stato di ebbrezza: unità o pluralità di reati?

Omicidio stradale e guida in stato di ebbrezza: unità o pluralità di reati?

Con sentenza n. 26857 del 12/06/2018 la quarta Sezione Penale della Corte di Cassazione ha enunciato il seguente principio di diritto: «Nel caso in cui si contesti all’imputato di essersi, dopo il 25 marzo 2016 (data di entrata in vigore della legge n. 41 del 2016), posto alla guida di un veicolo a motore in stato di ebbrezza e di avere in tale stato cagionato, per colpa, la morte di una o più persone – ovvero lesioni gravi o gravissime alle stesse – dovrà prendersi atto che la condotta di guida in stato di ebbrezza alcoolica viene a perdere la propria autonomia, in quanto circostanza aggravante dei reati di cui agli artt. 589-bis, comma 1, e 590-bis, comma 1, cod. pen., con conseguente necessaria applicazione della disciplina sul reato complesso ai sensi dell’art. 84, comma 1, cod. pen., ed esclusione invece dell’applicabilità di quella generale sul concorso di reati».

La pronuncia in esame consente di indagare sulla portata del divieto di bis in idemcardine generale di civiltà dell’ordinamento processuale penale che trova espressione positiva nell’art. 649 cod. proc. pen. ai sensi del quale: «L’imputato prosciolto o condannato con sentenza o decreto penale divenuti irrevocabili non può essere di nuovo sottoposto a procedimento penale per il medesimo fatto, neppure se questo viene diversamente considerato per il titolo, per il grado o per le circostanze, salvo quanto disposto dagli articoli 69 comma 2 e 345».

Il principio di ne bis in idem processuale rinviene applicazione anche nelle norme volte a disciplinare i conflitti positivi di competenza (art. 28 e ss. cod. proc. pen.), nonché  nell’art. 669 cod. proc. pen. concernente l’ipotesi di più sentenze pronunciate per il medesimo fatto contro la stessa persona.

Se a livello processuale il principio di ne bis in idem mira a  scongiurare il rischio che un soggetto sia sottoposto più volte a procedimento penale per il medesimo fatto, di non secondaria importanza è la ratio sottesa al medesimo principio nel suo risvolto sostanziale. Ed infatti, il ne bis in idem sostanziale è espressione della esigenza – ampiamente avvertita in un moderno ordinamento democratico – di non addebitare all’imputato più volte lo stesso fatto storico, purché esso sia il momento di emersione di una unica contrapposizione cosciente e consapevole (ergo: colpevole) dell’individuo alle regole che disciplinano la vita dei consociati (sul punto Cass., sez. 4, n. 46441 del 03/10/2012).

Il principio del ne bis in idem sostanziale ha valenza paradigmatica rispetto al c.d. concorso apparente di norme, vietando, infatti, di attribuire più volte lo stesso fatto all’agente.

Si parla , invero, di “concorso apparente di norme” quando più norme appaiono, prima facie, tutte applicabili al medesimo fatto. Affinché possano assolversi le istanze di equità e certezza del diritto insite nel divieto di bis in idem sostanziale, il legislatore ha predisposto apposita norma. L’art. 15 cod. pen. sancisce infatti che:«Quando più leggi penali o più disposizioni della medesima legge penale regolano la stessa materia, la legge o la disposizione di legge speciale derogano alla legge o alla disposizione di legge generale, salvo che sia altrimenti stabilito».

Il criterio di specialità, sintetizzabile nel noto brocardo lex specialis derogat legi generali, è l’unico criterio codicistico espressamente annoverabile entro l’armamentario di cui dispone l’interprete al fine di stabilire se ricorra un’ipotesi di concorso di reati o, se si sia al cospetto di un concorso apparente di norme, laddove è unica la fattispecie in concreto applicabile.

Per sopperire alla insufficiente regola di cui sopra, dottrina maggioritaria ha elaborato due ulteriori criteri: quello di sussidiarietà e quello di consunzione.

In forza del criterio di sussidiarietà, la norma principale esclude l’applicabilità della norma sussidiaria. Ad onta del principio lex primaria derogat legi subsidiariae, è sussidiaria la norma che tutela un grado inferiore dell’identico bene che è tutelato dalla norma principale in grado superiore. La sussidiarietà può dirsi espressa quando sia la stessa legge a prevederla mediante predisposizione di clausole di riserva; quella tacita è invece circoscritta ai casi in cui le due norme tutelino, l’uno in grado maggiore, l’altra in grado minore, l’identico bene-interesse riconducibile entro l’oggetto giuridico della fattispecie incriminatrice, cosicché la norma principale esaurisca l’intero disvalore penale del fatto.

Si fa ricorso al criterio di consunzione quando  la norma consumante comprende in sé il fatto previsto dalla norma consumata, esaurendo, conseguentemente, l’intero disvalore del fatto concreto. Il concorso apparente di norme viene risolto, quindi, attribuendo prevalenza alla norma consumante conformemente alla regola secondo la quale lex consumens derogat legi consumptae. Ipotesi di consunzione espressa è rinvenibile nella disciplina del reato complesso di cui all’art. 84 cod. pen., ai sensi del quale assurgono ad elementi costitutivi o a circostanze aggravanti di un unico reato, fatti che costituirebbero, per se stessi, reato.

È proprio al criterio di consunzione che la Suprema Corte di Cassazione ha fatto richiamo nel caso oggetto del ricorso dinanzi ad essa proposto.

Ed invero, gli Ermellini di Piazza Cavour hanno stabilito che chi, ponendosi alla guida di un veicolo a motore in stato di ebbrezza alcoolica, cagioni per colpa la morte di una persona, risponda della sola fattispecie delittuosa aggravata di cui al comma 2 dell’art. 589 bis cod. pen., escludendosi il concorso con l’ipotesi contravvenzionale contemplata dall’art. 186, comma 2, lettera c) del Codice della strada (d.lgs 30 aprile 1992, n.285). Dunque, la guida in stato di ebbrezza, che costituirebbe già di per sé reato, assurge ad elemento circostanziale aggravatore dell’unico reato complesso dell’omicidio stradale, in qualità, quest’ultimo, di fattispecie consumante ricomprendente in sé il fatto previsto dalla norma consumata.

Ad analoga inferenza deve giungersi anche quando l’aggravante della guida in stato ebbrezza alcoolica, nonché quella della guida in stato di alterazione psico-fisica per uso di sostanze stupefacenti, vada a giustapporsi alla condotta delittuosa delle lesioni personali stradali gravi o gravissime ex art. 590-bis, comma 2, cod. pen., impedendosi, in tal modo, che il medesimo fatto storico del porsi alla guida in stato di ebbrezza (o in stato di alterazione psico-fisica) possa essere applicato due volte allo stesso autore, in totale spregio del divieto di bis in idem sostanziale.

Ebbene, il giudice della nomofilachia ha escluso la ricorrenza di un’ipotesi di concorso di reati tra omicidio stradale e guida in stato di ebbrezza e, adottando una soluzione conforme della disciplina del reato complesso, ha rilevato il netto discrimen esistente tra il primo e il secondo comma dell’art. 589-bis cod. pen..

Emerge, esplicitamente, come la novella del 2016 (legge n.41 del 2016) abbia ricondotto l’ipotesi aggravata dell’omicidio stradale al momento della “guida“, individuando come agente chiunque si ponga “alla guida di un veicolo a motore” (comma 2, art. 589-bis, cod. pen.).

Contrariamente, l’ipotesi base di cui al primo comma dell’art.589-bis cod. pen., identifica quale destinatario del precetto “chiunque cagioni per colpa la morte di una persona con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale…).

Alla luce di tale prospettazione può affermarsi che la nuova fattispecie aggravata vada ad applicarsi solo al conducente di un veicolo a motore e non già a chi cagioni la morte di un pedone guidando una bicicletta in stato di ebbrezza.

Lo schema del reato complesso – con conseguente qualificazione della contravvenzione di cui all’art. 186, comma 2, lettera c) d.lgs 285/1992 in termini di norma consumata dalla fattispecie delittuosa dell’omicidio stradale capace di esaurire l’intero disvalore del fatto – a dire della Corte di Cassazione, sarebbe comprovato, non solo dalla diversa formulazione normativa dei commi primo e secondo dell’art. 589-bis cod. pen., ma anche dall’espressa configurazione dell’aggravamento di pena della guida in stato di ebbrezza quale elemento circostanziale.

Non può, però, sottacersi, che una tale conclusione, sebbene in accordo con il principio del ne bis in idem sostanziale, vada a relegare ad un ruolo meramente marginale la portata dell’illecito contravvenzionale della guida in stato di ebbrezza, così come di quello della guida in stato di alterazione psico-fisica per uso di sostanze stupefacenti.

Può, in definitiva, dirsi auspicabile un intervento delle Sezioni Unite volto a chiarire la portata, ormai residuale, degli illeciti previsti dagli art. 186, comma 2, lettera c), e 187 del Codice della strada, pena la loro sostanziale inapplicabilità.


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