Opposizione al d.i: violazione del giusto processo o della pretesa creditizia

Opposizione al d.i: violazione del giusto processo o della pretesa creditizia

Nota a Cass. civ., sez. III, ord. 18 maggio 2021, n. 13556

 

La vicenda. La sentenza n.7477 del 2015 del Tribunale di Palermo, con mutamento del rito da ordinario a locatizio, dichiarò inammissibile l’opposizione della A.S.P contro il decreto ingiuntivo notificatogli per il pagamento a favore della immobiliare Strasburgo S.r.l per l’indennità di occupazione e per il rimborso delle quote condominiali della locazione dell’immobile.   

Il medesimo Tribunale sottolineò che il mutamento del rito era giustificato dal fatto che i crediti derivano dalla locazione per cui ai sensi dell’art.447-bis cod. Proc. Civ. comporta il mutamento del rito da ordinario a rito del lavoro.  

Nel caso in cui l’opposizione al decreto ingiuntivo venga proposta con atto di citazione, ciò impedisce che il decreto ingiuntivo diventi definitivo con il deposito entro i termini di cui all’art.641 cod. Proc. Civ.  

Lo stesso Tribunale dichiarò inammissibile l’opposizione perché depositata tardivamente, oltre il termine di 40 giorni dalla notifica del decreto ingiuntivo.  

L’ A.S.P ricorse in appello contro la resistente L’Immobiliare Strasburgo S.r.l  

La questione di diritto. La controversia riguarda la qualificazione giuridica dell’opposizione al decreto ingiuntivo, quale impugnazione o come giudizio ordinario di cognizione ai fini dell’applicabilità della disciplina del mutamento di rito di cui all’art.4 del d.lgs. 150/2011.  

Preliminarmente, doveroso è affrontare la disciplina la cui applicabilità è controversa ovvero l’art.4 del medesimo decreto legislativo.  

Al capo 1 del decreto steso è inserita la disposizione sopracitata rubricata “Mutamento del rito”: <<1. Quando una controversia viene promossa in forme diverse da quelle previste dal presente decreto, il giudice dispone il mutamento del rito con ordinanza. 2. L’ordinanza prevista dal comma 1 viene pronunciata dal giudice, anche d’ufficio, non oltre la prima udienza di comparizione delle parti. 3. Quando la controversia rientra tra quelle per le quali il presente decreto prevede l’applicazione del rito del lavoro, il giudice fissa l’udienza di cui all’articolo 420 del codice di procedura civile e il termine perentorio entro il quale le parti devono provvedere all’eventuale integrazione degli atti introduttivi mediante deposito di memorie e documenti in cancelleria. 4. Quando dichiara la propria incompetenza, il giudice dispone che la causa sia riassunta davanti al giudice competente con il rito stabilito dalle disposizioni del presente decreto. 5. Gli effetti sostanziali e processuali della domanda si producono secondo le norme del rito seguito prima del mutamento. Restano ferme le decadenze e le preclusioni maturate secondo le norme del rito seguito prima del mutamento>>.

L’applicazione della disciplina del mutamento di rito ha come conseguenza il mantenimento degli effetti sostanziali e processuali prodottisi sotto la vigenza delle norme del rito prima del muramento del medesimo.  

L’importanza di questa disposizione assume particolare rilevanza ai sensi dell’art.447-bis ossia della materia locatizia di comodato e d’affitto.  

La disciplina sopra esposta, si giustifica nel caso in questione nella misura in cui si riconosca la piena legittimità del mutamento del rito accolta appunto, anche dalla stessa Corte nonostante la ricorrente abbia richiesto solo la riforma della sentenza di merito di primo grado, ma sia decaduta dal diritto di eccepire l’opposizione al decreto ingiuntivo perché in violazione dei termini di cui all’art.346 c.p.c  

Il mutamento del rito viene disciplinato ordinariamente all’art.426 c.p.c che stabilisce che il giudice laddove dovesse rilevare una causa promossa nelle forme ordinarie riguardante uno dei rapporti fissati all’art.409 c.p.c, fissa con un’ordinanza l’udienza di discussione della causa ex- art.420 c.p.c  ed il termine perentorio entro il quale le parti dovranno provvedere all’eventuale integrazione degli atti introduttivi mediante il deposito di memorie e documenti presso la cancelleria.  

I provvedimenti ordinatori inidonei a pregiudicare la decisione della causa non hanno natura di sentenze implicite sulla competenza, per la cui configurabilità si richiede che il provvedimento presupponga o meno l’affermazione della propria competenza da parte dello stesso giudice.  

Il processo erroneamente introdotto con il rito ordinario è regolato dal rito speciale non dal momento in cui ne viene riconosciuta la natura ma dal momento in cui il giudizio ha inizio in applicazione del rito corrispondente, in quanto precedentemente rileva il rito adottato dal giudice che costituisce criterio di riferimento anche per il computo dei termini delle attività processuali.  

Dunque, ove dovesse trovare applicazione ad una controversia in materia di lavoro il rito ordinario, troverà applicazione il Principio dell’apparenza o dell’affidamento, in forza del quale la scelta tra i mezzi, i termini e regime d’impugnazione astrattamente esperibili va operata sulla base del tipo di procedimento effettivamente svoltosi.  (Cass. Sez.Un.9694/2010) 

 Il mancato mutamento del rito sia da ordinario a speciale che viceversa non determina “ipso iure” l’inesistenza o nullità della sentenza ma ha rilevanza invalidante solo se la parte che se ne dovesse dolerne in sede d’impugnazione indichi lo specifico pregiudizio processuale concretamente subito dalla mancata adozione del rito diverso, come una rilevante lesione al diritto di difesa, del contradditorio ed in generale delle prerogative processuali protette dalla parte ex- art.111 Cost.  

 La sentenza impugnata dalla ricorrente, a seguito della quale la medesima Immobiliare Strasburgo S.r.l ha proposto un ricorso incidentale condizionato all’accoglimento del ricorso principale, ha come fondamento la violazione o falsa applicazione delle norme di diritto, facendo espresso riferimento all’art.4, quinto comma del d.lgs. n. 150/2011, art.426 c.p.c in relazione all’art. 447-bis c.p.c, art.156 c.p.c ed art. 645 c.p.c ( ai sensi dell’art. 360, n.3 c.p.c ). 

La resistente propose un ricorso incidentale condizionato al ricorso principale nella parte in cui la Corte d’Appello accolga il secondo motivo d’appello della ricorrente ossia la contestazione della tardività dell’opposizione sul fondamento che il Tribunale abbia violato l’art. 4, quinto comma del d.lgs. 150/2011 che fa salvi gli effetti processuali e sostanziali nel caos di mutamento di rito prodottisi secondo le norme di rito seguito prima del mutamento. 

 La Terza Sezione della Corte di Cassazione, ribadendo il principio costituzionale della ragionevole durata del processo, cui fine primario è garantire la realizzazione del diritto delle parti ad ottenere una risposta nel merito; ha sottolineato che il ricorso incidentale proposto dalla parte vittoriosa nel merito, che dovesse investire qualsiasi questione pregiudiziale di rito relative alla giurisdizione o anche preliminari di merito, abbia natura condizionata.  

In virtù della natura condizionata il ricorso deve essere esaminato solo se le pregiudiziali di rito o di merito, rilevabili d’ufficio ex- art.39 – art. 44, non siano state oggetto di una decisione espressa dal giudice di prime curie.  

Nel caso in cui le sopracitate dovessero esser state preventivamente affrontate, il ricorso incidentale condizionato dovrà esser esaminato nella misura in cui sussiste una fondatezza del ricorso principale.  

La parte ricorrente propone appello sulla base di un asserito error in procedendo della Corte d’Appello di Palermo avuto riguardo dell’art.346 c.p.c e in particolar modo dell’art. 4, quinto comma del d.lgs. n. 150/2011. 

La Corte territoriale in questione dichiarò inammissibile l’opposizione al decreto ingiuntivo, nonostante riconobbe l’applicazione dell’art.4 sopracitato poiché, la stessa parte ricorrente limitandosi a chiedere solo la riforma della sentenza di primo grado incorse nella decadenza regolata all’art. 346 c.p.c,  per la proposizione dell’accoglimento dell’opposizione al decreto ingiuntivo.  

La ricorrente riferendosi all’ordinanza d19/01/2008 n.1322, sostiene che la Corte sarebbe incorsa in errore ritenendo come enunciati e non riproposti, facendo così maturare la decadenza di cui l’art.346 c.p., i motivi e le domande formulante con l’opposizione al d.i in primo grado conseguentemente al mutamento di rito previsto ex – art. 447 –bis c.p.c .  

Sostenendosi che la censura alla sentenza di primo grado già di per sé era idonea ad investire il Giudice del gravame del potere- dovere di enucleare il contenuto attuale assorbito dalla precedente dichiarazione d’inammissibilità dell’opposizione.  

La ricorrente sostiene che in virtù del principio di conservazione degli atti, il Giudice d’Appello avrebbe dovuto sostituirsi al primo giudice o rimettere gli atti a quest’ultimo per una nuova istruttoria nel merito. 

La Corte affermando il principio di conservazione degli atti, non trova applicazione nel caso d’impugnazione della decisione che ha giudicato inammissibile la decisione di primo grado, anche laddove la ricorrente nelle conclusioni dei motivi di appello ne faccia un esplicito rinvio.  

Contestualmente viene posto in evidenza che la stessa Corte, in virtù del fatto del risultato negativo del giudizio di favore dell’appello nei confronti della stessa ricorrente poiché limitatosi alla richiesta della riforma della sentenza di primo grado senza esplicitare la richiesta di accoglimento dell’opposizione al decreto ingiuntivo proposta in primo grado.  

La ricorrente incidentale, la normativa addotta dalla principale non sarebbe applicabile in relazione a quanto enunciato dalla Cass. Sez. Un., 7/07/1993, per cui l’opposizione al decreto ingiuntivo << non introduce un giudizio autonomo e neppure un grado autonomo ma costituisce solo una fase del giudizio già pendente a seguito del ricorso del creditore che si svolge secondo le norme del procedimento>> 

Dunque, l’atto di opposizione al decreto ingiuntivo non si potrebbe considerare come atto idoneo a instaurare un nuovo giudizio, bensì solo come atto che permette il proseguo della seconda fase del procedimento incardinato dalla parte opposta, convenuta formalmente dal momento che l’opposizione si può altrimenti, qualificare come prosecuzione o continuazione orizzontale del processo monitorio. *  

La questione sottoposta alla Corte di Cassazione, Terza sezione civile e rimessa al Primo Presidente è inerente alla qualifica dell’atto di opposizione al decreto ingiuntivo e del relativo procedimento che ne consegue. 

Dal momento che l’orientamento che qualifica il suddetto atto come introduttivo non di un giudizio autonomo né di un grado autonomo bensì una fase – eventuale – del giudizio già pendente riconducibile all’alveo del processo ordinario di cognizione, si contrappongono altri orientamenti che attribuiscono al suddetto atto natura di atto introduttivo di un autonomo giudizio o addirittura impugnazione di primo grado , rimarcando la simmetria del giudizio di opposizione a quello dell’impugnazione come da S.U. nelle sentenze del 1992 e 2001.  

L’art.645 c.p.c disciplina l’opposizione stabilendo che tale si propone innanzi all’ufficio giudiziario cui appartiene il giudice che ha emesso il decreto con atto di citazione.  

Il mutamento di rito da speciale in ordinario e viceversa nel procedimento monitorio hanno avuto un’evoluzione altalenante e differente in relazione a che si consideri antecedentemente la riforma del 2011. 

Antecedentemente alla riforma del 2011, nel procedimento monitorio o d’ingiunzione nazionale il contradditorio era eventuale e successivo nella misura in cui il debitore decidesse di opporvisi. In tal caso si apre un vero e proprio giudizio di primo grado a cognizione piena.  

Tale opposizione la si propone con un atto che assume la forma di atto di citazione, il quale deve essere notificato al ricorrente e l’ufficio giudiziario competente sarà quello del giudice che ha emesso il decreto.  

Un importante onere viene posto in capo all’attore ossia quello di provare la tempestività dell’opposizione e la dimostrazione solitamente viene fornita mediante la notificazione apposta in calce al provvedimento monitorio. Produrre suddetto documento può esser compiuto in primo grado ma anche in appello in quanto nessuna norma richiede la produzione contestuale alla costituzione in giudizio dell’opponente.  

Il giudizio d’opposizione a decreto ingiuntivo configurandosi come ulteriore sviluppo, prosecuzione della fase monitoria ne consegue la facoltà del giudice di rilevarne d’ufficio il formarsi del giudicato interno relativo all’intempestività del deposito dell’opposizione. 

Sussistendo la possibilità dell’abbreviazione dei termini come conseguenza della pronta trattazione serve da una parte per rispondere ad esigenze di accelerazione della trattazione e dall’altro opportunità di bilanciare la limitazione dei termini a disposizione del convenuto per la costituzione dell’attore.  

Dal momento che l’esigenza di una pronta e celere trattazione dell’opposizione volta a verificare la fondatezza del decreto ingiuntivo ottenuto inaudita altera parte dal creditore risponde all’esigenza del bilanciamento delle posizioni delle parti considerando che il giudizio d’opposizione ha natura di giudizio di cognizione piena devolvendo al giudice dell’opposizione l’esame del rapporto controverso e non dell’esame della mera legittimità della pronuncia del decreto ingiuntivo.  

Conclusioni. In considerazione della giurisprudenza non univoca, in particolare, alla qualificazione giuridica dell’opposizione al decreto ingiuntivo come impugnazione o come giudizio ordinario di cognizione è doveroso concludere con una serie di considerazioni in merito.  

Tramite l’opposizione al decreto ingiuntivo ex – art. 645 c.p.c si promuove un giudizio ordinario, ove il giudice dovrà accertare la sussistenza e validità del credito posto a fondamento della domanda d’ingiunzione.  

Ponendo l’attenzione al mutamento di rito nel caso di specie ex- art.4 d.lgs. 150/2011 e alla previsione del mantenimento degli effetti sia processuali che sostanziali, possiamo concludere che a salvaguardia del principio del giusto processo ex – art. 111 Cost., si debba accogliere, a mio parere, la natura dell’opposizione al decreto ingiuntivo come atto idoneo ad instaurare un nuovo giudizio ordinario di cognizione pur nella consapevolezza della rimessione della suddetta questione alle Sezioni Unite.  

Ritengo che l’accoglimento del sopraindicato indirizzo giurisprudenziale, permettendo l’instaurazione di un nuovo giudizio ordinario di cognizione riconoscerebbe la possibilità alla parte opponente di addurre, eventualmente nel momento della costituzione nel nuovo giudizio, ulteriori elementi di fatto e di diritto a sostegno della validità e legittimità della rispettiva pretesa; cosa che non accadrebbe nel caso in cui l’opposizione al decreto ingiuntivo  fosse intesa quale un mero proseguo del giudizio di opposizione,  ove eventualmente dovessero esser maturate delle preclusioni che impedirebbero alla parte di dimostrare la validità della pretesa e quindi lesiva del diritto di difesa costituzionalmente riconosciuto.  

 Un’ultima considerazione riguardo alla natura dell’opposizione al decreto ingiuntivo è per quanto concerne la necessità di accelerare sempre di più i tempi processuali in risposta all’esigenza non solo di certezza come garanzia annessa al diritto ad un giusto processo, ma altresì con le sfide del PNRR e delle richieste che vengono dall’Europa.  

Staremo a vedere cosa diranno le Sezioni Unite, tenendo a mente anche le grandi sfide che l’Italia si trova ad affrontare, soprattutto riguardo il lato processuale.   


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Matteo Tofanelli

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