Parliamo di Revenge porn

Parliamo di Revenge porn

In questo periodo si parla molto di violenza di genere, soprattutto in occasione del 25 novembre, Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Alcuni recenti fatti di cronaca hanno però portato alla luce una triste realtà, radicata ormai da tempo: troppo spesso la mancanza di conoscenza porta l’opinione generale a colpevolizzare le vittime, per non essersi fatte avanti subito, oppure per aver “facilitato il compito” al colpevole degli atti di violenza, sia fisica che psicologica. E’ il classico caso del “così vestita te la sei cercata”, o del “se non ti fossi fatta quelle foto non sarebbero finite in rete”. Per questo è così importante diffondere una cultura della conoscenza di tutti gli aspetti della violenza di genere, e non solo. L’articolo si pone, dunque, l’obiettivo di analizzare uno dei fenomeni più recenti di violenza, che nella grande maggioranza dei casi è rivolta verso le donne, il c.d. Revenge porn.

Facciamo chiarezza sul nuovo reato di Revenge porn, o Pornovendetta

La recente  vicenda della maestra d’asilo di Torino licenziata a causa di un video, pubblicato dal suo ex compagno, in cui si mostrava in atteggiamenti intimi e privati ha fatto molto discutere ed ha portato alla luce una realtà distorta, in cui di questa tipologia di reato si conosce ben poco e in cui, soprattutto, primeggia un atteggiamento di colpevolizzazione della vittima, noto con il termine anglosassone victim blaming. Quel breve filmato, difatti, è finito in pasto all’opinione pubblica dopo aver fatto il giro delle chat e dei gruppi WhatsApp. La diffusione di quella clip è costata alla donna il posto di lavoro perchè “contrastava con il ruolo e la figura educativa della maestra”, ma quella donna è in effetti stata oggetto di una violenza. Quel revenge porn oggi è, ad oggi, una fattispecie di reato; nonostante ciò l’opinione maggioritaria si è scagliata contro la maestra, rimproverandola di essersi resa colpevole della sua stessa disgrazia, essendosi prestata a comparire in quel determinato tipo di video.

In Italia, purtroppo, il fenomeno ha visto una crescita esponenziale negli ultimi anni,  dove gli episodi di vendetta pornografica hanno talvolta assunto contorni drammatici. Questa storia è, difatti, tristemente simile a quella di un’altra giovane donna, Tiziana Cantone. Anche la sua vita privata è stata per lungo tempo alla ribalta: la trentunenne, dopo aver subito una vera e propria gogna mediatica e sul web, dovuta alla diffusione di alcuni video privati sulla piattaforma internet, e dopo aver cercato giustizia con svariate denunce, si è uccisa nel settembre del 2016.

Purtroppo queste donne sono solamente due delle innumerevoli vittime di questa piaga sociale che costringe nella maggior parte dei casi le donne, se pur in minima percentuale anche gli uomini, ad estenuanti battaglie per ottenere la difesa della propria dignità. La vicenda dell’ex presidente della commissione Giustizia di Montecitorio, Giulia Sarti, le cui immagini private sono state diffuse online, ha portato addirittura il Garante per la privacy a intervenire per richiamare l’attenzione dei mezzi di informazione al rispetto della normativa in materia di protezione dei dati personali e del codice deontologico dei giornalisti.

Ma il c.d. Revenge porn costituisce un reato in Italia, dal 9 agosto del 2019: il delitto è stato introdotto al fine di contrastare la pratica di diffondere foto e video a sfondo sessuale, pur se realizzate con il consenso dell’interessato, ma che vengono diffuse senza nessuna autorizzazione per ledere la privacy, la reputazione e la dignità della vittima.

Cerchiamo allora di fare chiarezza su questa nuova fattispecie delittuosa.

Che cosa significa revenge porn?

La locuzione  anglosassone revenge porn, o anche revenge pornography, associa la parola vendetta al termine pornografia, lasciando subito intendere il significato: il revenge porn è la diffusione sul web di immagini o video privati a sfondo sessuale, a scopi vendicativi e senza il consenso della persona ritratta nelle immagini o video. Può trattarsi, ad esempio, di immagini scattate dalla stessa vittima e inviati al partner (c.d. sexting), oppure di video e fotografie scattate insieme in intimità con l’idea che debbano rimanere nella sfera privata oppure, addirittura, di scatti e riprese avvenuti di nascosto, senza che una delle parti ne sia consapevole; la condivisione di tali immagini o video può avvenire in rete, ma anche attraverso e-mail e cellulare. La cronaca ha, poi, dimostrato come a perpetrare la vendetta sessuale siano soprattutto persone legate alla vittima da un rapporto sentimentale.

Quando il revenge porn è diventato reato?

In Italia, fino all’agosto 2019, non esisteva alcuna legge specifica in materia, e l’unica possibilità riconosciuta alle vittime era quella di fare riferimento alla normativa sui reati di diffamazione, estorsione, violazione della privacy e trattamento scorretto dei dati personali.

Già nel settembre 2016, si è cominciato a parlare della necessità di prendere posizione e punire il fenomeno tramite una norma ad hoc, ossia opposita, nel Codice Penale. Persino una petizione per ottenere una legge contro il revenge porn è stata lanciata su Change.org, raggiungendo fino a 100mila adesioni.

Gli intenti sono stati tradotti effettivamente in legge con il cosiddetto “Codice Rosso“, ovvero con le modifiche ai Codici Penale e di Procedura Penale volte a tutelare le vittime di violenza domestica e di genere; il Codice Rosso è introdotto dalla Legge n. 69/2019, in vigore dal 2019. La legge ha introdotto una nuova fattispecie di reato, all’articolo 612-ter c.p., volta a sanzionare il  delitto di diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti, senza il consenso delle persone rappresentate.

Che cosa prevede l’articolo 612-ter del codice penale?

L’articolo in esame è collocato nella Sezione del Codice Penale dedicata ai delitti contro la libertà morale, a sua volta inserita nel Capo III, che punisce i delitti contro la libertà individuale della persona. Si tratta di una fattispecie di reato plurioffensiva, che colpisce più di un bene giuridico tutelato dalla legge: la norma, difatti, intende tutelare in primis la libertà di autodeterminazione della persona, ma altresì l’onore, il decoro, la reputazione e la privacy, nonché il c.d. onore sessuale, attinente alla vita sessuale ed alla reputazione di quest’ultima.

La fattispecie presenta una disciplina complessa articolata in due differenti ipotesi disciplinate rispettivamente al comma 1 e al comma 2:

Il comma 1 punisce (salvo che il fatto costituisca più grave reato) “chiunque, dopo averli realizzati o sottratti, invia, consegna, cede, pubblica o diffonde immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il consenso delle persone rappresentate” con le pene della reclusione da uno a sei anni e della multa da euro 5.000 a euro 15.000.

Il comma 2  punisce con le medesime pene anche “chi, avendo ricevuto o comunque acquisito le immagini o i video di cui al primo comma, li invia, consegna, cede, pubblica o diffonde senza il consenso delle persone rappresentate“, solo qualora tenga tali comportamenti al fine di recare un nocumento, ossia un danno; si punta dunque a punire anche la condotta di chi condivide le immagini diffuse dall’autore del reato.

La fattispecie è poi aggravata (la pena sarà pertanto più elevata) se il reato di pubblicazione illecita è commesso dal coniuge (anche separato o divorziato) o da persona che è (o è stata) legata da relazione affettiva alla vittima, se i fatti sono commessi attraverso strumenti informatici o telematici oppure se sono commessi in danno di persona in condizione di inferiorità fisica o psichica o in danno di una donna in stato di gravidanza.

La fattispecie di reato, che prevede pene severe, è punibile però, solo a querela, la quale è proponibile unicamente dalla persona offesa dal reato; analogamente al reato di stalking, di cui all’art. 612 bis c.p., il termine per presentare la querela è, tuttavia, più lungo rispetto ai termini ordinari: sei mesi invece di tre. La fattispecie aggravata in quanto commessa in danno di persona in condizione di inferiorità fisica o psichica o in danno di una donna in stato di gravidanza, è invece punibile d’ufficio, tramite denuncia da parte di chiunque venga a conoscenza dei fatti (non è previsto alcun termine per la sua presentazione).

Volendo analizzare più a fondo alcuni aspetti della norma viene alla luce, innanzitutto, l’inciso “Salvo che il fatto costituisca più grave reato”; si tratta di una clausola di riserva che esclude l’applicabilità della norma nel caso in cui gli stessi identici fatti possano anche configurare reati più gravi. Tra i reati più gravi vi è quello di estorsione, che assume il nome di “sex extortion”, ma che essendo reato contro il patrimonio, non può assorbire il reato in esame, con il quale sempre concorre; l’estorsione, inoltre, si basa comunemente sulla sola minaccia senza diffusione effettiva delle immagini e senza violazione, dunque, dell’articolo 612-ter c.p. Del tutto escluso è anche l’assorbimento in questa fattispecie dei reati di violenza sessuale, trattandosi di fatti diversi. La clausola di riserva, invece, operera con i reati di maltrattamenti in famiglia, atti persecutori, o stalking, e istigazione al suicidio aggravata dal suicidio. La clausola, inoltre,  non è replicata al secondo comma e conseguentemente deve intendersi valere solo per il reato del primo comma.

La fattispecie in esame configura un reato comune, ossia un reato che può essere commesso da chiunque.

Inoltre la condotta si dettaglia in varie modalità, alternative fra loro; le prime tre condotte si basano su un contatto diretto tra un soggetto ed altri, mentre le ultime due ipotesi riguardano attività realizzabili da una cerchia indeterminata di persone e destinatari. Circa l’oggetto della condotta l’aggettivoesplicito riferito al contenuto illecito diffuso, conduce ad un interpretazione particolarmente restrittiva del materiale che può costituire oggetto di diffusione illecita, il quale deve essere in ogni caso a contenuto sessuale.

Per quanto attiene all’elemento psicologico del reato, altrimenti detto elemento soggettivo, che deve sussistere ai fini della realizzazione stessa del reato, l’elemento soggettivo richiesto dalla fattispecie di cui al primo comma è il c.d. dolo generico, ossia l’intenzione mirata a diffondere quei determinati video o immagini; la fattispecie del comma 1 si differenzia da quella di cui al comma 2, la quale richiede l’ulteriore intenzione di recare un nocumento, un danno alla vittima (c.d. dolo specifico). Il dolo specifico mancherà in tutti i casi, che saranno i più frequenti, in cui chi riceve e diffonde le immagini non conosce la persona ritratta oppure, anche conoscendola, le invia a sua volta solo perché le ritiene in qualche modo interessanti.

La differenza dalla fattispecie di cui al comma 2 risiede, oltre che nella finalità ulteriore -dolo specifico- che deve muovere la condotta di tale soggetto, nell’individuazione del soggetto attivo del reato: il soggetto agente non contribuisce alla realizzazione dei contenuti, ma si limita alla sua acquisizione ed alla successiva diffusione, in altri termini può essere solo chi ha ricevuto le immagini o i video a contenuto sessualmente esplicito e, quindi, soggetto diverso rispetto a quello di cui al primo comma.

Da ultimo si sottolinea come la norma prenda in considerazione immagini e video “destinati a rimanere privati” diffusi “senza il consenso delle persone rappresentate”. Tali requisiti non si adattano alle immagini scattate in pubblico o comunque all’insaputa della persona ritratta. La condotta deve, poi, esteriorizzarsi in assenza del consenso espresso, libero e non viziato (dato per errore, o estorto con volenza o minaccia) del soggetto ritratto nelle immagini. Per questo motivo  un consenso dato tardivamente potrebbe portare ad una remissione della querela, mentre nei casi di procedibilità d’ufficio potrà determinare il venir meno del reato.

Costituisce reato anche il solo sexting?

Diverso dal revenge porn è, invece, il semplice sexting. Il termine derivato dalla fusione di dei termini sex (sesso) e texting (invio di messaggi elettronici); la pratica, ormai molto diffusa, consiste nell’invio consensuale di messaggi, testi o immagini a sfondo sessuale tramite il cellulare o altri strumenti informatici, unicamente fra mittente e destinatario; manca, quindi, uno degli elementi caratterizzanti il reato di cui all’art. 612-ter c.p., la diffusione pubblica di immagini o video, in quanto ma si tratta di uno scambio tra due soggetti, spesso entrambi consenzienti.

Che cosa fare se si è vittime di revenge porn?

Nel caso in cui si sia vittime di una di queste condotte, punite dall’articolo 612-ter c.p., è importante comunicare immediatamente alla Polizia  quanto subìto, poiché solo un intervento tempestivo può evitare l’ulteriore divulgazione delle foto o del video.


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Claudia Ruffilli

Claudia Ruffilli, nata a Bologna il 21 aprile 1992. Ho conseguito il diploma di maturità classica presso il Liceo Classico Marco Minghetti di Bologna. Nel 2017 ho conseguito la Laurea Magistrale in Giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Bologna. Ho svolto la pratica forense presso uno Studio Legale ed un tirocinio formativo presso il Tribunale per i Minorenni di Bologna. Nel 2019 ho conseguito l'abilitazione all'esercizio della professione forense presso la Corte di Appello a Bologna, dove lavoro.

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