Particolari tipologie del contratto preliminare

Particolari tipologie del contratto preliminare

Il preliminare di preliminare

Il preliminare di preliminare costituisce un primo contratto che obbliga le parti alla stipula di un primo contratto preliminare. L’esistenza di tale dibattutissima figura è una conseguenza della formazione progressiva delle trattative. Occorre chiarire che il preliminare di preliminare si è sviluppato nella prassi delle compravendite immobiliari; infatti solitamente le agenzie immobiliari, una volta trovato l’interessato, gli fanno sottoscrivere una proposta irrevocabile di acquisto che, ove accettata, costituisce il primo preliminare e l’impegno a stipulare un secondo e più completo preliminare. L’interesse a “bloccare” l’affare può derivare da svariati motivi, come ad esempio quello di dar tempo all’acquirente di ottenere il mutuo.

Ciò premesso, prima di analizzare le diverse teorie sviluppatesi sul punto, è utile anticipare che ad una tesi dottrinale avversa si è contrapposta una pronuncia a Sezioni Unite che ha chiarito come le parti possano perseguire, tramite la stipulazione del preliminare di preliminare, un interesse giuridico alla formazione progressiva del contratto. In particolare, l’interesse meritevole di tutela sarebbe proprio quello di bloccare l’affare per acquisire una più approfondita conoscenza della convenienza dell’affare.

Detto ciò, la presenza di un preliminare di preliminare denota una struttura trifasica perfettamente legittima ed espressione della libera autonomia negoziale ma costituendo una modalità atipica occorrerà valutarne la validità. A tal proposito l’indirizzo maggioritario è stato per molto tempo contrario alla sua ammissibilità, considerandolo nullo per mancanza di causa alla luce dell’asserita inutilità di un “obbligo di obbligarsi in futuro”; tesi meritevole di accoglimento qualora i due negozi preliminari avessero una identità contenutistica, perché vi sarebbe un bis in idem causale.

Orientamento che, come anticipato, è stato superato dalle Sezioni Unite del 2015 le quali hanno ritenuto che attraverso l’esame della causa in concreto è possibile intravedere uno spazio nell’ambito del quale può profilarsi una diversità tra il primo ed il secondo contratto. In particolare è possibile configurare un interesse delle parti a bloccare l’affare rinviando la conclusione del preliminare vero e proprio. In sostanza secondo le Sezioni Unite: qualora non fosse consentito il pre-preliminare vi sarebbero delle situazioni nelle quali i contraenti si troverebbero dinnanzi all’alternativa tra: non bloccare l’affare fin quando non vengano compiute le necessarie verifiche, con il rischio di vederlo sfumare; concludere il preliminare e quindi assumere un vincolo più impegnativo di quello che avrebbe voluto, esponendosi al meccanismo della eterointegrazione per tutti quegli aspetti ancora non regolati dal regolamento contrattuale.

Ne deriva che proprio perché è possibile che nessuna delle due alternative prospettate risulti appagante, appare evidente l’utilità pratica del preliminare di preliminare alla luce della causa in concreto che “disvela” l’interesse delle parti ad impegnarsi in maniera più debole rispetto al preliminare ma con l’intento di bloccare l’affare. Dunque, la Cassazione ha ritenuto ammissibile il pre-preliminare a condizione che vi sia una differenza contenutistica, perché è proprio tale diversità che comprova la necessità, e quindi la validità causale, del primo preliminare. Non basterebbe, ad esempio, una mera differenza sul terreno degli strumenti di tutela tra i due preliminari (ad esempio, quando l’unica differenza tra i due contratti sia la previsione, presente solo in uno, dell’esclusione di agire ex art 2932). Pertanto, se la diversità tra i due contratti si individua sulla base del solo contenuto e non su quello dei rimedi, ciò comporta che l’obbligazione scaturente dal preliminare di preliminare è un obbligo di contrattare cioè un obbligo a proseguire la trattativa per integrare il contenuto, e non un obbligo a contrarre.

La Corte ha sostenuto che il preliminare di preliminare non è un contratto, perché non può considerarsi tale la regolamentazione del procedimento di formazione del contratto medesimo; ciò posto le SU hanno ritenuto che in tal caso si rientri negli altri fatti o atti idonei a generare il sorgere di un’obbligazione ex art. 1173 cc. La conclusione non è di portata irrilevante, perché considerare il preliminare di preliminare come un obbligo di continuare la trattativa secondo correttezza comporta che, in caso di inadempimento, il risarcimento del danno debba essere parametrato all’interesse negativo. Ne deriva che non si vedono molte differenze da quanto deriverebbe dalla violazione dell’obbligo di buona fede e correttezza ex art. 1337 c.p. L’unica conseguenza sarà la contrattualizzazione della responsabilità precontrattuale, nel senso che dopo il pre-preliminare la correttezza nel proseguire la trattativa diverrebbe una vera e propria obbligazione, il cui inadempimento comporta responsabilità contrattuale.

Una conclusione che presupporrebbe l’idea che in assenza del preliminare di preliminare, la non osservanza delle regole di correttezza e buona fede abbia natura aquiliana; tesi che tuttavia è dibattuta.

Il preliminare ad effetti anticipati

Il preliminare può prevedere una parziale anticipata esecuzione delle prestazioni finali; anzi, in realtà, rientra nella normale pratica negoziale che il promittente anticipi una parte del prezzo e il promittente alienante anticipi la consegna del bene. In tal caso, però, il preliminare non può prevedere l’anticipazione integrale del rapporto perché in tal caso si porrebbe esso stesso come definitivo e l’ulteriore contratto definitivo sarebbe, in realtà, una ripetizione del contratto.

Ciò posto, Uno dei problemi derivanti dal preliminare anticipato è stato quello relativo alla qualificazione del rapporto intercorrente tra il promissario acquirente ed il bene consegnato in anticipo. Sul punto sono intervenute le Sezioni Unite nel 2008 che, confermando l’orientamento tradizionale, hanno ritenuto che in tal caso il rapporto deve qualificarsi in termini di detenzione qualificata che, esercitata dal promissario acquirente nomine alieno, non costituisce titolo per l’usucapione. La qualificazione in termini di detenzione deriva dall’aver rinvenuto nella struttura del preliminare anticipato un collegamento negoziale tra un contratto di mutuo gratuito, in base al quale il promissario acquirente consegna al venditore una somma di denaro corrispondente al prezzo o a parte di esso, ed un contratto di comodato in base al quale il promissario acquirente viene immesso nella materiale disponibilità del bene. Pertanto, alla base del rapporto materiale tra il promissario acquirente ed il bene c’è il contratto di comodato che presuppone il rinascimento della proprietà in capo al promissario alienante.

La soluzione da ultimo indicata in relazione alla natura giuridica è stato il frutto dell’adesione, da parte delle Sezioni Unite alla tesi della tipicità. In particolare, prima dell’arresto nomofilattico, un primo orientamento optava per la natura atipica di un simile contratto. Infatti, il preliminare è per definizione un contratto ad effetti obbligatori ed in tal modo, invece, si produrrebbero anche effetti reali con evidente fuoriuscita dai suoi schemi tipici. La tesi opposta, accolta dalle SU, ne sostenevano la tipicità alla luce di un collegamento negoziale tra negozi tipici. In particolare, i negozi tipici coinvolti nel rapporto sarebbero tre: un preliminare di vendita “normale”; il comodato sul bene venduto ed un mutuo gratuito.

Non poche le critiche a tali impostazioni. In primo luogo, non è parso convincente l’equiparazione delle SU tra l’ipotesi in cui il promissario acquirente versi parte del prezzo e quella in cui lo versi integralmente. In tale ultima ipotesi pare difficile ritenere che questi non si comporti uti dominus. Parrebbe più corretto ritenere che l’anticipazione integrale del prezzo costituisca una interversione nel possesso, con conseguente possesso utile al fine dell’usucapione.

Anche la qualificazione in termini di detenzione non convince. Oltre a quanto appena rilevato, tale qualificazione sembrerebbe derivare dal titolo invece che dall’elemento psicologico. Inoltre, non sembra corretta nemmeno l’asserita gratuità dell’operazione. Infatti, il collegamento tra il mutuo e il comodato sembrerebbe escludere la gratuità del complessivo rapporto, poiché tale interdipendenza parrebbe evidenziare la sua onerosità.

Il preliminare di vendita di un bene in comunione

Una delle ipotesi maggiormente complicata riguarda il caso di stipulazione di un contratto preliminare di vendita di un bene in comunione, cui però non abbiano partecipato tutti i comproprietari. La questione dibattuta è stata risolta da una pronuncia a SU nel 1993, la quale ha affermato la radicale nullità. Si è infatti affermato che nel caso di vendita del bene in comunione ordinaria, quando il bene sia stato dedotto nella sua interezza, qualora il consenso non sia stato manifestato da tutti i comproprietari si avrà la nullità del contratto per mancanza di accordo. Infatti, quando oggetto della vendita sia un bene in comunione parte del contratto sono tutti i comunisti, perché il bene è individuato come unicum e non come somma di tante quote; ragion per cui tutti i comunisti costituiscono un’unica parte plurisoggettiva e le loro dichiarazioni di volontà si fondono in un’unica volontà negoziale.

 

Il preliminare di vendita di un bene in comunione legale

In caso di comunione legale, il preliminare di alienazione del bene non è nullo ma solamente annullabile. La comunione legale, a differenza di quella ordinaria, è estranea al concetto di quota che esiste solo per stabilire la misura entro la quale i beni della comunione possono essere aggrediti dai creditori e suddivisi dai coniugi al momento della divisione.

Ai sensi dell’art. 180 cc gli atti di ordinaria amministrazione possono essere compiuti disgiuntamente dai coniugi. Quelli di straordinaria amministrazione, invece, congiuntamente. È pacifico in dottrina e giurisprudenza che il preliminare di vendita immobiliare di un bene in comunione legale rientri nell’alveo degli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione, ragione per cui necessita il consenso di entrambi i coniugi. A conferma di ciò, una pronuncia a SU con riferimento ad un preliminare di compravendita concluso da un coniuge senza il consenso dell’altro, che nell’azione ex art, 2932 promossa dal promissario acquirente, per l’adempimento in forma specifica o per i danni da inadempimento contrattuale, il coniuge pretermesso è litisconsorte necessario.

Il preliminare di vendita di cosa altrui

Così come il codice civile consente la vendita di cose altrui, è parimenti ammesso il contratto preliminare con oggetto un bene altrui. Tuttavia, una prima questione che si è posta all’attenzione dell’interprete riguarda l’applicabilità o meno della disciplina a tutela della buona fede del compratore ex art. 1479 c.c.

La norma prevede che: “Il compratore può chiedere la risoluzione del contratto, se, quando l’ha concluso, ignorava che la cosa non era di proprietà del venditore, e se frattanto il venditore non gliene ha fatto acquistare la proprietà.” Il fondamento della previsione va rinvenuto nell’inadempimento del venditore che, a causa del difetto di legittimazione, non può onorare l’impegno traslativo assunto con il negozio di vendita. Ciò Posto, con riferimento al preliminare l’indirizzo maggioritario, accolto anche da una pronuncia a Sezioni Unite del 2006, ritiene che, nonostante sia vero che con il preliminare il promissario alienante si assume un impegno traslativo, è anche vero che tale impegno traslativo, dovendosi adempiere in futuro, è subordinato ad un termine coincidente con il momento in cui dovrà concludere il definitivo. Pertanto, è solo a partire da tale momento che può parlarsi di adempimento. Fino ad allora il promissario alienante è legittimato ad acquistare la proprietà della cosa. Ragion per cui, l’inapplicabilità della norma al preliminare di vendita di cosa altrui deriva, sotto il profilo strutturale, dall’estraneità del preliminare a produrre effetti traslativi, mentre sotto il profilo funzionale il meccanismo che il preliminare innesca consente alle parti, prima di fissare vicende giuridiche definitive, di valutare sopravvenienze.

Una seconda questione riguarda il promissario alienante. In particolare, ci si chiede se costui debba adempiere acquistando il bene e ritrasferendolo al promissario acquirente ovvero se possa adempiere mediante la vendita diretta della cosa dal terzo proprietario in favore del promissario acquirente. Sul punto, la tesi maggioritaria ritiene che l’obbligazione del promissario alienante possa essere adempiuta con entrambe le modalità. L’acquisto del bene da parte del promissario alienante ed il successivo trasferimento in favore del promissario acquirente è solo una delle possibili modalità. In ogni caso il contratto intercorre tra le parti originarie, per cui è sul promissario alienante che ricadono tutte le obbligazioni connesse alla sua qualità.

Il preliminare di donazione

La donazione, ai sensi dell’art. 769 c.c., è quel contratto che si caratterizza per il trasferimento di un diritto da una parte ad un’altra per spirito di liberalità. È necessario, pertanto, che vi sia l’animus donandi e la spontaneità della scelta negoziale. La donazione può avere un contenuto reale traslativo ovvero quello obbligatorio. Tuttavia, si ritiene che la donazione possa anche avere un contenuto liberatorio, come nel caso del donante che rinuncia ad un proprio diritto, liberando il donatario dai relativi pesi.

Premesso tale inquadramento sistematico, è da tempo dibattuta la possibilità di ammettere il contratto preliminare di una donazione. Sul punto, la tesi tradizionale è di segno contrario. Si ritiene che con il preliminare di donazione insorgerebbe un obbligo di stipula che andrebbe in netto contrasto con la necessaria spontaneità della donazione.

Altra parte della dottrina, al contrario, ritiene il preliminare di donazione configurabile, essendo sufficiente che la spontaneità caratterizzi il preliminare, il quale deve concepirsi come una donazione ad effetti obbligatori nei termini nei quali è consentita ai sensi dell’art. 769 c.c.

Sul dibattito ha influito, e non poco, quanto affermato dalle Sezioni Unite in tema di donazione di bene altrui, ritenuta ammissibile in quanto donazione obbligatoria. Ragion per cui, anche il preliminare di donazione potrebbe trovare cittadinanza nel nostro ordinamento. Del resto, ciò apparirebbe possibile anche alla luce della autonomia causale del preliminare, che consentirebbe di ipotizzare che la sola stipula del preliminare possa configurare una donazione obbligatoria. In tal caso l’oggetto della liberalità sarebbe costituito dall’impegno successivo di stipulare il definitivo e la scelta liberale verrebbe solamente frazionta in due fasi. In tal caso, i requisiti richiesti dalle Sezioni Unite dovranno ricorrere con riferimento al primo atto, che è quello che costituisce l’atto negoziale già di per sé impegnativo.

Il preliminare di immobile abusivo

È il caso, di particolare interesse sistematico, del contratto preliminare avente ad oggetto un bene immobile affetto da irregolarità urbanistiche. In tal caso, i dubbi riguardano la sua validità. Sul punto, il dato normativo è costituito dall’art. 40, co. 2 legge 47/1985, ai sensi del quale gli atti tra vivi aventi ad oggetto diritti reali sono nulli e non possono essere rogati se da essi non risultano, per dichiarazione dell’alienante, gli estremi della licenza o della concessione rilasciata in sanatoria…essi possono essere confermati anche da una sola delle parti mediante atto successivo.

La norma presenta degli evidenti profili di complessità poiché: ricollega la nullità dell’atto traslativo non all’abusività ma alla mancata indicazione nel rogito degli estremi della licenza; consente una sanatoria successiva dell’atto nullo a condizione che la mancanza delle dichiarazioni non sia dipesa dall’insussistenza della licenza; trova il proprio ambito di applicazione in relazione agli atti tra vivi aventi per oggetto i diritti reali. Ciò posto, il problema deriva dal fatto che il contratto preliminare, che per definizione non produce effetti traslativi, non sembra rientrare nel raggio d’azione della norma invalidante.

Per tali ragioni, la giurisprudenza tradizionale riteneva che, in tal caso, il preliminare fosse valido e la questione rilevasse sotto il profilo dell’inadempimento.

In seguito, con una pronuncia del 2013, la Cassazione ha invece accolto la tesi della nullità. Si tratta, a parere degli ermellini, di una conclusione logica e coerente con la lettera dell’art. 40 indicato. In particolare, se lo scopo della norma è quello di rendere incommerciabili gli immobili non in regola sotto il profilo urbanistico, appare in contrasto con tale finalità la possibilità di consentire il valido trasferimento di immobili non regolari lasciando alle parti l’eventuale iniziativa per inadempimento contrattuale. Inoltre, si è sostenuto che l’art. 40 è espressione del principio generale in virtù del quale ogni patto per il trasferimento di immobili abusivi è nullo e ciò in coerenza con la ratio della norma di combattere l’abusivismo edilizio.

Trattasi, tuttavia, di una soluzione fortemente criticata in quanto estende la nullità prevista per il contratto di vendita per l’immobile abusivo anche al contratto preliminare, ignorando il consolidato principio di eccezionalità delle ipotesi tipiche di nullità contrattuale.

Criticità che hanno colto nel segno e sono state sviluppate da una pronuncia della cassazione del 2016, la quale ha nuovamente sposato la tesi secondo cui la nullità prevista dall’art. 40 legge 47/1985 sia riferita solamente ai contratti ad efficacia reale, ragion per cui l’indicazione degli estremi della concessione edilizia non rilevano ai fini della validità del preliminare.

Il patto di occultamento del corrispettivo convenuto. Il patto di risoluzione totale e l’effetto di propagazione della nullità.

Talvolta le parti, al fine di aggirare il fisco, dichiarano un valore dell’immobile inferiore rispetto a quello reale. Ciò è possibile farlo inserendo nel contratto preliminare una clausola con oggetto l’impegno reciproco delle parti di indicare nel contratto definitivo una somma inferiore a quella reale. Trattasi di clausola nulla perché in contrasto con il divieto di occultamento del corrispettivo convenuto ai sensi degli artt. 62 e 72 del DPR 131/1986.

Il problema che si è posto in giurisprudenza è stato di capire se tale nullità sia da considerarsi essenziale ai sensi dell’art. 1419 comma 1. La cassazione nel 2012 ha preso in esame il patto di risoluzione totale, ossia la clausola contrattuale che preveda espressamente il diritto della controparte ad ottenere lo scioglimento del contratto nel caso in cui una delle due parti venga meno al reciproco impegno di indicare nel definitivo una somma inferiore a quella concordata nel preliminare. In tal caso la Suprema Corte ha ritenuto che la nullità di questa clausola non possa comunicarsi a tutto il contratto, perché la clausola risolutiva, poiché ancillare e rafforzativa del patto di occultamento, è essa stessa affetta da nullità per contrasto con gli articoli 62 e 72 sopra indicati. In sostanza non è possibile che l’ordinamento consenta di considerare inadempimento, con conseguente risoluzione del contratto, il comportamento rispettoso della legge tributaria sol perché quel comportamento si discosta da un patto in frode al fisco.


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