Pensione d’invalidità, restituzione di somme indebitamente percepite

Pensione d’invalidità, restituzione di somme indebitamente percepite

Una donna veniva riconosciuta invalida all’80%, con riduzione permanente della capacità lavorativa nel 1984, in quanto affetta da emiparesi e paraplegia spastica agli arti inferiori ed epilessia. Per tali motivi, percepisce la pensione d’invalidità civile/assegno sociale, per 13 mensilità. Con provvedimento successivo l’INPS rideterminava l’importo della pensione prevedendo al contempo il recupero delle somme indebitamente percepite.

La donna, tramite il proprio difensore, impugnava in via amministrativa il provvedimento suindicato, in quanto lo riteneva viziato per diversi motivi.

In primis, riteneva prescritto il diritto dell’INPS a trattenere una parte della sua pensione d’invalidità/assegno sociale. In base all’art. 13 c. 2 L. 412 del 1991, infatti, l’INPS deve procedere annualmente alla verifica delle situazioni reddituali dei pensionati, incidenti sulla misura delle prestazioni pensionistiche, e quindi al recupero di somme indebitamente erogate. Nel caso di specie, invece, la somma versata in eccedenza alla signora risaliva all’anno 2015, mentre l’INPS ha emanato e notificato il provvedimento nell’anno 2018, affermando di dover recuperare da giugno dello stesso anno le somme eccedenti. L’art. 13 L. 412/1991, sopra citato, sottolineava il difensore, è una norma speciale rispetto a quella dell’art. 2033 c.c., relativa all’indebito oggettivo, che prevede il termine di prescrizione decennale; di conseguenza deroga rispetto a quella generale. Da ciò si evinceva l’impossibilità per l’INPS di emettere e notificare tale provvedimento.

Il secondo motivo di doglianza era la mancanza di motivazione del provvedimento (art. 3 L. 241/1990). In esso, infatti, non si rinvenivano dati contabili di riferimento, che rendono il pensionato in grado di valutare la validità della richiesta dell’INPS. Se il provvedimento è troppo generico, non consente di individuare gli estremi dell’obbligazione restitutoria. Da ciò si evinceva l’illegittimità della pretesa dell’istituto (Cass. Civ. sez. Lavoro sentenza 198 del 2011). L’unica succinta motivazione fornita in questo caso era la dichiarazione di ricovero relativa all’anno 2015, formula alquanto generica, tale da non far comprendere tutti i dati su cui l’INPS si è basato per l’emanazione dell’atto. In tal caso, non è stata provata la causa dell’indebito da parte dell’istituto previdenziale, né i presupposti e le ragioni giuridiche dello stesso, onere che grava all’amministrazione, tanto più se si tratta di un provvedimento sfavorevole per il destinatario (Cass. Civ. sez. Lavoro, sentenza n. 482 del 11.01.2017).

L’ultimo motivo di ricorso era l’inesattezza della documentazione allegata.

La dichiarazione di ricovero sopra citata, infatti, conteneva delle inesattezze, che si ricavavano dalla dichiarazione dei requisiti per l’assegno sociale. In tale documento, infatti, risulta che la sig.ra nell’anno 2015 era ricoverata, o meglio ospitata, presso una struttura per disabili, con retta totalmente a carico del Servizio Sanitario Nazionale.

In realtà, tale dicitura era errata. La signora, per la compilazione del modello RED, tramite il CAF, aveva dichiarato di pagare con le proprie risorse una parte della retta di residenzialità in struttura per disabili (RSA) negli anni 2014-2015-2016; la restante somma era a carico dell’ULSS di Verona, ultimo domicilio di soccorso della signora. L’impiegato del CAF, però, potrebbe aver avuto una mera svista nella compilazione della dichiarazione di ricovero, tanto da inserire il totale pagamento da parte del servizio sanitario, dichiarazione che ha portato l’INPS ad emanare il provvedimento di rideterminazione della pensione. Il CAF, dal canto suo, avrebbe potuto effettuare una dichiarazione integrativa al modello, e spedirla tempestivamente all’INPS, in modo da ripristinare la trasparenza delle dichiarazioni, e dei rapporti tra i vari soggetti coinvolti. A settembre 2017, la sig.ra è stata trasferita nella casa di riposo per anziani; di conseguenza ad integrare la retta di residenzialità è il Comune di Verona.

Nel modello RED 2018, poi, risultava che la persona era ricoverata negli anni 2016 e 2017 presso la struttura sopra menzionata con una determinata parte di retta a carico proprio. Tale ultima dichiarazione contenuta nel modello RED 2018 rettificava la precedente dichiarazione per il 2016, in quanto la signora, percependo l’assegno sociale per invalidità, ha contribuito ogni anno al pagamento della retta di residenzialità nella struttura per disabili o per anziani, accantonando una parte della sua pensione per spese personali.

Come sottolineato dalla Cassazione, nella sentenza del 2017 sopra citata, l’ente erogatore può in ogni momento rettificare l’importo della pensione, per errori commessi nell’attribuzione o erogazione della stessa, ma non può recuperare le somme versate, salvo che l’indebita prestazione sia dovuta a dolo dell’interessato. Nel caso di specie, era impossibile ravvisare dolo da parte della persona interessata, in quanto ella, ricevendo una pensione d’invalidità civile/assegno sociale, fin dall’età di 37 anni circa, essendo stata dichiarata inabile al lavoro e ricoverata presso strutture per disabili dall’età di 28 anni circa, non avrebbe mai potuto porre in essere artifizi o raggiri nei confronti di un datore di lavoro e di conseguenza dell’INPS.

L’istanza della signora è stata accolta, e quindi il credito che le scaturiva è stato posto in pagamento dall’INPS ad agosto 2018.


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