Pornografia minorile. Reato di danno o di pericolo?

Pornografia minorile. Reato di danno o di pericolo?

Con l’ordinanza 10167 del 2018, la terza sezione penale della Corte di Cassazione ha rimesso al suo più autorevole consesso la questione relativa alla qualificazione dell’articolo 600 ter, rubricato “pornografia minorile”, e al relativo confine tra le condotte previste dallo stesso articolo e quelle previste dal successivo 600 quater, rubricato “detenzione di materiale pornografico”.

L’occasione è un procedimento a carico di un soggetto, imputato, tra l’altro, di aver realizzato e prodotto materiale pornografico con protagonisti persone non ancora maggiorenni.

Nei motivi di ricorso, tuttavia, i difensori del suddetto rilevavano quanto tale condotta non potesse integrare il reato di cui all’articolo 600 ter, considerato che, nel caso di specie, si sarebbe trattato di materiale destinato a non circolare all’esterno, ma a restare nella disponibilità privata dell’imputato.

Veniva pertanto chiesto che la condotta in questione fosse giuridicamente classificata in quella prevista e punita dal reato di detenzione di cui all’articolo 600 quater.

Ciò premesso, è di primario interesse il quadro giuridico realizzato dalla Sezione remittente prima di rassegnare le proprie conclusioni, stante l’opinione non concorde rispetto al principio di diritto raggiunto dalle precedenti Sezioni Unite pronunciatesi in materia; situazione che, in virtù della recente novella con la quale è stato introdotto il comma 1 bis dell’articolo 618 c.p.p., impone il rinvio al medesimo giudice di legittimità nella sua più autorevole composizione.

In primis, è richiamata la legge 269 del 1998 con la quale sono stati inseriti i due articoli in discussione, entrambi modificati, prima, dalla legge 38 del 2006 e, poi, dalla legge 172 del 2012, in ratifica ed esecuzione della Convenzione di Lanzarote per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale degli stessi.

L’elemento sottoposto all’esame della Cassazione a Sezioni Unite, investita della questione per la prima volta nel 2000, era la formula “sfruttare i minori”, utilizzata nella stesura originaria della norma.

Secondo una prima interpretazione, tale espressione sarebbe stata indicativa di una necessaria finalità di lucro collegata alle condotte di cui agli articolo 600 ter e, di conseguenza, di un seppur minimo legame con una rete di persone per la diffusione del materiale realizzato.

Secondo un’altra interpretazione, invece, le condotte in esame sarebbero condannabili a prescindere da qualsivoglia scopo economico, trattandosi di attività iniziali di un percorso perverso da reprimere penalmente, in quanto, in particolare, si sosteneva che il bene giuridico da tutelare fosse la dignità della persona umana.

In proposito, si riteneva che la produzione di materiale pornografico “riducendo a ‘mezzo’ e non a ‘fine’, aveva una potenzialità offensiva e diffusiva, oggettiva ed autonoma, per la lotta contro la pedofilia, a prescindere da una connessa utilità economica dell’autore” e che si trattava di “condotta pericolosa in sé” in quanto “suscettibile di utilizzazione sociale successiva, anche al di là della previsione e volontà di chi lo avesse prodotto”.

Le Sezioni Unite del 2000, condividendo questa seconda impostazione, hanno riconosciuto la natura di reato di “pericolo concreto” della fattispecie criminosa in esame, da riscontrare sulla base di una serie di indici sintomatici presenti nel caso specifico, tracciando così la strada per l’interpretazione giurisprudenziale vigente sino ad oggi.

Hanno infatti così statuito: “Poiché il delitto di pornografia minorile di cui al primo comma dell’articolo 600 ter c.p. – mediante il quale l’ordinamento appresta una tutela penale anticipata della libertà sessuale del minore, reprimendo quei comportamenti prodromici che, anche se non necessariamente a fine di lucro, ne mettono a repentaglio il libero sviluppo personale con la mercificazione del suo corpo e immissione nel circuito perverso della pedofilia – ha natura di reato di pericolo concreto, la condotta di chi impieghi uno o più minori per produrre spettacoli o materiali pornografici è punibile, salvo l’ipotizzabilità di altri reati, quando abbia una consistenza tale da implicare concreto pericolo di diffusione del materiale prodotto”.

Tale esegesi, tuttavia, ha da subito sollevato alcune perplessità, evidenziate da un determinato filone dottrinario e da alcune isolate pronunce di legittimità.

In particolare, si è criticato il fatto che l’impostazione delle Sezioni Unite del 2000 avrebbe spostato il baricentro del reato sull’azione posta in essere dal reo piuttosto che sull’evento lesivo, consistente nel danno arrecato alla dignità del minore, contraddicendo, di fatto, gli intenti che avevano ispirato le stesse Sezioni Unite.

In sintesi, non si comprendeva per quale motivo bisognasse individuare degli elementi sintomatici del pericolo concreto, poiché in tale modo si perdeva di vista il reale obiettivo della norma e si rischiava di vanificare lo stesso obiettivo tutela del minore, la cui integrità era già stata offesa dalla attività di produzione del materiale.

Veniva pertanto avanzata l’ipotesi che la fattispecie di cui all’articolo 600 ter non dovesse essere intesa quale reato di pericolo quanto, invece, di reato di danno.

Con l’ordinanza in commento la Sezione remittente ritiene di condividere questa impostazione e di rimettere in discussione la necessità del pericolo di diffusione, in considerazione dei plurimi interventi normativi, sia nazionali che sovranazionali, dai quali, sostiene la Corte, è centrale la tutela del minore e la repressione di condotte così gravi quali quelle indicate dall’articolo 600 ter, nelle quali il danno è da considerarsi in re ipsa.

L’errore di fondo delle Sezioni Unite del 2000, in particolare, sarebbe quello di ritenere che le condotte previste dall’articolo 600 ter avrebbero quale presupposto l’uso esterno del materiale prodotto, quando, invece, “anche la produzione ad uso personale è reato ed è considerata degradante e gravemente offensiva della dignità del minore in funzione del suo sviluppo sano ed armonioso”.

Residuerebbe che nell’articolo 600 quater rientrerebbe il caso della detenzione di materiale pedopornografico prodotto da altri, e non autonomamente, in quando, per le ragioni evidenziate, in tale seconda ipotesi sarebbe configurabile il più grave reato di produzione previsto dall’articolo 600 ter.

La ragionevolezza di tale nuova impostazione è ora al vaglio delle Sezioni Unite.


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Gianlorenzo Franceschini

Gianlorenzo Franceschini nasce nel 1990 e si laurea in Giurisprudenza nel 2015, con il voto di 110/110, scrivendo una tesi in Economia dell'impresa e dell'innovazione dal titolo "Barriere all’Innovazione. Il loro impatto sulla performance dell’impresa e le strategie di intervento". Perfeziona, in seguito, anche la pratica forense in uno studio legale, occupandosi prevalentemente di diritto civile e di diritto di famiglia, ed il tirocinio formativo di cui all'articolo 73 D.L. 69/13 presso la Procura della Repubblica di Pesaro. Nell'ottobre del 2018 consegue l'abilitazione all'esercizio della professione forense.

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