Prescrizione: onere di allegazione della banca nella ripetizione di indebito S.U. 15895/2019

Prescrizione: onere di allegazione della banca nella ripetizione di indebito S.U. 15895/2019

La pronuncia delle Sezioni Unite in esame ha affrontato due temi di rilievo nei procedimenti aventi ad oggetto la ripetizione di indebito di somme a seguito della declaratoria di invalidità dei contratti di apertura di credito in conto corrente: quello dell’onere di allegazione della banca ai fini della prescrizione e quello del momento iniziale della decorrenza degli interessi della domanda attorea.

La prima questione giuridica, in particolare, attiene alla delimitazione dell’onere di allegazione gravante sull’istituto di credito che voglia opporre l’eccezione di prescrizione al correntista nel giudizio di ripetizione di somme indebitamente pagate nel corso del rapporto di conto corrente assistito da una apertura di credito[1].

In linea di principio il diritto alla ripetizione di un pagamento sorge quando viene effettuato un pagamento in esecuzione di una data prestazione da parte di un soggetto (il solvens) con conseguente spostamento patrimoniale in favore di un altro soggetto (l’accipiens), pertanto, presupposto per la ripetizione di un indebito è l’esistenza di un pagamento.

Sul punto, la problematica relativa all’onere probatorio dei termini prescrizionali sorge a seguito della distinzione operata dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 24418/2010 tra pagamenti effettuati sul conto corrente con “funzione solutoria” ovvero con funzione “ripristinatoria della provvista[2].

Dalla diversa qualificazione, infatti, discende un diverso regime degli effetti.

In particolare, nei contratti di apertura di credito i versamenti effettuati dal correntista potranno esser considerati ‘pagamenti’, e come tali oggetto di possibile ripetizione ove indebiti, quando abbiano avuto lo scopo e l’effetto di realizzare uno spostamento patrimoniale in favore della banca[3].

Per tali pagamenti il dies a quo della prescrizione inizia a decorrere dalla data di annotazione in conto corrente di ogni singola posta di interessi illegittimamente addebitati.

Tale distinzione ha indotto gli interpreti ad interrogarsi sull’onere di allegazione che incombe sul correntista (attore) e istituto di credito (convenuto).

In relazione al primo è stato affermato il principio per il quale “non compete al correntista l’allegazione della mancata effettuazione di versamenti c.d. solutori, trattandosi di un fatto negativo estraneo alla fattispecie costitutiva del diritto azionato. Spetterà a quest’ultimo semplicemente l’allegazione dei versamenti indebiti con la richiesta di restituzione di una determinata somma, senza dover specificare i versamenti effettuati e specificarne la natura” (Cass. n. 28819 del 2017).

Maggiori problemi interpretativi si sono, invero, registrati sulla modalità di formulazione dell’eccezione di prescrizione da parte della banca convenuta in ripetizione[4]. In particolare si è posta la questione se incomba sulla banca uno specifico onere probatorio (con obbligo di indicazione specifica del termine iniziale del decorso della prescrizione per le singole operazioni avente carattere solutorio) o se possa limitarsi ad opporre l’inerzia del correntista, lasciando che sia il giudice a verificare i presupposti dell’eccezione.

Alla questione sono state date opposte soluzioni delle quali si riportano a seguire i tratti predominanti.

Un primo orientamento interpretativo, partendo dal presupposto che la ‘natura ripristinatoria delle rimesse’ debba presumersi, impone alla banca uno specifico onere di allegazione finalizzato ad individuare in modo analitico quali siano i versamenti aventi funzione solutoria, rispetto ai quali è intervenuta la prescrizione. (Cass. n. 18479 del 2018).

Un secondo orientamento sostiene, invece, che il carattere solutorio o ripristinatorio delle singole rimesse non incide sul contenuto dell’eccezione di prescrizione che rimane lo stesso indipendentemente dalla natura dei singoli versamenti. La distinzione tra versamenti con funzione solutoria o ripristinatoria rileva solo ai fini della selezione delle rimesse rilevanti per la determinazione del quantum della ripetizione dell’indebito (Cass. n. 4372 del 2018).

A dirimere il contrasto sono intervenute le Sezioni Unite con la sentenza in commento.

Il ragionamento seguito dal Collegio muove dalla nozione di ‘allegazione’.

L’onere di allegazione del convenuto va distinto a seconda che si sia in presenza di ‘eccezioni in senso stretto’ o ‘eccezioni in senso lato’.

Nel primo caso è la parte che introduce i fatti estintivi, modificativi o impeditivi, mentre, nel secondo sussiste il potere-dovere di rilievo da parte dell’Ufficio[5].

Su tale precisazione viene chiarito che l’onere di allegazione è concettualmente distinto dall’onere della prova. L’allegazione ha il ruolo di delimitare il thema decidendum, mentre il secondo è orientato alla verifica della fondatezza della domanda o dell’eccezione.

Ne consegue che la riserva alla parte del potere di sollevare l’eccezione implica un mero onere di allegazione dell’elemento costitutivo (la quiescenza) e di manifestare la volontà di profittare del conseguente effetto (la prescrizione).

In base ai principi espressi il correntista potrà limitarsi ad indicare l’esistenza di versamenti indebiti e chiederne la restituzione, mentre la Banca potrà limitarsi ad allegare l’inerzia dell’attore in ripetizione, e dichiarare di volerne profittare.

In tale sistema l’indicazione delle rimesse solutorie da parte della Banca si sposta dal piano dell’allegazione a quello della prova dovendo l’Istituto dimostrare la natura dei versamenti sul conto corrente per consentire al giudice di decidere sulla fondatezza dell’eccezione.

Sulla scorta delle superiori argomentazioni le Sezioni Unite hanno espresso il seguente principio: “l’onere di allegazione gravante sull’istituto di credito che, convenuto in giudizio, voglia opporre l’eccezione di prescrizione al correntista che abbia esperito l’azione di ripetizione di somme indebitamente pagate nel corso del rapporto di conto corrente assistito da un apertura di credito, è soddisfatto con l’affermazione dell’inerzia del titolare del diritto, e la dichiarazione di volerne profittare, senza che sia anche necessaria l’indicazione di specifiche rimesse solutorie“.

La pronuncia in commento si sofferma su un ulteriore aspetto di rilievo: il dies a quo della maturazione degli interessi.

Secondo la giurisprudenza maggioritaria, nella ripetizione dell’indebito oggettivo ex art. 2033 c.c. il debito dell’accipiens in buona fede produce interessi solo a seguito della proposizione della domanda giudiziale, non essendo sufficiente un qualsiasi atto di costituzione in mora.

Tale orientamento applica al sistema delle obbligazioni regole proprie della materia possessoria (ex art. 1148 c.c. – dei diritti e degli obblighi del possessore nella restituzione della cosa), in base alle quali l’obbligo di restituzione dei frutti matura dalla presentazione della domanda giudiziale[6]. Nel codice civile del 1865, infatti, la restituzione dell’indebito veniva inserita nella sezione dei quasi contratti. In tale complesso normativo l’accipiens veniva considerato non già come debitore per la restituzione, ma come possessore della somma altrui, con conseguente obbligo di restituzione i frutti pervenutigli “dopo la domanda giudiziale” (art. 703 c.c. del 1865, corrispondente all’attuale art. 1148 c.c.).

Le Sezioni Unite in commento hanno disatteso l’orientamento maggioritario sulla scorta delle seguenti argomentazioni.

Una prima critica argomentativa muove da ragioni di carattere storico-sistematico. La suesposta assimilazione della figura dell’accipiens con quella del ‘possessore’ non appare coerente con l’attuale collocazione codicistica, che vede l’istituto della ripetizione dell’indebito nel libro delle obbligazioni e non quello dedicato alla tutela possessoria. Nel sistema delle obbligazioni il primo atto procedimentale non è quello della presentazione della domanda giudiziale, ma quello della formale costituzione in mora ai sensi dell’art. 1219 c.c.

In secondo luogo, la sentenza in commento valorizza una argomentazione di carattere letterale. Partendo dal principio ‘ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit’ viene dedotto che il legislatore all’art. 2033 c.c. non abbia volutamente correlato al termine ‘domanda’ quello ‘giudiziale’, come per esempio espressamente fatto in tema di prescrizione nell’art. 2943, allo scopo di promuovere un’interpretazione ampia del concetto di ‘domanda’ tale da ricomprendere anche atti di carattere stragiudiziale (come la costituzione in mora).

Da tali premesse logiche viene affermato il seguente principio di diritto: “Ai fini del decorso degli interessi in ipotesi di ripetizione d’indebito oggettivo, il termine “domanda”, di cui all’art. 2033 c.c., non va inteso come riferito esclusivamente alla domanda giudiziale ma comprende, anche, gli atti stragiudiziali aventi valore di costituzione in mora, ai sensi dell’art. 1219 c.c.”.

La pronuncia in commento risolve questioni di particolare rilievo nell’ambito delle controversie in materia bancaria. Attendendo le ricadute sui prossimi giudizi di merito, possiamo immaginare come, se da un lato, è stato alleggerito l’onere di allegazione nei confronti dell’istituto di credito, dall’altro, non mancheranno ricadute importanti sul piano probatorio ove la banca sarà chiamata ad uno stringente onere probatorio sulla natura dei versamenti effettuati dal correntista.

 

 


[1] L’apertura di credito è quel contratto con cui una banca si obbliga a tenere a disposizione del cliente una somma di denaro per un dato periodo di tempo o a tempo indeterminato (art. 1842 – 1843 c.c.). Il costo dell’operazione negoziale è dato dagli interessi sulle somme utilizzate dal correntista e dalla commissione che ricompensa la banca per la messa a disposizione del denaro.
[2] Tale distinzione è stata operata al fine di individuare, tra i versamenti fatti dal correntista sul conto corrente, quali avessero natura di ‘pagamenti in senso proprio’ e quali fossero da considerare semplici ‘atti di ripristino di provvista’ escludendo questi ultimi dal petitum dell’azione di indebito.
[3] Questo accade quando i versamenti da parte del correntista siano stati eseguiti su un conto in passivo (o “scoperto”) o quando siano destinati a coprire un passivo eccedente i limiti dell’accreditamento. Nelle diverse ipotesi in cui il passivo non ha superato il limite dell’affidamento concesso, i versamenti in conto fungono unicamente da atti ripristinatori della provvista della quale il correntista può ancora continuare a godere, rispetto ai quali la prescrizione decennale decorre dalla data di estinzione del saldo di chiusura del conto in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati.
[4] Con la sentenza delle Sezioni Unite n. 24418 del 2010 ha affermato il principio per cui la prescrizione del diritto alla restituzione ha decorrenza diversa a seconda del tipo di versamento effettuato (solutorio o ripristinatorio). Sulla scorta di tale premessa ci si è chiesti se nel formulare l’eccezione di prescrizione la banca debba necessariamente indicare il termine iniziale del decorso della prescrizione, e cioè l’esistenza di singoli versamenti solutori, a partire dai quali l’inerzia del titolare del diritto può venire in rilievo, o se possa limitarsi ad opporre tale inerzia, spettando poi al giudice verificarne effettività e durata, in base alla norma in concreto applicabile.
[5] Tale distinzione è stata posta in evidenza da queste Sezioni Unite, con la sentenza n. 1099 del 1998 (successivamente seguita dalla giurisprudenza di legittimità), che, nell’ambito della contestazione del convenuto, ha, appunto, differenziato il potere di allegazione da quello di rilevazione. Potere di allegazione, compete esclusivamente alla parte e va esercitato nei tempi e nei modi previsti dal rito in concreto applicabile (soggiacendo, pertanto, alle relative preclusioni e decadenze). Potere di rilevazione, mentre il secondo compete alla parte (e soggiace perciò alle preclusioni previste per le attività di parte) solo nei casi in cui la manifestazione della volontà della parte sia strutturalmente prevista quale elemento integrativo della fattispecie difensiva (come nel caso di eccezioni corrispondenti alla titolarità di un’azione costitutiva), ovvero quando singole disposizioni espressamente prevedano come indispensabile l’iniziativa di parte, dovendosi, in ogni altro caso ritenere la rilevabilità d’ufficio dei fatti modificativi, impeditivi o estintivi risultanti dal materiale probatorio legittimamente acquisito al processo e provati alla stregua della specifica disciplina processuale in concreto applicabile.
[6] Ex Multis Cass. 3912 del 2018; n. 10161 del 2016; n. 9934 del 2016; n. 4436 del 2014; n. 17558 del 2006; n. 4745 del 2005; n. 1581 del 2004; n. 11969 del 1992.

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Avvocato e Dottore di Ricerca. In ambito accademico ha svolto attività di ricerca scientifica in storia del diritto penale medievale e moderno. In ambito forense si è occupato di reati bancari, societari, amministrativi, ambientali e di contenzioso bancario per conto di società fiduciarie di principali gruppi bancari italiani ed europei.

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