Prime applicazioni dell’art. 590-sexies c.p.: la non punibilità del medico per imperizia

Prime applicazioni dell’art. 590-sexies c.p.: la non punibilità del medico per imperizia

L’approvazione da parte del Parlamento italiano del D.D.L. il 28 febbraio 2017 Gelli sulla responsabilità medica ha avuto lo scopo di risolvere i problemi applicativi ed interpretativi fin’ora incontrati dalla legge Balduzzi (l.189/2012), che ha comportato da allora, differenti interventi ermeneutici degli interpreti per colmare le lacune della succitata legge sulla responsabilità degli esercenti la professione medica.

La riforma della responsabilità professionale del medico e del personale sanitario delle strutture pubbliche e private con novità rilevanti sia sotto l’aspetto della responsabilità civile che di quella penale, ha avuto lo scopo precipuo anche di aumentare le garanzie per gli operatori sanitari con una riforma della disciplina che non si può negare ha, secondo molti in dottrina, sferrato un duro colpo contro la c.d. medicina difensiva, soprattutto ai fini della quantificazione del risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali in sede civile.

La legge Gelli dell’8 marzo 2017 n. 24, recependo l’interpretazione di una pregiata giurisprudenza sul tema, ha introdotto in materia penale sebbene nei soli casi di omicidio colposo e lesioni colpose, una causa di non punibilità del medico per i soli casi di colpa c.d. lieve, per imperizia, introducendo con l’art. 6 della legge, l’art. 590 sexies c.p. che con il II comma, ha abrogato in pratica l’art. 3 della legge Balduzzi.

La norma dice espressamente che: <<se i fatti di cui agli articoli 589 e 590 sono commessi nell’ esercizio della professione sanitaria, si applicano le pene ivi previste salvo quanto disposto dal secondo comma>>. E al II comma: <<qualora l’evento si sia verificato a causa di imperizia, la punibilità è esclusa quando sono rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico- assistenziali, sempre che le raccomandazioni previste dalle predette linee guida risultino adeguate alle specificità del caso concreto>>.

Sul punto la IV Sez. pen. della Cassazione con sentenza n. 50078/2017 si è trovata a pochi mesi dall’approvazione del DDL Gelli, a fare il punto sull’applicazione della nuova norma nei casi di colpa medica per imperizia.

Il ricorso dinnanzi al Giudice di legittimità presentato dal difensore dell’imputato a seguito di una doppia conforme sia del Tribunale che della Corte di Appello di Bologna, i quali avevano ritenuto lo stesso, responsabile dei fatti a lui ascritti, condannandolo per il reato di lesioni colpose gravi in danno del paziente, riconoscendo, altresì, il risarcimento del danno alla parte civile costituita da liquidarsi in sede di giudizio civile, con il riconoscimento di una provvisionale.

L’imputato è stato ritenuto responsabile escludendo l’applicabilità della legge c.d. Balduzzi, avendo riconosciuto l’intervento routinario e non particolarmente complesso per poter escludere la colpa.

Il medico aveva cagionato al paziente nell’esecuzione di un intervento chirurgico (di ptosi), ossia lifting, al sopracciglio un’evidente riduzione della sensibilità della zona frontale, anche distanza di 5 anni dall’intervento.

Le Corti territoriali riconoscevano così la grave colpa ed entrambe condannavano il medico poiché durante l’esecuzione dell’intervento per un errore di imperizia durante lo stesso, e non nella scelta dell’intervento in re ipsa, avrebbe cagionato la lesione del nervo più vicino alla zona interessata dall’intervento chirurgico della vittima che riportava dei danni permanenti addirittura a distanza di tempo dall’operazione medesima.

La giurisprudenza sul punto, suole affermare che il medico che esegue un intervento chirurgico che sia routinario o meno deve operare in maniera conforme alle cc.dd. linee guida approvate dalla Comunità scientifica, nonché alle buone prassi accreditate, secondo autorevole dottrina, ciò detto è necessario affinché il nesso causale tra la condotta del medico e l’evento lesivo si realizzi, e trovi giustificazione che il possibile errore del medico sia evidentemente dovuto ad un fattore estraneo ed imprevedibile emergente nel caso concreto, fuori dalle raccomandazioni delle linee guide, dando quindi, per scontato che chi opera, lo fa sempre con prudenza e diligenza, che non devono mai mancare in chi esercita la professione medica, ed attenendosi scrupolosamente a ciò che dicono le linee guida (Cass. 9923/2015).

Alla luce dell’interpretazione del nuovo istituto che ha attuato quello che negli anni la giurisprudenza aveva consolidato in tema di responsabilità penale del medico per meglio operare le giuste distinzioni fra i casi di dolo o colpa (grave o lieve) con i casi solo di colpa lieve non punibile per i casi di imperizia ex art.3 co.I legge 189/2012, la IV sezione penale della Corte di Cassazione si è trovata ad affermare un’importante principio di diritto: <<Il secondo comma dell’art. 590-sexies c. p., introdotto dalla legge 8 marzo 2017, n. 24 (c.d. legge Gelli-Bianco), prevede una causa di non punibilità dell’esercente la professione sanitaria operante, ricorrendo le condizioni previste dalla disposizione normativa (rispetto delle linee guida o, in mancanza, delle buone pratiche clinico-assistenziali, adeguate alla specificità del caso), nel solo caso di imperizia, indipendentemente dal grado della colpa, essendo compatibile il rispetto delle linee guide e delle buone pratiche con la condotta imperita nell’applicazione delle stesse>>.

Il Supremo consesso ha riconosciuto alla luce della novella legislativa, che i giudici di merito avrebbero riconosciuto la grave imperizia del professionista sanitario, ma che essi non hanno svolto sufficiente valutazione della condotta tenuta da quest’ultimo rispetto alle linee guida e alle buone prassi clinico-assistenziali, cui deve conformarsi ogni medico con riguardo, nello specifico, alle contingenze presentabili del caso concreto (come le condizioni fisiche del paziente prima di sottoporsi all’intervento chirurgico, definito routinario, quindi durante lo stesso).

Ciò, avrebbe comportato da parte della Cassazione l’annullamento con rinvio al fine di far accertare la sussistenza di una causa di non punibilità, accertamento che, invece, stante l’intervenuta prescrizione del reato, maturata dopo l’impugnazione della sentenza dinnanzi la Corte d’Appello, è stato inibito (n.d.r. infatti, l’intervento risaliva al 2009 e la prescrizione è quindi scattata nel corso del 2016 ossia durante la fase di gravame davanti la Corte di Appello).

Per questo fatto, i Supremi Giudici non hanno potuto fare altro che rigettare, per gli effetti civili, il ricorso, stante la coerenza logica delle argomentazioni della corte territoriale alla luce della giurisprudenza più rilevante in materia di colpa medica, che pur riconoscendo, infatti, la colpa grave del medico per imperizia, – alla luce della legge allora vigente, – nell’intervento al fine del riconoscimento del nesso causale per determinare l’evento lesivo della vittima, e, pertanto la motivazione della Corte di Appello di Bologna non poteva essere censurata in sede di legittimità (Cass. n. 18080/15). Di conseguenza, la Suprema Corte ha dispostol’annullamento senza rinvio.


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