Principio di ragionevolezza e principio di proporzionalità nel Diritto Amministrativo

Principio di ragionevolezza e principio di proporzionalità nel Diritto Amministrativo

Sommario: 1. Introduzione – 2. Ragionevolezza e proporzionalità: affinità e differenze di due principi dalla diversa matrice – 2.1 Il principio di ragionevolezza nel contesto degli artt.3-97 Cost. – 2.2. L’eccesso di potere ex art.21 octies L.241/90: le figure sintomatiche lesive del principio di ragionevolezza – 3. Il principio di proporzionalità: dall’origine giurisprudenziale comunitaria all’art.5 TUE – 4. Il principio di proporzionalità e ragionevolezza nel Codice dei Contratti Pubblici – 5. Conclusione

 

1. Introduzione

I principi di ragionevolezza e proporzionalità governano il diritto amministrativo moderno rappresentando criteri di sindacato sulla costituzionalità delle leggi e sulla legittimità della procedura amministrativa, assurgendo a strumenti fondamentali nel perseguimento dell’interesse generale.

Espressione entrambi della giusta misura operativa nell’esercizio del potere tra l’autorità e i cives, sono spesso utilizzati nella giurisprudenza costituzionale come sinonimi e concepiti quale espressione del medesimo significato.

Molto più spesso, tuttavia, gli è stata attribuita una diversa portata, in virtù del fatto che la ragionevolezza trova fondamento nell’ordinamento nazionale, mentre la proporzionalità nasce nella dimensione comunitaria, come frutto dell’elaborazione interpretativa della Corte di Giustizia.

In ambito amministrativo, la nostra proporzionalità si atteggia come una declinazione del principio di ragionevolezza, che a sua volta si estrinseca nei principi di buon andamento, imparzialità e uguaglianza.

Essa guarda al provvedimento amministrativo in quanto tale e prima ancora al procedimento, affinché questi siano manifestazione di coerenza e logicità nella cura del pubblico interesse.

Diversamente, la proporzionalità comunitaria, più che soffermarsi sul contenuto dell’atto, pone l’accento sull’esigenza di impedire limitazioni arbitrarie nella libertà dei privati, secondo la logica del minor sacrificio individuale per il massimo risultato generale.

In definitiva, i due principi plasmano l’agere amministrativo in maniera differente: la ragionevolezza, nella sua declinazione interna di proporzionalità, agisce sul potere pubblico come un limite estrinseco, che investa la fase del giudizio.

Al contrario, la proporzionalità comunitaria investe il potere dall’interno, impedendo che l’azione amministrativa possa limitare la libertà del singolo in maniera eccessiva e ingiustificata.

La funzione originaria che appartiene al principio nazionale ha subìto, in maniera progressiva, l’adeguamento all’interpretazione sovranazionale, passando dall’essere il riferimento per un controllo giurisdizionale estrinseco, a un principio volto a limitare dall’interno le misure adottate dalla PA.

In tal senso, i due principi operano nei vari settori amministrativi come espressioni diverse nella ricerca del medesimo risultato, ossia l’imposizione di un vincolo sostanziale all’azione amministrativa che garantisca la legittimità dell’atto.

Appare opportuno, per entrambi i principi, sviscerarne caratteri, funzioni, differenze e affinità.

2. Ragionevolezza e proporzionalità: affinità e differenze di due principi dalla diversa matrice

2.1 Il principio di ragionevolezza nel contesto degli artt.3-97 Cost.

Il principio di ragionevolezza si afferma nella giurisprudenza della Corte Costituzionale come esplicazione del principio di uguaglianza ex art.3 Cost., non essendo presente nel sistema costituzionale una norma che lo preveda espressamente.

In una prima fase dell’opera interpretativa della Corte, esso fungeva da tertium comparationis nella valutazione di legittimità della disposizione impugnata rispetto ad un’altra, avente a oggetto il trattamento di situazioni analoghe, onde valutare la presenza di una disparità di trattamento.

In seguito, l’evoluzione interpretativa del Giudice delle Leggi si è spinta verso l’autonomizzazione del principio di ragionevolezza, attribuendogli funzione di parametro di valutazione della razionalità della norma. Il principio è stato così scisso da quello di uguaglianza, affinché le disposizioni emanate dal legislatore fossero adeguate e coerenti rispetto al fine perseguito.

In ambito amministrativo il principio in questione si è invece affermato come canone di razionalità, logicità e razionalità operativa che impedisce alla PA di adottare provvedimenti che contengano misure arbitrarie e irrazionali.

Anche in questo ambito il principio di ragionevolezza, privo di un ancoraggio normativo espresso, viene ricondotto negli artt.3 e 97 Cost. quale estrinsecazione dei principi di uguaglianza, buon andamento e imparzialità.

Buon andamento o buona amministrazione non è un concetto legato soltanto all’organizzazione degli uffici, ma anche al modo d’esercizio del potere, che deve estrinsecarsi come ottimizzazione dei risultati, in base ai mezzi posseduti e al miglior contemperamento tra gli interessi in gioco.

Questa funzione si realizza secondo procedure, scelte e valutazioni di carattere logico, espresse mediante una motivazione coerente che consente al privato di ripercorrere con razionalità i passaggi seguiti nel procedimento, i quali devono essere aderenti rispetto ai fatti secondo un incedere consequenziale.

Ragionevolezza significa anche imparzialità e uguaglianza.

L’imparzialità, cristallizzata nell’art.97 Cost., viene intesa non come neutralità dell’Amministrazione che si distacca dalle posizioni coinvolte, ma come la modalità più giusta con cui viene perseguito l’interesse generale, senza incedere in favoritismi che conducono a situazioni di diseguaglianza.

Imparzialità significa dunque valutazione di tutti gli interessi coinvolti, affinché si pervenga a una decisione finale che rappresenti in maniere logica e completa tutti i fatti posti al vaglio dell’istruttoria procedimentale.

In mancanza si avrebbe un’irragionevole diseguaglianza tra posizioni, che non troverebbe riscontro in seno alla motivazione del provvedimento.

Non solo nella Costituzione, ma anche nell’art.1 comma 2 L.241/90 è rinvenibile la ratio sottesa alla ragionevolezza, laddove si impone all’amministrazione di non aggravare il procedimento se non per esigenze motivate.

L’aggravio ingiustificato dell’istruttoria, infatti, è espressione d’irragionevolezza e scarsa aderenza ai fatti, oltre che essere incompatibile con i principi di economicità, rapidità ed efficacia.

Più d’ogni altro aspetto si ritiene che un contenuto irragionevole e illogico renda l’atto illegittimo dal punto di vista dell’eccesso di potere, ai sensi dell’art.21 octies L.241/90.

Alla luce di ciò, la vocazione sottesa al principio di ragionevolezza è quella di governare dall’esterno l’azione ammnistrativa, mediante un controllo sul contenuto obiettivo e sull’esistenza di quelle figure sintomatiche che danno luogo all’eccesso di potere.

2.2. L’eccesso di potere ex art.21 octies L.241/90: le figure sintomatiche lesive del principio di ragionevolezza

Con riguardo all’eccesso di potere si può affermare, in maniera sintetica, che questo vizio, dalla sfuggente definizione, ricorre quando la PA non esercita in maniera coerente il tipo di potere che gli è stato attribuito dalla legge per il perseguimento di quello specifico interesse.

Sebbene si è dubitato che l’eccesso di potere possa costituire causa di illegittimità del provvedimento amministrativo, l’art.21 octies L.241/90, introdotto con L.15/2005, toglie ogni dubbio, riconducendo la figura tra i vizi che invalidano l’atto.

Questo comporta che, in sede di verifica giurisdizionale, il GA accerta che l’esercizio della funzione non è avvenuto in coerenza con le norme d’azione, quindi in violazione di legge.

Quella dell’eccesso di potere costituisce una distonia tra il contenuto oggettivo di un atto, che si concretizza in una motivazione esistente ma illogica, e la causa del relativo potere esercitato, a causa di un’errata applicazione teleologica della norma attributiva del potere medesimo.

Questo vizio non determina la violazione di prescrizioni puntuali, bensì di regole indeterminate che incidono sulla logicità, coerenza e ragionevolezza del provvedimento; per tale ragione il giudice, onde evitare di incedere in valutazioni di merito, deve ricorre a “figure sintomatiche” che assurgono a parametro di legittimità del potere deviato.

Tra le figure sintomatiche dell’eccesso di potere vengono individuate una serie di situazioni tutte strettamente connesse al principio di ragionevolezza, il quale in questi casi viene ad essere vulnerato.

Si possono richiamare la disparità di trattamento, lesiva del principio di imparzialità di cui sopra, l’ingiustizia grave e manifesta e, in ultimo la contraddittorietà estrinseca e intrinseca dell’atto.

La disparità di trattamento si pone direttamente in contrasto con gli artt. 3 in materia di uguaglianza sostanziale e 97 Cost. Essa ricorre ogni qual volta soggetti uguali vengono trattati in maniera diversa senza che tale divergenza risulti giustificata e soggetti diversi in maniera uguale, senza tener conto delle posizioni contrastanti e differenti.

L’ingiustizia grave e manifesta diversamente non pone a confronto il diverso trattamento di due soggetti, bensì vede un atteggiamento di iniquità nei confronti di un unico destinatario, nei cui confronti viene compiuta una violazione del criterio di ragionevolezza e proporzione nella valutazione degli interessi.

La contraddittorietà si verifica invece quando sussiste un contrasto tra più decisioni della stessa amministrazione, relative all’esercizio del medesimo potere, sì da denotare uno stato di perplessità e incoerenza che non trova adeguata giustificazione se non nell’irragionevolezza della decisione finale.

È evidente come in tutti e tre i casi sia rinvenibile la violazione del medesimo principio.

Alla luce di ciò si può affermare dunque che un provvedimento affetto dal vizio in questione è anche irragionevole e irrazionale dal punto di vista contenutistico, poiché dalla motivazione si evince uno sviamento teleologico rispetto alla causa di pubblico interesse stabilita dalla legge.

3. Il principio di proporzionalità: dall’origine giurisprudenziale comunitaria all’art.5 TUE

Il principio di proporzionalità rappresenta un principio di teoria generale che rientra tra i criteri generali di giustizia.

Esso viene definito come il principio in base al quale il mezzo utilizzato deve essere idoneo allo scopo perseguito, rappresentando esso la giusta misura del potere amministrativo; tale principio quindi si sofferma, come affermato in precedenza sul merito del provvedimento e non invece sulla fase istruttoria e procedurale.

La sua elaborazione è riconducibile alla giurisprudenza della Corte di Giustizia per poi estendersi nelle trame degli ordinamenti nazionali, tra cui quello italiano.

Con il trattato di Lisbona del 2009 il principio in parola, nella sua dimensione comunitaria, è stato positivizzato dall’art.5 TUE, il quale sancisce che l’esercizio delle competenze dell’Unione è fondato sul principio di proporzionalità, in virtù del quale l’azione dell’Unione si limita a quanto necessario per il conseguimento degli obiettivi dei trattati. La norma va letta in combinato disposto con quanto contemplato dall’art.41 Carta di Nizza, la quale è stata elevata a fonte che possiede il medesimo rango giuridico dei Trattati, così esplicando il concetto del diritto a una buona amministrazione.

Nel nostro ordinamento la proporzionalità in senso comunitario fatica ad affermarsi, a causa delle spinte contrarie della giurisprudenza amministrativa, la quale ha mostrato perplessità dinnanzi al carattere intrinseco di detto principio, suscettibile di determinare un controllo troppo discrezionale in capo al giudice.

Nel tempo la giurisprudenza del Consiglio di Stato si è mostrata favorevole a una rivisitazione del suddetto principio in chiave sovranazionale, esso costituendo uno strumento di controllo sulla scelta del mezzo rispetto all’obiettivo nell’ambito della massima salvaguardia della libertà individuale.

In altre parole, si giunge ad ammettere un sindacato giurisdizionale di carattere intrinseco sul provvedimento che valuti in termini di eccesso di potere e dunque di legittimità una misura sproporzionata e abnorme rispetto al tollerabile sacrificio.

La proporzionalità ha trovato una propria rilevanza positiva in seno all’art.1 comma 1 L.241/90, come modificata nel 2005.

La norma evoca, invero, quell’affermazione dottrinaria secondo cui è sottinteso che l’esercizio del potere si effettui nella misura media, propria della considerazione giuridica razionale.

Secondo la dottrina più accorta il principio di proporzionalità deve attuarsi mediante tre criteri: idoneità, necessarietà e adeguatezza nella misura scelta.

L’idoneità viene intesa come giusto rapporto tra i mezzi impiegati e il fine perseguito, ricorrendo a una valutazione prognostica ex ante che consente di valutare l’efficacia del provvedimento in relazione alla scelta di quel mezzo specifico.

La necessarietà rappresenta un limite quantitativo e può essere definita come la conformità dell’azione amministrativa alla regola che comporta il minor sacrificio per il soggetto interessato, ma allo stesso tempo che consente di raggiungere l’obiettivo presupposto.

Strettamente connesso alla necessarietà è l’adeguatezza, poiché tale criterio, anche esso quantitativo, impone che la misura adottata non deve comportare per i destinatari un sacrificio eccessivo e intollerabile.

Nel diritto amministrativo la soddisfazione del principio di proporzionalità non comporta quindi una generica azione ragionevole, bensì il comportamento più adeguato che tenga conto di tutti gli interessi privati coinvolti, anche alla luce dell’impiego del mezzo più mite.

Un’importante differenza rispetto al principio di ragionevolezza risiede nel fatto che in caso di impugnazione del provvedimento affetto da vizio di proporzionalità il provvedimento non potrà essere reiterato dalla PA, optando eventualmente per un mezzo più mite, mentre, in caso di violazione della ragionevolezza con conseguente annullamento per le ragioni sopra evidenziate sarà sempre possibile integrare la motivazione e riproporre il medesimo provvedimento.

4. Il principio di proporzionalità e ragionevolezza nel Codice dei Contratti Pubblici

Un settore ove i principi esaminati emergono in maniera significativa è quello degli appalti pubblici, in virtù della direttiva 2014/24/CE che richiama espressamente il principio di proporzionalità.

Nel Codice dei Contratti Pubblici D.Lgs. 50/2016 il predetto principio ispira il contenuto dell’art.4 il quale individua tra i principi che sorreggono l’affidamento dei contratti anche la proporzionalità, ma anche nell’art.30, ove si stabilisce che in fase d’aggiudicazione ed esecuzione contrattuale le Stazioni Appaltanti rispettano altresì i principi di libera concorrenza, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità, nonché pubblicità.

È evidente che nel contesto del D.Lgs. 50/2016 il principio di proporzionalità trae linfa dalla sua qualificazione comunitaria, imponendosi alle PA di avviare procedure a evidenza pubblica arrecando il minor sacrificio possibile all’esercizio della libertà di impresa degli operatori economici.

Non solo la proporzionalità, ma anche la ragionevolezza deve scandire tutte le fasi delle procedure di gara a cominciare dall’individuazione dei requisiti soggettivi di partecipazione, alle cause d’esclusione, alla fase della valutazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa, finanche alla fase esecutiva successiva all’aggiudicazione.

In tal modo, è possibile affermare che il principio di ragionevolezza, inteso quale coerenza logica dell’istruttoria e aderenza ai fatti, caratterizzerà tutta la fase della procedura pubblicistica, incidendo sulla legittimità.

Il principio di proporzionalità, d’ispirazione comunitaria, andrà invece a governare la fase dell’esercizio del potere discrezionale della Stazione Appaltante, svolgendo un ruolo importante per ciò che concerne la formulazione delle clausole del bando in cui, ad esempio, siano richiesti dei requisiti professionali o qualificatori sproporzionati rispetto alle finalità per le quali è stata indetta la gara.

5. Conclusione

A conclusione di questa disamina, circa il rapporto tra principio di ragionevolezza e principio di proporzionalità, è legittimo affermare che, in ambito amministrativo, i due concetti, nonostante le numerose affinità, non coincidono.

L’uno si imprime sulla coerenza logico, formale, fattuale e giuridica dell’istruttoria procedimentale, avvincendo il provvedimento dall’esterno.

L’altro, nella sua dimensione comunitaria che lo lega al merito dell’atto, attiene alla giusta misura nella scelta del mezzo impiegato rispetto al fine perseguito, comportando quanto possibile il minor sacrificio per le libertà dei privati.

La giurisprudenza interna, storicamente scettica nell’ammettere l’ingresso nell’ordinamento interno del principio di proporzionalità sovranazionale, si apre a questa possibilità in tutti quei settori, come gli appalti, ove il giusto mezzo nel sacrificio dei privati diviene un criterio di riferimento per tutta la procedura ad evidenza pubblica.

Ciò trova avallo nell’opera del legislatore che, sulla scia delle direttive comunitarie, ha positivizzato il principio di proporzionalità anche nel Codice dei contratti pubblici.


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