Principio generale di inesigibilità scusante

Principio generale di inesigibilità scusante

Esistono varie ipotesi in presenza delle quali ad essere esclusa è la punibilità, per difetto non di tipicità o di antigiuridicità oggettiva, ma per difetto rimproverabilità/colpevolezza.

Tutte queste norme tipicizzano situazioni in presenza delle quali sarebbe inesigibile un comportamento difforme da quello tenuto. Es. 384 c.p. falsa testimonianza

Ci si è chiesti se queste norme sono espressione di un principio generale di inesigibilità scusante?

La giurisprudenza, in riferimento alla questione dell’imprenditore, ha più volte sostenuto che non potendo invocare lo stato di necessità lo stesso possa invocare l’inesigibilità o la forza maggiore.

La Cassazione, però, pretende che sussistano due condizioni:

  • la non imputabilità all’imprenditore della situazione;

  • la non fronteggiabilità altrimenti di quella situazione.

occorre che l’imprenditore dimostri di non aver potuto fronteggiare la difficoltà dismettendo gli immobili o cespiti dell’asse aziendale, ricorrendo al credito bancario.Solo quando è dimostrabile tutto questo l’imprenditore sarà assolto.

Com’è noto nel governare l’efficace delle leggi penali nel tempo, l’ordinamento detta due principi:

  • il principio dell’irretroattività sfavorevole: quindi il principio dettato dall’art. 25 co. 2 Cost. che vieta l’applicazione retroattiva di norme succedute al fatto allorquando esse siano sfavorevoli al reo;

  • il principio della retroattività favorevole: principio in forza del quale un soggetto che ha commesso un fatto vigente una certa disciplina ha il diritto a vedersi applicare la norma sopravvenuta rispetto alla commissione del fatto allorché più favorevole rispetto a quella vigente al momento della commissione.

Come noto il secondo principio trova un’enunciazione esplicita nell’art. 2 del c.p. in particolari ai commi 2 e 4 che distinguono la forza e l’intensità del principio di retroattività favorevole a secondo del tipo di norma favorevole sopravvenuta rispetto alla commissione del fatto.

In particolare, quando a sopravvenire sia una norma abolitrice di una fattispecie di reato contemplata dalla disciplina vigente alla commissione del fatto il principio di retroattività assume una maggiore incisività, prevedendo l’art. 2 co. 2 c.p. che la retroattività debba operare anche se, sulla base della norma vigente all’epoca del fatto, sia intervenuto giudicato penale di condanna destinato conseguentemente ad essere travolto dalla applicazione della norma abolitiva successiva come contempla l’art. 2 co. 2 del codice penale e l’art. 673 c.p.p in forza del quale il giudice dell’esecuzione deve revocare e far cessare gli effetti penali della condanna; viceversa quando la norma penale sopravvenuta più favorevole, senza abolire la fattispecie, si limiti ad introdurre un regime sanzionatorio più favorevole, è il caso disciplinato dall’art. 2 co. 4 del c.p., l’intensità del principio di retroattività favorevole si attenua, non potendo la norma sopravvenuta modificativa (e non abolitiva) travolgere gli effetti del giudicato già avvenuto.

Il limite del giudicato, che non sussiste in caso di norme modificative e non abolitive si verifica in un unico caso, quello disciplinato dall’art. 2 comma 3 del codice penale, ossia quando, a differenza della norma vigente al momento del fatto e sulla cui base sia avvenuto il giudicato, la norma successiva introduca una pena di species diversa da quella prevista la norma anteriore vigente al momento del fatto.

Nel caso in cui sia introdotta una pena pecuniaria in luogo di quella detentiva il giudice dell’esecuzione dovrà convertire la pena detentiva in pena pecuniaria (criteri 135 c.p) anche se v’è stato giudicato.

La successione delle leggi nel tempo pone due problemi:

1) l’individuazione dei criteri sulla base dei quali discernere tra i casi di abolitio dai casi di abrogatio;

2) ci si chiede se la disciplina dell’art. 2 co. 2 e 4. c.p. sono applicabili anche alla successione mediata di norme penali.

PRIMO LIMITE

Si è posto il problema se il principio di retroattività favorevole – che non trova una enunciazione costituzionale, ma trova sua enunciazione esplicita nell’art. 2 c.p. – abbia anch’esso un rango costituzionale.

Oggi, dopo sentenze intervenute nel 2006 si sostiene che anche il principio di retroattività favorevole abbia rango costituzionale, ancorché non sia enunciato nell’art. 25 Cost. Si è sostenuto che il principio di retroattività favorevole trova base nell’art. 3 Cost e nel principio di eguaglianza. Sicché nel principio di eguaglianza deve ritrovarsi il principio di ragionevolezza del trattamento non difforme tra colui che ha compiuto il fatto prima dell’adozione della norma meno afflittiva e colui che lo ha commesso successivamente.

La Corte Costituzionale, nonostante le critiche avverse, ha aderito a tale tesi; ora, appurato il rango costituzionale, ci si è chiesti se tale principio debba considerarsi ASSOLUTO E INDEROGABILE.

La Corte Costituzionale ha avuto modo di chiarire che l’inderogabilità riguarda solo il principio di irretroattività sfavorevole, perché esso tutela il calcolo che un soggetto fa, in base al principio di autodeterminazione, sulle conseguenze della propria condotta e sull’affidamento che egli vanti nei confronti della disciplina vigente al momento del fatto.  E quindi tale principio serve a tutelare il cittadino; poiché questo rispetto del calcolo ha a che fare con il principio di responsabilità penale ci sarebbe un filo doppio che lega l’irretroattività sfavorevole al principio di responsabilità personale.

Il principio di retroattività favorevole, invece, trovando la sua base in un’esigenza di ragionevolezza può essere limitato dal legislatore e può soffrire deroghe a condizione che tali deroghe siano a loro volta ragionevoli, superino il c.d. test di ragionevolezza, allorquando si riscontra che la deroga è introdotta per tutelare interessi costituzionali di analogo rilievo rispetto a quello tutelato dal principio di ragionevolezza e, quindi, dal principio di retroattività favorevole.

Ciò chiarito, la Corte Costituzionale ha dovuto affrontare alcune questioni che riguardavano la portata applicativa del principio. La prima questione problematica attiene ai rapporti tra retroattività e costituzionalità: la Corte ha avuto modo di chiarire che il principio di retroattività favorevole è relativo e derogabile quando la deroga sia giustificata dalla necessità di tutelare interessi costituzionali di pari rilievo: in tal senso un primo limite nell’applicazione retroattiva si riscontra nell’incostituzionalità della norma favorevole. Il principio di retroattività presuppone infatti che la norma della cui retroazione si dibatte sia costituzionale; quella norma

Incostituzionale, così come non potrà esser applicata a chi compia il soggetto dopo la sua entrata in vigore allo stesso tempo non sarà applicabile a chi lo ha commesso prima.

SECONDO LIMITE

si è discusso se questo principio della retroazione favorevole che l’ordinamento nel declinarlo a livello sub-costituzionale, preveda la retroazione nel caso a sopravvenire sia una norma favorevole, debba applicarsi al caso in cui NON IMMUTATO IL QUADRO NORMATIVO TRA IL MOMENTO DEL FATTO E IL MOMENTO DELL’APPLICAZIONE/ESECUZIONE  DELLA NORMA sia applicabile al caso in cui a sopravvenire sia un mutamento giurisprudenziale. E’ l’ipotesi in cui, commesso il fatto quando una disposizione incriminatrice è interpretata dalla giurisprudenza in modo ampliativo, tale per cui rientra in quella disposizione un determinato caso, intervenuto il giudicato con sentenza che recepisca l’orientamento ampliativo, si consolidi subito dopo un orientamento fornito dall’organo della nomofilachia (Sezioni Unite), di segno restrittivo, che escluda cioè il fatto già giudicato dall’ambito applicativo di quella disposizione.

Per esempio: Tizio commette il fatto oggi, la Cassazione interpreta quel fatto come rientrante nella fattispecie X, e viene condannata con sentenza passata in giudicato; successivamente la SS UU cambiano orientamento e restringono il campo applicativo della disposizione escludendo quel fatto dal terreno applicativo della fattispecie.

Può in tali casi esserci un travolgimento del giudicato?

Interviene la Corte Costituzionale – con riferimento all’art. 673 c.p.p. – chiarendo che l’art. 673 c.p.p. è una norma eccezionale perché prevede una deroga al principio sacro della intangibilità del giudicato, e in virtù di tale specialità il 673 c.p.p. non può essere applicato anche al caso in cui vi sia solo un orientamento giurisprudenziale ad introdurre un’abolitio criminis. Sul caso è appunto intervenuta la Corte Costituzionale stabilendo che la retroattività favorevole non si estende ai mutamenti giurisprudenziali.

Il principio di retroattività favorevole è quindi cedevole di fronte a norme successive ma incostituzionali; è cedevole di fronte ai mutamenti giurisprudenziali perché non trova applicazione se v’è giudicato già intervenuto.


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