Procedimento amministrativo: dalla “burocratizzazione” alla semplificazione come regola generale

Procedimento amministrativo: dalla “burocratizzazione” alla semplificazione come regola generale

Parabola del Procedimento amministrativo: evoluzione di un percorso dalla “burocratizzazione” alla semplificazione quale regola generale.

Sedes materiae della questione oggetto dell’odierna analisi è, senza dubbio, la Legge 241/1990 alla quale va il merito di aver introdotto e codificato le norme in tema di Procedimento amministrativo, dando affettivo pregio giuridico a quei principi contenuti sulla Carta Costituzionale ma che, in mancanza di una disciplina di recepimento, erano stati attuati in via esclusivamente giurisprudenziale.

In proposito va riconosciuta una certa vaghezza in capo al Legislatore, lo stesso, invero, per un lungo periodo ha mancato di recepire e rendere attuativi i principi di cui all’art. 97 Cost. in materia di efficienza, economicità ed efficacia con cui è chiamata ad operare la Pubblica Amministrazione; stante detta lacuna normativa si è, pertanto, reso necessario l’intervento sostitutivo della Giurisprudenza che, a più riprese, ha evidenziato come il soggetto Pubblico, lungi da un agire arbitrario e improvvido, è tenuto ad operare nel rispetto delle garanzie fondamentali di partecipazione e trasparenza da dover soddisfare nei confronti del cittadino istante.

Ancora una volta il nostro Ordinamento ha dato prova del ruolo lungimirante e progressista svolto dagli interpreti sì da costituire un apripista verso quegli interventi legislativi ritenuti indispensabili in uno Stato, come il nostro, democratico e liberale.

La premessa sopra svolta consente di inquadrare pienamente la c.d. parabola del procedimento amministrativo: esso è stato caratterizzato – come detto – da una totale assenza, quantomeno in una prima fase, di qualsivoglia disciplina atta a regolarne contenuto e funzioni tanto da richiedere l’intervento fattivo a carattere sostitutivo della Giurisprudenza; a questa prima fase è seguita una successiva, cruciale e nevralgica in tema di garanzie per il privato che fosse entrato in contatto con la Pubblica Amministrazione, rappresentata dalla Legge 241/1990: per la prima volta il Legislatore interviene codificando – a livello di normazione ordinaria – i principi di natura Costituzionale sanciti dall’art. 97 Cost.; con detto intervento legislativo si assiste ad un vero revirement normativo, vengono espressis verbis sanciti gli obblighi di partecipazione del privato al procedimento medesimo di cui all’art. 3; nonché l’obbligo di comunicazione preventiva che il soggetto pubblico deve assolvere verso l’istante qualora ritenga di dover/voler rigettare la di lui istanza (art. 10 bis introdotto dalla L. n. 15/2005), rappresenta un primo importante momento di dialogo tra la P.A. e il privato atto a rappresentare le perplessità sussistenti in capo al primo circa l’esito positivo del procedimento e con l’adempimento di detto onere informativo ben può il secondo meglio motivare e corredare documentalmente le proprie ragioni; altra previsione importante è quella in materia di trasparenza di cui all’art. 10 che consacra il diritto di accesso agli atti della P.A. e, conseguentemente stabilisce il dovere in capo ad essa sussistente di procedere alla discovery del proprio operato tanto che soltanto in casi eccezionali e tassativi può l’accesso medesimo essere negato; sul punto merita menzionare gli ulteriori importanti riconoscimenti dati al privato con la previsione del c.d. accesso civico generalizzato contenuta nel D. Lgs 33/2013 e nel D.Lgs 97/2016, con detti interventi normativi si è ampliato l’ambito di incidenza del privato sull’operato del soggetto pubblico con significative differenze anche sul piano procedurale qualora la P.A. non adempia alla richiesta di accesso avanzata: formazione del mero silenzio diniego nel caso di accesso semplice ex art. 10 L. 241/1990 e tutela rimediale ex art. 117 c.p.a in caso di mancato riscontro a seguito di accesso generalizzato (D.Lgs 33/2013 e 97/2016).

Ebbene, va rilevato che questa seconda fase, seppur caratterizzata da una centralità del coinvolgimento del privato, tuttavia palesa degli aspetti negativi rilevanti: la Dottrina, invero, nota il sorgere di un’eccessiva burocratizzazione che ingessa l’attività della P.A., chiamata ad assolvere più gli oneri partecipativi che il reale e doveroso perseguimento dell’interesse pubblico; emerge ben presto la necessità di intervenire con atti legislativi che avessero avuto il merito di snellire il procedimento amministrativo, di darne una lettura maggiormente volta all’efficientamento piuttosto che all’empasse; si avverte l’esigenza di adeguare la nostra disciplina interna con i dettami dell’Ordinamento Comunitario ai quali va il merito di aver trovato un esatto equilibrio tra partecipazione ed efficienza alla luce del doveroso attivismo, proprio della P.A., per il perseguimento dell’interesse pubblico.

Sono queste le riflessioni che sottendono il sorgere e la conseguente evoluzione di una terza fase – sì da concludere quella che è stata definita parabola del procedimento amministrativo – in essa assume centralità la rapidità con cui il soggetto pubblico è chiamato ad operare, da non leggere come sinonimo di leggerezza e negligenza ma concetto idoneo a consacrare un agire snello, fluido, scevro da ingessamenti e, soprattutto, da leggere in chiave Comunitaria.

È in questa terza scansione temporale che vanno iscritti importanti interventi normativi volti alla c.d. semplificazione amministrativa; il riferimento è alla Legge n. 124/2015 introduttiva della disciplina di cui all’art. 17 bis L. 241/1990, nonché della revisione registratasi in materia di Conferenza dei servizi e di SCIA, sostitutiva della originaria DIA avutesi con D.Lgs 127/2016 nell’ambito della nota Riforma Madia sul funzionamento della P.A.

Quanto sopra detto consente di avere un quadro di insieme importante che funga da base per l’analisi degli innesti normativi testé citati.

Certamente meritevole è lo studio del nuovo istituto in materia di assenso di cui all’art. 17 bis L. 241/1990: per la prima volta viene teorizzato e riconosciuto il ruolo del silenzio assenso non solo in chiave verticale – ossia operante tra P.A. e cittadino – ma anche in linea orizzontale, ovvero tra Pubbliche Amministrazioni chiamate a esitare e a pronunciarsi in merito al medesimo procedimento.

Procedendo con ordine: è un istituto la cui funzione può essere collocata nella fase decisoria qualora per l’emanazione del provvedimento finale sia necessaria una concertazione tra PP.AA. tale che l’organo decidente sia complesso e l’Amministrazione competente – innanzi alla quale sia stato incardinato il procedimento – chieda intervento ad altra Amministrazione affinché la stessa rilasci il proprio parere. Ove, a seguito della richiesta di parere, la P.A. sollecitata e coinvolta non provveda, decorso inutilmente il termine di giorni trenta, il parere si avrà come assunto: ipotesi di formazione di silenzio assenso per cui a rilevare è il naturale decorso del tempo e il silenzio del soggetto pubblico viene interpretato come formativo di effetti favorevoli e non ostativi.

La conquista compiuta con detto intervento è emblematica: consentire all’Amministrazione procedente di esitare il procedimento senza correre il rischio che l’eventuale silenzio – da interpretare come mancata collaborazione da parte della P.A. interpellata – possa ingessarne l’operato con conseguente detrimento degli interessi del privato.

Circa il funzionamento e le peculiarità di detto istituto l’analisi non può prescindere dal Parere del Consiglio di Stato che ha lambito gli aspetti salienti dello stesso: ambito di operatività soggettiva; oggettiva; rapporti con la Conferenza di servizi ed esercizio del potere di autotutela in capo all’Amministrazione rimasta silente nonostante la richiesta di intervento avanzata dal soggetto procedente.

In via preliminare il Consiglio di Stato, nel medesimo Parere di cui sopra, ha evidenziato la compatibilità dell’istituto de quo con i principi sia di diritto interno che comunitari: ha, invero, statuito come lo stesso vada iscritto nel processo di semplificazione e snellimento dell’attività amministrativa prescritto anche dalla Direttiva Bolkestein in materia di libera circolazione di servizi e capitali; altresì trova compatibilità sul piano nazionale in quanto attuazione dell’art. 97 Cost. nella misura in cui preveda l’efficienza amministrativa da leggere come capacità di perseguire l’interesse pubblico senza incorrere in empasse procedimentali; da ultimo viene inteso come espressione del principio di trasparenza, inteso ormai come principio che informa l’attività tutta della P.A. chiamata, ancor prima che a rendere ostensibili i propri atti, ad emettere decisioni  ferme, pronte, che siano espressione della tanto ricercata certezza del diritto posta a garanzia della posizione del singolo.

Ciò detto appare di interesse sciorinare i punti tracciati dal Parere del CdS di cui sopra nella Pronuncia del 2016.

Circa l’ambito di operatività soggettiva, l’istituto di cui all’art. 17 bis L. 241/1990 è applicabile a qualsiasi soggetto pubblico operante su nostro Territorio, sia esso Ente locale, Organo Politico, Ente gestore, Autorità indipendente; in proposito il CdS ha colto l’occasione per precisare che il silenzio di cui trattasi opera esclusivamente tra amministrazioni nel senso che l’Amministrazione procedente, e richiedente il parere ad altra Amministrazione, debba poter avvalersi del silenzio assenso unicamente nel proprio interesse n.q. di soggetto pubblico e non anche in favore del privato atteso che, in caso di mancato pronunciamento da parte della P.A. a seguito di istanza presentata dal privato, quest’ultimo è già tutelato con il rimedio giurisdizionale di cui all’art. 117 c.p.a; non occorre, pertanto, l’intervento ultroneo esercitabile anche da parte del soggetto pubblico in quanto si configurerebbe una doppia tutela non necessaria.

Ulteriore questione affrontata è stata quella concernente il rapporto con la Conferenza di servizi (artt. 14 e ss.) – altra ipotesi di decisione concertata – ebbene il CdS ha stabilito che il silenzio di cui all’art. 17 bis può applicarsi qualora siano coinvolte soltanto due Amministrazioni, diversamente, in caso di numero maggiore delle PP.AA. coinvolte dovrà applicarsi la disciplina di cui agli artt. 14 e ss L.241/1990; tuttavia nella prassi, al fine di attuare una politica volta sempre più alla semplificazione e allo snellimento procedimentale, si è statuito che ove non vi sia dissenso manifestato da nessuna delle Amministrazioni interessate, in caso di mero silenzio, si avrà l’applicazione di quanto disciplinato dall’art. 17 bis; diversamente, eventuale diniego renderà non spendibile detta procedura in favore dello svolgimento della Conferenza di servizi.

Meritevole di pregio giuridico è – da ultimo – l’analisi del potere di autotutela in capo all’Amministrazione rimasta silente e come esso si atteggi diversamente a seconda che voglia essere esercitato dopo l’emanazione del provvedimento finale oppure nel fase temporale compresa tra la formazione del silenzio e l’adozione dell’atto conclusivo del procedimento.

Ricorrendo la prima ipotesi la P.A. che non abbia espresso il proprio parere nonostante sia stata coinvolta dal soggetto procedente, ove ritenga sussistenti i presupposti di cui all’art. 21 nonies L. 241/1990 potrà procedere ad annullamento in autotutela palesando il mutato assetto di interessi che ipso iure renda illegittimo l’atto.

Diversamente, qualora la P.A. rimasta silente voglia agire in autotutela dopo la mera formazione del silenzio ciò le sarà precluso atteso il termine perentorio di giorni trenta entro cui avrebbe dovuto intervenire; consentire, invero, un atto partecipativo ex post significherebbe svilire la portata dell’istituto in commento.

Ne discende che, al verificarsi di un caso di tal fatta, la P.A. interpellata potrà al più sollecitare l’esercizio di un potere di revisione in capo all’Amministrazione procedente di modo da ottenere un provvedimento finale che tenga conto del parere originariamente richiesto ed espresso seppur tardivamente; non v’è dubbio che si tratterebbe di una mera facoltà/discrezionalità esercitabile dal soggetto procedente e non certo un dovere di conformarvisi.

Le tappe del percorso di semplificazione e snellimento dell’attività amministrativa debbono tener conto di quanto previsto in materia di Conferenza di servizi e di Segnalazione Certificata di Inizio Attività, subentrata all’originaria Dichiarazione Certificata di Inizio Attività.

Non volendo assolvere a pretese di esaustività da soddisfare in detta sede, riguardo la Conferenza va detto che il suo utilizzo si inscrive nella fase decisoria, preliminare alla emanazione del provvedimento finale, qualora sia richiesta l’assunzione di una decisione concertata che coinvolga le diverse Amministrazioni titolari, ciascuna, dei diversi interessi coinvolti nel procedimento instaurato. Funge, quindi, da tavolo decisionale al quale sono chiamate a figurare i soggetti pubblici coinvolti – a titolo diretto – dalla fase procedimentale aperta con l’istanza presentata dal privato.

Istituto, quello in commento, che ha conosciuto importati getti riformisti a seguito del D.Lgs 127/2016, in special modo sono stati tre gli obiettivi prefissati dal Legislatore: ridurre i casi e i tempi in cui debba procedersi all’indizione della Conferenza decisionale; applicare, quale regola, lo svolgimento della Conferenza in forma simultanea e asincrona; l’introduzione del rappresentante unico quale soggetto chiamato a rappresentare gli interessi delle Amministrazioni coinvolte di modo da semplificare notevolmente la procedura anche attraverso uno snellimento dei soggetti coinvolti.

Dalla Riforma Madia alla Conferenza svolta con la presenza di tutte le PP.AA. interessate è stata preferita quella che si realizzi attraverso lo strumento telematico costituendo detta forma – c.d. semplificata – la regola e la convocazione fisica un’eccezione esperibile unicamente nel caso di contrasto e dissenso nel raggiungere una posizione unitaria.

Va precisato che l’esito della Conferenza produrrà una decisione che non è né può essere considerata sostitutiva del provvedimento finale, piuttosto rappresenta l’atto che chiude la procedura di concertazione il cui contenuto andrà a confluire nel primo: emerge quella che la Dottrina ha definito struttura dicotomica del procedimento amministrativo che veda coinvolti e interessati diversi soggetti pubblici.

Al fine di tracciare in maniera soddisfacente la terza fase di quella che, a buon diritto, viene definita parabola del procedimento amministrativo è d’uopo analizzare la disciplina in materia di SCIA e porla in contrapposizione con il silenzio assenso di cui all’art. 20 L.241/1990 atteso che in detto ultimo caso non vi è alcuna rinuncia all’esercizio del potere amministrativo, semplicemente il silenzio si riterrà idonea a configurare le medesime conseguenze che il privato avrebbe potuto avere nel caso di provvedimento favorevole; differentemente nel caso di SCIA si assiste ad un’abdicazione del potere amministrativo atteso che questo, da preventivo e necessario, diventa successivo ed eventuale.

Il privato, invero, ricorrendo i presupposti di cui all’art. 19 L. 241/1990 ben potrà avviare la propria attività previa mera “segnalazione” da assolvere nei confronti dell’Amministrazione competente. Quest’ultima sarà chiamata a svolgere un potere di controllo dei requisiti richiesti ex lege, in caso di riscontro positivo la procedura si chiuderà con un atto interno di conformità; diversamente, ove ritenga non presenti i presupposti sopra detti, si dovrà procedere con un invito rivolto al privato di uniformarsi al dettato legislativo – rappresenta detto passaggio un ulteriore esempio di amministrazione concertata con la controparte – in mancanza si procederà con l’esercizio del potere di annullamento in autotutela che, tuttavia, non potrà essere esercitato sine die ma entro un termine massimo di mesi diciotto al fine di garantire la certezza delle posizioni giuridiche nonché l’affidamento che il privato segnalante abbia fatto circa uno stato di fatto ritenuto consolidato.

Gli istituti sopra tracciati consentono di evidenziare il fil rouge che ha mosso l’operato del Legislatore: creare un sistema procedurale amministrativo che guardi all’interesse pubblico e al suo perseguimento; che sia scevro da condizionamenti ed ingessamenti di modo da consentire un’azione rispettosa tanto della Carta Costituzionale quanto della disciplina Comunitaria nella misura in cui si ponga al centro l’individuo e il soddisfacimento dell’interesse di cui è titolare.


Salvis Juribus – Rivista di informazione giuridica
Direttore responsabile Avv. Giacomo Romano
Listed in ROAD, con patrocinio UNESCO
Copyrights © 2015 - ISSN 2464-9775
Ufficio Redazione: redazione@salvisjuribus.it
Ufficio Risorse Umane: recruitment@salvisjuribus.it
Ufficio Commerciale: info@salvisjuribus.it
***
Metti una stella e seguici anche su Google News
The following two tabs change content below.

Avv. Maria Erica Gangi

Laureata presso l'Università degli Studi di Palermo il 26.10.2012 con votazione 110/110; ha conseguito l'abilitazione forense in data 29.10.2015; iscritta all'albo Avvocati del Tribunale di Agrigento in data 10.12.2015. Tutt'oggi impegnata nell'esercizio della professione forense e nello studio e conseguente preparazione del concorso in Magistratura.

Articoli inerenti