Processo civile: l’omesso esame di una questione di legittimità costituzionale non è motivo di appello

Processo civile: l’omesso esame di una questione di legittimità costituzionale non è motivo di appello

“Il mancato esame di una questione di legittimità costituzionale non può formare oggetto di appello e non costituisce, corrispondentemente, vizio di omessa pronunzia nel giudizio di legittimità”. Lo stabilisce la Cassazione civile, sez. VI-3, con lordinanza 3 giugno 2020, n. 10524.

 

Sommario: 1. La vicenda – 2. Il principio

1. La vicenda

La società Air Gas di M. B. & C. s.n.c. proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo con il quale Vaillant Group Italia S.p.A. gli ingiungeva il pagamento di somme dovute per l’acquisto di pezzi di ricambio consegnategli e non pagati. L’opponente deduceva di essere creditrice di una somma maggiore pari alla valorizzazione di 119 pezzi, nello specifico serpentine da scaldabagno, ancora non ritirati dall’opposta e, per effetto della compensazione, chiedeva la condanna al pagamento della residua somma.

Costituitasi in giudizio l’opposta, Vaillant Group Italia S.p.A., chiedeva la conferma del decreto ingiuntivo ed il rigetto della domanda riconvenzionale e di quella di compensazione parziale.

Il Tribunale di Milano rigettava l’opposizione e la domanda riconvenzionale condannando l’opponente società Air Gas di M. B. & C. s.n.c. al pagamento delle spese di lite, oltre ad un’ulteriore somma per responsabilità processuale aggravata ai sensi del terzo comma dell’articolo 96 c.p.c. Il giudice di prime cure rilevava in primis, che il contratto di affiliazione commerciale esistente sin dall’anno 2003 fra le parti, che vedeva Air Gas di M. B. & C. s.n.c. quale affiliata, era cessato ad opera dell’affiliante a far data dal 21 marzo 2010 e secondariamente, che il credito fatto valere in sede monitoria dalla Vaillant Group Italia S.p.A., non era stato contestato dalla opponente, la quale si era limitata ad avanzare un controcredito in compensazione senza riuscire a provarne l’esistenza.

Difatti la società ingiunta fondava il proprio credito sulla mera circostanza che, una volta risolto il contratto di affiliazione commerciale tra le due società, l’opposta si sarebbe impegnata ad acquistare nuovamente le serpentine da scaldabagno. In ogni caso, non ha dimostrato né tale circostanza né di avere acquistato dalla controparte i predetti pezzi di ricambio.

Avverso tale decisione proponeva appello Air Gas di M. B. & C. s.n.c. deducendo che, una volta sciolto il contratto, la controparte si sarebbe impegnata ad acquistare nuovamente i pezzi di ricambio, come previsto dall’articolo 29 del contratto.

La Corte d’Appello di Milano rigettava l’impugnazione condannando la società appellante al pagamento delle spese di lite.

Air Gas di M. B. & C. s.n.c. proponeva ricorso per cassazione affidandosi a tre motivi e nello specifico, per quel che qui interessa, con il primo deduceva, ex art. 360, n. 5, c.p.c. e art. 1 l.cost. n. 1/1948, “l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ovvero il mancato esame dell’eccezione di incostituzionalità dell’art. 96, terzo comma c.p.c.”. Tale doglianza deriva dal fatto che in sede di appello, la ricorrente avrebbe proposto l’eccezione di legittimità costituzionale del citato art. 96 c.p.c. e la Corte territoriale avrebbe omesso di decidere sulla questione.

Si costituiva Vaillant Group Italia S.p.A. con controricorso, insistendo nella condanna ex art. 96 c.p.c. anche in questa sede.

2. Il principio

La Suprema Corte con l’ordinanza in analisi, in primo luogo riprende un principio già enunciato in passato, in forza del quale “la questione di legittimità costituzionale di una norma, in quanto strumentale rispetto alla domanda che implichi l’applicazione della norma medesima, non può costituire oggetto di un’autonoma istanza rispetto alla quale, in difetto di esame, sia configurabile un vizio di omessa pronuncia, ovvero (nel caso di censure concernenti le argomentazioni svolte dal giudice di merito) un vizio di motivazione, denunciabile con il ricorso per cassazione: la relativa questione è infatti deducibile e rilevabile, anche d’ufficio, nei successivi stati e gradi del giudizio che sia validamente instaurato, ove rilevante ai fini della decisione” (Cfr. Cass. 19 gennaio 2018, n. 1311; Cass. 11 dicembre 2006, n. 26319; Cass. n. 5135 del 2004; n. 16245 del 2003; n. 4399 del 1980).

In secondo luogo, chiarisce che la questione sollevata dalla parte ricorrente è stata già oggetto di analisi da parte della Corte Costituzionale, la quale, con la decisione n. 152 del 2016, ha ritenuto non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 96, terzo comma, c.p.c., impugnato, in relazione agli artt. 3, 24 e 111 Cost., nella parte in cui stabilisce che, in ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’art. 91, il giudice, anche d’ufficio, può condannare il soccombente al pagamento di una somma equitativamente determinata a favore della controparte, anziché dell’Erario.

La consulta, con la decisione summenzionata, ha svolto un’interessante analisi dell’istituto che può essere riassunta come segue.

L’impugnato terzo comma, che prevede un peculiare strumento sanzionatorio in virtù del quale il giudice può liquidare a carico della parte soccombente, anche d’ufficio, una somma ulteriore rispetto alle spese del giudizio, è stato aggiunto dal legislatore nell’intento di frenare l’eccesso di litigiosità che affligge il nostro ordinamento ed evitare l’instaurazione di giudizi meramente dilatori.

Contestualmente all’introduzione della norma in discorso, è stato abrogato il quarto comma dell’art. 385 del codice di procedura civile, il quale, aveva la finalità di “disincentivare” il ricorso per cassazione. Tale scelta induce a ritenere che la legge di riforma abbia voluto elevare a principio generale il meccanismo processuale predisposto per il procedimento di cassazione, facendolo affluire in una disciplina applicabile a tutti i gradi di giudizio.

La disposizione contenuta nell’art. 96 c.p.c. sin da subito però, non è risultata di agevole lettura. La dottrina e la giurisprudenza di merito, infatti, oltre che sui presupposti applicativi, si sono divise in merito alla natura della condanna della parte soccombente contemplata dal comma terzo e nello specifico, se questa sia riconducibile allo schema della responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c., e quindi abbia valenza anch’essa, risarcitoria del danno cagionato alla controparte attraverso la proposizione di una lite temeraria, ovvero risponda ad una funzione sanzionatoria delle condotte di quanti, abusando del proprio diritto di azione e di difesa, si servano dello strumento processuale a soli fini dilatori, contribuendo così ad aggravare il volume del contenzioso e, conseguentemente, ad ostacolare la ragionevole durata dei processi pendenti.

Sul punto la Corte Costituzionale concorda con la prospettazione che riconosce alla previsione de qua una natura più propriamente sanzionatoria, con finalità deflattive, e ritiene non irragionevole la scelta effettuata dal legislatore nel porre “a favore della controparte” il “pagamento della somma” stabilita nella condanna della parte soccombente. La Corte, proseguendo, ritiene infatti, plausibilmente ricollegabile tale previsione all’obiettivo di assicurare una maggiore effettività, ed una più incisiva efficacia deterrente dello strumento oggetto di disamina.


Art. 96, comma 3, c.p.c.;
Art. 385, comma 4, c.p.c.;
Cassazione civile, sez. VI-3, ordinanza 3 giugno 2020, n. 10524;
Cassazione civile, sez. V, sentenza 19 gennaio 2018, n. 1311;
Corte costituzionale, sentenza 23 giugno 2016, n. 152.

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Avv. Giacomina Carla Squitieri

Avvocato, mediatore civile e specialista in professioni legali. Dopo la maturità psico-socio-pedagogica ottenuta presso il Liceo Classico “A.Rosmini” di Palma Campania ha conseguito nel 2007 la Laurea triennale in Scienze giuridiche presso l’Università degli studi di Napoli Parthenope con tesi in diritto fallimentare. Nel 2009 ha conseguito la Laurea specialistica in Giurisprudenza con tesi in diritto romano e votazione di 110/110 e lode. Nello stesso anno veniva scelta per merito come stagista dal Ministero degli Affari Esteri per l’unico posto disponibile presso l’Ufficio Sottrazione internazionale di minori – DGIT 4 dove, oltre a collaborare alla risoluzione di casi specifici, a preparare atti per i fascicoli destinati alla Corte dell’Aja ed a partecipare alle Task Force Ministeriali (Interno, Esteri, Difesa) ha provveduto a redigere parti della guida annuale “Bambini contesi” pubblicata sul sito del Ministero. Nel 2010 ha svolto il biennio di pratica forense presso lo studio dell’Avv. Saviano Sabato, penalista e cassazionista dell’ordine degli avvocati di Nola. Nel 2012 ha acquisito il titolo di specialista in professioni legali diplomandosi con ottimi risultati presso la Scuola di specializzazione per le professioni legali dell’Università degli studi di Napoli Federico II. Alla fine dello stesso anno ha concluso il Corso di formazione in diritto civile e processuale civile, diritto penale e procedura penale per l’abilitazione forense del Prof. Avv. Natale Ferrara presso l’Istituto superiore di Studi giuridici di Napoli. Dal 2011 ha svolto incarichi di difesa degli enti comunali e dal 2012 ha collaborato con studi legali specializzati in diritto civile ed amministrativo. Nel 2020 ha deciso di intraprendere anche la professione di mediatore civile e commerciale, seguendo il corso di alta formazione di cui al D.M. n.180 del 4/11/2010 ed iscrivendosi nell'apposito elenco presso il Ministero della Giustizia. Collabora con la rivista giuridica telematica “Nuove Frontiere del Diritto” e più di recente ha intrapreso una collaborazione con la rivista di informazione giuridica “Salvis Juribus”. Si interessa del diritto a tutto tondo.

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