Professioni non organizzate ed esercizio abusivo della professione

Professioni non organizzate ed esercizio abusivo della professione

Prima di introdurre le problematiche che concernono eventuali responsabilità penali appare opportuno chiarire i confini delimitati dalla nuova normativa che regolamenta le c.d. “professioni non organizzate”.

Professioni non organizzate, sono quelle che esulano da contesti ordinistici o collegiali. A regolamentarle per la prima volta in materia organica è stata la legge n. 4 del 14 gennaio 2013.

Tanto per cominciare, vale la pena di effettuare una distinzione per capire a chi si applica la nuova normativa.

È innanzitutto necessario escludere dall’ambito di applicazione tutte le professioni il cui esercizio presuppone l’iscrizione a un ordine o un collegio professionale, come avvocati, dottori commercialisti, ecc… Costoro potranno continuare a svolgere, senza dover sottostare alle indicazioni di cui alla legge 4/2013, anche le attività non esclusive su cui hanno competenza in ragione dell’esercizio delle attività a loro riservate dalla legge.

La nuova normativa si propone, in sostanza, di dare un inquadramento all’attività di quei professionisti, sempre più numerosi, che non sono inquadrati in ordini o collegi e che svolgono attività spesso molto rilevanti in campo economico, consistenti nella prestazioni di servizi o di opere a favore di terzi, esercitate abitualmente e prevalentemente mediante lavoro intellettuale, o comunque con il concorso di questo.

Naturalmente, chiunque travalica i confini ben delineati dalla legge 4/2013 incorre nella responsabilità penale di cui all’art. 348 c.p. che, punisce chi abusivamente esercita una professione per cui è richiesta una speciale abilitazione dallo Stato.

Invero, il bene tutelato dalla norma anche se è costituito dall’interesse generale a che determinate professioni, richiedenti particolari competenze tecniche, vengano esercitate solo da soggetti in possesso di una speciale autorizzazione amministrativa non esclude che possano assumere la veste di danneggiati dal reato quei soggetti che abbiano subito un pregiudizio dal reato, ma non consente di riconoscere in capo ad essi la qualità di persone offese che spetta solo allo Stato.

La normativa di cui si dibatte, come si può intuire, ha la natura di norma penale in bianco, così come stabilito in maniera uniforme dalla Suprema Corte, in quanto considera l’esistenza di altre disposizioni di legge che stabiliscono le condizioni oggettive e soggettive in difetto delle quali non è consentito l’esercizio di determinate professioni.

Ai fini della configurabilità del reato di esercizio abusivo della professione non rileva, considerata l’indisponibilità dell’interesse protetto dalla norma incriminatrice, l’assenza di scopo di lucro nell’autore o il movente di carattere meramente privato, e neppure il consenso alla prestazione manifestato dal destinatario, essendo sufficiente la consapevolezza della mancanza del titolo abilitativo (Cass. 10816/2000). Non ha rilievo il consenso della clientela in quanto titolare, appunto, dell’interesse protetto è lo Stato (Cass. 49/2003).

La Suprema Corte, infatti nell’affermare tale principio ha ripetutamente precisato che integra il reato di cui all’art. 348 c.p. la condotta di chi effettua diagnosi e rilascia prescrizioni e ricette sanitarie in campo omeopatico, in quanto tale attività è di pertinenza sanitaria, per cui si presume il possesso di un titolo riconosciuto dallo Stato (Cass. 2652/1999), il quale condiziona la capacità giuridica del soggetto in ordine all’oggetto di quella specifica professione, identificando la condotta come illecita (Cass. 34200/2007).

Commette, quindi, il reato di esercizio abusivo della professione il soggetto che svolge attività “tipica e di competenza specifica” della professione regolamentata senza però essere iscritto all’Albo professionale . Così in ultima analisi i giudici  della Cassazione, sezioni unite penali, con la sentenza 23 marzo 2012 n. 11545, statuendo il principio di diritto secondo cui “è configurabile la fattispecie penale in oggetto, non solo per il compimento senza titolo, anche se posto in essere occasionalmente e gratuitamente, di atti da ritenere attribuiti in via esclusiva ad una determinata professione, ma anche per il compimento senza titolo di atti che, pur non attribuiti singolarmente in via esclusiva, siano univocamente individuati come di competenza specifica di una certa professione”.

Facendo un esempio pratico, possiamo prendere in considerazione la figura dell’omeopata. L’omeopatia è un metodo di cura alternativo che sfrutta i principi contrari a quelli che hanno provocato la malattia. Si ritiene che l’esercizio di tale attività debba essere comunque subordinato al controllo dell’esame di abilitazione e dell’iscrizione all’albo dei medici o al conseguimento del titolo accademico della laurea in medicina.

Concludendo, può affermarsi che il reato di abusivo esercizio della professione  viene a configurarsi ogni qualvolta si travalicano i limiti delle professioni ordinistiche invadendo il campo di queste ultime che sono sottoposte a titoli abilitativi rigorosamente riconosciuti dallo Stato.

 


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