Profili del contratto di agenzia nella normativa nazionale e comunitaria

Profili del contratto di agenzia nella normativa nazionale e comunitaria

A partire dai primi anni del 1800 la prassi commerciale ha determinato la configurazione del contratto di agenzia, il quale è stato recepito a livello legislativo soltanto verso la fine del XIX secolo[1]. La disciplina di tale figura contrattuale è stata inserita per la prima volta nel Codice di Commercio italiano del 1882 che menzionava il termine “agenzia” al n. 21 dell’art. 3, inglobando tra gli atti commerciali “le imprese di commissioni, di agenzie e gli uffici di affari”[2].

Con l’entrata in vigore del Codice Civile del 1942, la disciplina normativa del contratto di agenzia è stata formulata agli articoli 1742-1753, peraltro, più volte oggetto di restyling. Il contratto di agenzia, infatti, rientra tra i cosiddetti contratti tipici, ossia tra quei contratti che sono specificatamente previsti e regolati dal codice civile. Dispone infatti l’art. 1742 c.c., rubricato “Nozione”: “Col contratto di agenzia una parte assume stabilmente l’incarico di promuovere, per conto dell’altra, verso retribuzione, la conclusione di contratti in una zona determinata.

Il contratto deve essere provato per iscritto. Ciascuna parte ha diritto di ottenere dall’altra un documento dalla stessa sottoscritto che riproduca il contenuto del contratto e delle clausole aggiuntive. Tale diritto è irrinunciabile”.

Invero, deve osservarsi che la regolamentazione specifica deve essere interpretata alla luce della l. 3 maggio 1985, n. 204, relativa all’attività dell’agente e del rappresentante di commercio, che ha precedentemente abrogato la l. 12 marzo 1968, n. 316[3]. Tra l’altro, il contratto di agenzia e rappresentanza commerciale è regolato dalla direttiva n. 86/653/CEE e dagli accordi economici collettivi. Nello specifico, la disciplina comunitaria è stata recepita mediante due successivi provvedimenti: il d.lgs. 10 settembre 1991, n. 303 ed il d.lgs. 15 febbraio 1999, n. 65, mentre la l. 21 dicembre 1999, n. 256, ha modificato la regolamentazione dello “star del credere” e la legge comunitaria 29 dicembre 2000, n. 422, è intervenuta sul patto di non concorrenza[4].

Il contesto storico attuale attribuisce al mercato una dimensione internazionale determinando una sempre più intensa rilevanza commerciale della figura negoziale in esame e, conseguentemente, divenendo necessaria la configurazione di soggetti incaricati di promuovere e concludere affari superando i consueti confini locali[5]. A tal fine, interviene il contratto di agenzia, in ragione del quale l’agente si obbliga a promuovere gli affari del proponente rispetto a terzi, ovvero a concluderli direttamente se dotato del potere di rappresentanza ex art. 1752 c.c., previa corresponsione di una provvigione commisurata al valore e al numero degli stessi[6].

La Cassazione, con sentenza 16 febbraio 1993, n. 1916, ha distinto la figura dell’agente da quella “innominata” del c.d. procacciatore d’affari, poiché l’attività di quest’ultimo è esercitata saltuariamente, mentre all’agente è assegnato un incarico stabile e duraturo[7]. Quando l’agente è dotato di rappresentanza per la conclusione dei contratti, la stabilità del rapporto permette di distinguere il contratto di agenzia dal contratto di mandato con rappresentanza (Cass. 10 ottobre 1985, n. 4942)[8].

In ragione del rapporto fiduciario intercorrente fra il preponente e l’agente, la legge prevede che la loro relazione debba essere caratterizzata dall’esclusiva reciproca; in virtù del divieto di concorrenza e del rapporto di esclusiva, le parti sono “poste nelle condizioni migliori al fine di trarre dall’esecuzione del rapporto il massimo beneficio possibile”[9]. Come è stato osservato “nel nostro ordinamento l’art. 1743 c.c. prevede che il preponente non può valersi contemporaneamente di più agenti nella stessa zona e per lo stesso ramo di attività, né l’agente può assumere l’incarico di trattare nella stessa zona e per lo stesso ramo gli affari di più imprese in concorrenza tra loro. Pur a fronte di una disposizione apparentemente semplice nelle sua espressione letterale, si pongono nella prassi diversi problemi interpretativi che finiscono con il manifestarsi anche nel non raro contenzioso in materia fra le parti”[10]. Secondo l’orientamento tradizionale della giurisprudenza (Cass. 19 marzo 1994, n. 2634) il diritto di esclusiva costituisce un elemento in re ipsa del contratto di agenzia, in ragione del quale l’agente, anche in assenza di una clausola che lo preveda, non può svolgere la sua attività per conto di un altro imprenditore che sia in concorrenza col primo nella zona territoriale assegnatagli (c.d. zona riservata)[11]. La disposizione di cui sopra ha evidentemente l’obiettivo di “tutelare l’agente, e le sue prospettive di guadagno. Se, in una stessa area, il preponente potesse utilizzare più agenti, questi vedrebbero ridotte in modo significativo le proprie prospettive di profitto: gli agenti si troverebbero in concorrenza l’un l’altro e le provvigioni spettanti per gli affari conclusi da uno di essi non potrebbero essere riconosciute agli altri. In altre parole, in presenza di più agenti operanti nella medesima zona il mercato viene diviso fra un numero maggiore di persone, con conseguente inevitabile riduzione dei guadagni”[12].

Ai sensi dell’art. 1743 c.c. il preponente, a sua volta, non può valersi contemporaneamente di più agenti nella stessa zona e per lo stesso ramo di attività: la giurisprudenza[13] ha sancito che “il diritto di esclusiva dell’agente non impedisce al preponente di contrattare personalmente nella zona riservatagli, purché la sua attività non assuma dimensioni tali da elidere quella dell’agente o da rendergli difficile l’assolvimento del proprio incarico”[14]. La ratio della disposizione è di facile comprensione: è stato osservato che la finalità della norma è quella di “tutelare la posizione del preponente nei confronti di comportamenti dell’agente idonei ad arrecargli danni nella misura in cui opera a vantaggio di imprese concorrenti. L’obiettivo economico del produttore di merci o del fornitore di servizi è quello di massimizzare i guadagni derivanti dalle vendite dei propri prodotti. A tal fine necessita di collaboratori [..] che si dedichino intensamente all’attività di marketing e di vendita. L’agente che, operando per un secondo preponente, potesse svolgere attività in concorrenza con quella del primo produttore, non consentirebbe al primo di raggiungere i medesimi risultati. L’agente si troverebbe in una continua situazione di conflitto d’interessi, dovendo di volta in volta decidere se promuovere le vendite – in una determinata zona – dei beni del produttore Alfa piuttosto che dei beni del produttore Beta. In questo contesto l’esclusiva di legge a beneficio del preponente va letta unitamente alla disposizione che obbliga l’agente a fare gli interessi del produttore: nell’esecuzione dell’incarico l’agente deve tutelare gli interessi del preponente e agire con lealtà e buona fede (art. 1746 comma 1 c.c.)”[15].

Il contratto di agenzia, in ragione della sua configurazione di rapporto continuativo e generalmente intercorrente tra imprenditori, potrebbe generare situazioni di asimmetria negoziale tra i contraenti, tenuto conto della “maggiore stabilità patrimoniale” di cui è dotato il preponente rispetto allo “stato di dipendenza economica” in cui si trova l’agente; alla luce di quanto poc’anzi esposto, il legislatore italo-comunitario è intervenuto sulla normativa codicistica al fine di garantire un adeguato livello di protezione in favore del contraente-debole[16]. Mediante la direttiva n. 86/653, il legislatore comunitario ha inciso significativamente sulla protezione dell’agente di commercio definito all’art. 1, comma 2, come “la persona che in qualità di intermediario indipendente, è incaricata in maniera permanente di trattare per un’altra persona, [..] preponente, la vendita o l’acquisto di merci, ovvero di trattare e di concludere dette operazioni in nome e per conto del preponente”; l’agente commerciale si presenta dunque come soggetto debole, in quanto “sostanzialmente dipendente dal punto di vista economico-organizzativo nei confronti del preponente che è generalmente un’impresa”[17]. La ratio della protezione legislativa dell’agente risiede nella sua particolare posizione contrattuale rispetto al suo “partner contrattuale”: la condizione di asimmetria di mercato “ha la sua radice precisamente nel fatto che l’agente è il fornitore della prestazione contrattuale caratteristica, consistente in un’attività di distribuzione” in ragione della quale “l’agente affronta spesso investimenti specifici che rendono estremamente rischiosa per lui la prospettiva di una fine prematura del rapporto e, quindi, lo pongono in una posizione di sostanziale dipendenza economica dal principale”[18]. Uno dei punti cardine della disciplina derivata dalla dir. 86/653 è rappresentato dalla previsione dell’obbligo dell’agente e del preponente di agire vicendevolmente secondo i parametri di lealtà e buona fede per il corretto adempimento contrattuale[19]. In particolare, si assiste alla prima comparsa dell’espressione “buona fede” nel testo di una direttiva[20], riconducibile al modello tradizionale di buona fede come fonte integrativa dei doveri contrattuali[21].

La disciplina del contratto di agenzia, nel testo integrato dal d.lgs. n. 303/1991 e poi così sostituito dal d.lgs. n. 65/1999, prevede, inoltre, da un lato l’obbligo della forma scritta ad probationem e, dall’altro, il diritto (irrinunciabile e reciproco) delle parti del rapporto di ottenere un documento sottoscritto che riproduca i termini dell’accordo tra le stesse intercorso. Risulta evidente quindi la rilevanza  assunta dalla forma per tale tipologia di contratto relativamente alla corretta redazione delle singole clausole, sia che si tratti degli elementi tipici del rapporto (quali, a titolo esemplificativo, il potere di rappresentanza e il vincolo di esclusiva) oppure di elementi accessori (quali il patto di prova, il patto di non concorrenza disciplinato dall’art. 1751-bis c.c. ovvero l’assunzione dell’impegno alla riscossione dei crediti del preponente di cui all’art. 1744 c.c.)[22].


[1] F. BORTOLOTTI-G. BONDANINI, Il contratto di agenzia commerciale, CEDAM, Padova 2003, cit., p. 2.

[2] Ibidem.

[3] E. BRANDOLINI, Il contratto di agenzia nella normativa nazionale, internazionale e comunitaria, in Diritto Presente, collana diretta da G. CASSANO, Giappichelli, Torino 2010, cit., p. 11.

[4] E. BRANDOLINI, Op. cit., p. 12.

[5] V. FERRARI-P. LAGHI, Diritto europeo dei contratti, Giuffrè, 2012, cit., p. 224.

[6] Ibidem.

[7] G. AULETTA-N. SALANITRO, Diritto commerciale, a cura di A. MIRONE, Giuffrè, diciannovesima edizione, Milano 2012, cit., p. 495.

[8] Ibidem.

[9] V. SANGIOVANNI, Il diritto di esclusiva nel rapporto di agenzia, in I Contratti, 1 / 2014, cit., p. 73.

[10] Ibidem.

[11] G. AULETTA-N. SALANITRO, Op. cit., p. 497.

[12] V. SANGIOVANNI, Op. cit., p. 75.

[13] Cass. 5 febbraio 1969, n. 322.

[14] G. AULETTA-N. SALANITRO, Ibidem.

[15] V. SANGIOVANNI, Op. cit., p. 77-78.

[16] V. FERRARI-P. LAGHI, Op. cit., p. 225; G. BENACCHIO, Diritto privato della Comunità europea, Fonti, modelli e regole, Padova, 2004, p. 200.

[17] M.L. CHIARELLA, Contrattazione asimmetrica, Giuffrè, Milano 2016, cit., p. 188-189, con nota 482: V. ROPPO, Regolazione del mercato e interessi di riferimento: dalla protezione del consumatore alla protezione del cliente, cit., p.21.

[18] M.L. CHIARELLA, Op. cit., p. 189; V. ROPPO, Prospettive del diritto contrattuale europeo. Dal contratto del consumatore al contratto asimmetrico?, cit., p. 270.

[19] C. CASTRONOVO-S. MAZZAMUTO, Manuale di diritto privato europeo, Vol. II, Giuffrè, Milano 2007, cit., p. 1083.

[20] Ibidem; G. BENACCHIO, La buona fede nel diritto comunitario, in Il ruolo della buona fede oggettiva nell’esperienza giuridica storica e contemporanea. Atti del Convegno internazionale di studi in onore di Alberto Burdese (a cura di L. GAROFANO), I, Padova 2003, cit., p. 194 ss.

[21] C. CASTRONOVO-S. MAZZAMUTO, Op. cit., p. 1083.

[22] P. SALAZAR-G. CIAMPOLINI, Rapporto di agenzia: principi generali, in Diritto e Pratica del Lavoro, 34-35 / 2014, p. 1829.

 

 


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