“Prostituzione” non è libertà: l’inizio di una fine?

“Prostituzione” non è libertà: l’inizio di una fine?

La recente sentenza della Corte Costituzionale. Con la sentenza n°141 del 6 marzo 2019 la Corte costituzionale ha dichiarato infondata la questione di legittimità sollevata con ordinanza del 7 febbraio 2009 dalla Corte d’Appello di Bari per asserito contrasto con gli art. 2, 13, 25 comma 2, 27 e 41 Cost. dell’art.3 comma 1, n°4 parte prima e 8 della l.20 febbraio 1958, n°75, la cd. “legge Merlin” nella parte in cui configura come illecito penale il reclutamento ed il favoreggiamento della prostituzione volontariamente e consapevolmente esercitata.

La questione di costituzionalità rispetto ad alcune norme contenute nella legge Merlin era stata sottoposta alla Consulta dai giudici della Corte d’Appello di Bari, che l’avevano sollevata nel corso del processo penale sulla vicenda delle cosiddette “escort” presentate nel 2008-2009 all’allora premier Silvio Berlusconi dall’imprenditore Giampaolo Tarentini. La Corte d’Appello di Bari aveva sostenuto che l’attuale realtà sociale è ben diversa da quella dell’epoca in cui le norme incriminatrici furono introdotte: accanto alla prostituzione “coattiva” e a quella per “bisogno”, oggi sussisterebbe una prostituzione “libera e volontaria”, qual è quella delle “escort” (dovendo intendere per “escort” l’accompagnatrice retribuita, disponibile anche a prestazioni sessuali). Tale scelta costituirebbe espressione della libertà di autodeterminazione sessuale, garantita dall’art.2 della Costituzione: libertà che verrebbe lesa dalla punibilità di terzi che si limitino a mettere in contatto “l’escort” con i clienti o ad agevolare la sua attività. Al contrario, la Corte costituzionale ha delineato che l’art.2 della Costituzione, nel riconoscere e garantire “i diritti inviolabili dell’uomo”, si pone in stretta connessione con il successivo art.3, secondo comma, che al fine di rendere effettivo questi diritti, impegna la Repubblica a rimuovere gli ostacoli economici e sociali per il “pieno sviluppo della persona umana”. I diritti di libertà, tra i quali rientra anche la libertà sessuale, sono riconosciuti dalla Costituzione in relazione alla tutela e allo sviluppo del valore della persona umana.

La prostituzione, però, rappresenta solo una particolare forma di attività economica. In tal contesto, la sessualità è considerata una “prestazione di servizio” avente il fine di conseguire un profitto. La Costituzione italiana contiene alcuni principi supremi che non possono essere sovvertiti o modificati nel loro contenuto essenziale neppure da leggi di revisione costituzionale o da altre leggi costituzionali. Questi principi, pur non essendo espressamente menzionati tra quelli non assoggettabili al procedimento di revisione costituzionale appartengono all’essenza dei valori supremi sui quali si fonda la Costituzione ed hanno una valenza superiore rispetto alle altre norme o leggi di rango costituzionale. Uno di questi principi è indubbiamente la Dignità Umana. Essa è da considerare come un concetto che discende dal principio personalista per il quale l’individuo è il centro dell’organizzazione sociale e politica, titolare di diritti anteriori allo Stato. L’essenza della dignità si concretizza nel fatto che l’essere umano merita assoluto rispetto di per sé. Quello della dignità umana è un valore supremo che non conosce distinzioni e graduazioni di status personali; la dignità si propone come valore autonomo da non confondere e da non assimilare rispetto a quello, pure fondamentale, della libertà.

Il valore della dignità umana riassume, tutti gli altri valori contenuti nella Costituzione. La dignità esprime la saldatura tra eguaglianza, libertà e solidarietà oltre che cogliere il legame tra i diritti fondamentali, sottolineandone l’universalità, l’indivisibilità e l’effettività. Il bene giuridico tutelato va individuato, perciò, non nella tutela della libertà di autodeterminazione sessuale o nel valore paternalistico della pubblica moralità, ma nel rispetto del principio della dignità della persona nella sua dimensione sessuale declinata in senso oggettivo, ossia come principio che si impone a prescindere dalla volta e dalle condizioni del singolo individuo, e che va considerato alla stregua di un valore inderogabile da preservare.

Nella sentenza in esame, la Corte ha sottolineato la necessità di non limitarsi ad una concezione assoluta, fredda e tirannica dell’autodeterminazione, ma di riconoscere il suo carattere “fluido” condizionabile da molteplici fattori (economici, familiari, affettivi, sociali…) che vanno a ridurre il ventaglio delle sue opzioni esistenziali.

La Corte costituzionale non ha neppure ritenuto che venga ad essere violata la libertà di iniziativa economica privata per il fatto di impedire la collaborazione di terzi all’esercizio della prostituzione in modo organizzato e imprenditoriale. Tale libertà è protetta dall’art.41 della Costituzione solo in quanto non comprometta valori preminenti, quali la sicurezza, la libertà e la dignità umana.

La Corte giustifica così la scelta del legislatore italiano di inibire, attraverso le norme oggetto di impugnazione, la possibilità che l’esercizio della prostituzione formi oggetto di attività imprenditoriale per superare l’obiezione secondo la quale tali previsioni finiscono col vietare ogni cooperazione anche con quelle persone che si prostituiscono volontariamente

Il fatto che il legislatore individui nella persona che si prostituisce il soggetto debole del rapporto spiega, la scelta di non punirla, a differenza di quanto avviene per i terzi che si intromettono nella sua attività. La Corte – a sostegno del fatto che l’offerta di sesso a pagamento non può essere concepita quale espressione di un diritto costituzionalmente tutelato – sottolinea come il patto avente ad oggetto lo scambio tra prestazioni sessuali e utilità economica sia considerato tradizionalmente un contratto nullo per illeceità della causa in quanto contrario alle buone maniere determinando, quale unico effetto giuridicamente rilevante, la soluti retentio: la persona che si prostituisce ha cioè il diritto a trattenere  le somme ricevute dal cliente anche se, di contro, non può agire giudizialmente nel caso di mancato pagamento spontaneo.

Per la Corte d’Appello di Bari, le norme incriminatrici sarebbero in contrasto sia con il principio di offensività (dal momento che il bene protetto non sarebbe più la morale pubblica o il buon costume ma la libera autodeterminazione della persona, le condotte sarebbero produttive di un vantaggio per lo stesso interesse tutelato) sia con i principi di tassatività e determinatezza (dal momento che la formula “chiunque, in qualsiasi modo favorisca…” risulterebbe eccessivamente generica). La Consulta ha invece escluso la violazione del principio di offensività: “l’individuazione dei fatti punibili è rimessa alla discrezionalità del legislatore, nel limite della non manifesta irragionevolezza, poiché implica valutazioni politiche”. Resta comunque ferma, rispetto alla disciplina vigente, l’operatività del principio di offensività “in concreto”, che impone al giudice di escludere il reato quando la condotta risulti concretamente priva di ogni attitudine lesiva.   Il concetto di offensività oggi è comunemente accolto in un’accezione “relazionale”, poiché ogni tentativo di sua definizione implica il collegamento con un’altra entità, rappresentata dal bene giuridico.

Al contempo, la Corte ha anche negato che la norma incriminatrice del favoreggiamento della prostituzione risulti in contrasto con i principi di determinatezza e tassatività sulla base del fatto che l’eventuale esistenza di contrasti sulla rilevanza penale di determinate marginali ipotesi di favoreggiamento rientra nella fisiologia dell’interpretazione giurisprudenziale.

Osservazioni post-sentenza. La Consulta ha finito così di disattendere le aspettative del garantismo. Da un lato, la Corte ha mostrato un chiaro autocontrollo, mosso anche dalla preoccupazione per il presunto vuoto di tutela che si sarebbe generato per l’effetto di una pronuncia caducatoria; dall’altro lato, è evidente però che la sentenza non potrà in alcun modo consentire il superamento dei dubbi che ruotano da sempre in ordine a tali fattispecie, tanto in relazione al profilo dell’offensività, quanto alla linea di demarcazione tra lecito e illecito.

La chiosa con la quale la Consulta ha spronato una verifica in concreto da parte del giudice ordinario dell’offensività delle condotte di reclutamento e favoreggiamento potrebbe addirittura finire con l’alimentare maggiormente l’incertezza del diritto. Sul fronte del legislatore continuano ad avvicendarsi in Parlamento numerosi progetti di legge per la riforma della disciplina della prostituzione, tra i quali quello presentato dalla Lega il 7 febbraio 2019, che tuttavia non contiene previsioni relative alle fattispecie di reclutamento e favoreggiamento se non, per l’ipotesi di ausilio reciproco tra soggetti esercenti la prostituzione.

Conclusioni. Indipendentemente da valutazioni di ordine morale o da considerazioni di sul ruolo della donna nella realtà attuale, ciò che appare realmente degradante e contrario a qualsiasi istituto inerente all’essere umano – sia esso diritto fondamentale, clausola generale o accordo commerciale – non è intrinseco alla prostituzione stessa, ma è esito delle condizioni in cui questa è esercitata.

Analogamente la prostituta rimane una figura marchiata poiché, nonostante il lento processo di emancipazione e di “costituzionalizzazione” femminile, rimane una cultura sociale fondata sul binomio donna onesta – donna di malaffare, come dimostra lo stesso linguaggio corrente, il quale spesso ricorre a termini dispregiativi nei confronti della seconda, operando come uno strumento di controllo sociale.


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Dott.ssa Luana Leo

La dottoressa Luana Leo è dottoranda di ricerca in "Teoria generale del processo" presso l'Università LUM Jean Monnet. È cultrice di Diritto pubblico generale e Diritto costituzionale nell'Università del Salento. Ha conseguito la Laurea Magistrale in Giurisprudenza presso il medesimo ateneo discutendo una tesi in Diritto Processuale Civile dal titolo ”Famiglie al collasso: nuovi approcci alla gestione della crisi coniugale”. È co-autrice dell'opera "Il Presidente di tutti". Ha compiuto un percorso di perfezionamento in Diritto costituzionale presso l´Università di Firenze. Ha preso parte al Congresso annuale DPCE con una relazione intitolata ”La scalata delle ordinanze sindacali ”. Ha presentato una relazione intitolata ”La crisi del costituzionalismo italiano. Verso il tramonto?” al Global Summit ”The International Forum on the Future of Constitutionalism”. È stata borsista del Corso di Alta Formazione in Diritto costituzionale 2020 (“Tutela dell’ambiente: diritti e politiche”) presso l´Università del Piemonte Orientale. È autore di molteplici pubblicazioni sulle più importanti riviste scientifiche in materia. Si occupa principalmente di tematiche legate alla sfera familiare, ai diritti fondamentali, alle dinamiche istituzionali, al meretricio, alla figura della donna e dello straniero.

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