Rapporti tra il giudicato penale e civile e le ipotesi ex-lege di efficacia del giudicato penale all’interno del processo civile

Rapporti tra il giudicato penale e civile e le ipotesi ex-lege di efficacia del giudicato penale all’interno del processo civile

Sommario: 1. L’incontro tra la nuova e la vecchia normativa – 2. Post riforma del codice di procedura civile del 1990 – 3. Conclusioni alla luce della disciplina vigente e i casi di efficacia ex lege del giudicato penale nel processo civile

1. L’incontro tra la nuova e la vecchia normativa

Nel secolo scorso, non furono poche le problematiche insorte a seguito dello scontro tra la vecchia legislazione penale e i principi costituzionali, pertanto con questo elaborato ci si prefigge lo scopo di dare uno sguardo ai rapporti tra il giudicato civile e il giudicato penale dopo l’entrata in vigore del codice di procedura penale del 1988, nello specifico, analizzando alcuni studi adibiti alla ricerca di forme di coordinamento tra i due processi in presenza di una connessione tra i relativi petitum (segnalando sul tema contrasti in dottrina).

L’elemento principale dal quale partire, è la soppressione dall’attuale codice di rito, di qualsiasi riferimento al fenomeno della pregiudizialità penale, quindi il giudice civile risulterebbe libero di porre in essere un accertamento autonomo sui fatti e sulla responsabilità dedotta in giudizio (nel senso che il giudizio civile ed il processo penale procedono parallelamente e il verificarsi dell’evento dannoso consente al danneggiato di azionare la causa civile indipendentemente dall’azione penale) ma, in realtà, la questione è molto più complessa e ricca di implicazioni a seconda dei casi di specie.

Il problema si è posto in merito all’eventuale sospensione del giudizio civile in attesa del giudicato penale (ovviamente quando quest’ultimo stia accertando fatti connessi con il petitum del processo civile) e sul punto la stessa giurisprudenza (di pari passo con la dottrina) ha avuto per lungo periodo posizioni parzialmente contrastanti sintetizzabili in tre punti: in alcune decisioni si riteneva possibile la sospensione solo nei casi previsti dalla legge (art. 75 comma 3 del nuovo codice di rito[1]), in altre decisioni veniva evidenziato che nei processi civili per la riparazione, restituzione o risarcimento danni valeva il principio di separazione tra giurisdizione penale e civile e quindi non risultava possibile alcuna sospensione, salvo casi art. 75 c.p.p.; mentre in giudizi civili, aventi ad oggetto domande diverse da quelle indicate, risultava possibile la sospensione purché fosse stata esercitata l’azione penale e sempreché il giudicato penale formatosi risultasse opponibile ex art. 654 c.p.p. La terza e ultima posizione assunta dalla giurisprudenza è rinvenibile in alcune pronunce che ritenevano possibile la sospensione del processo civile sulla base di un potere discrezionale del giudice.

Ciò che risultava lampante era un’incertezza di fondo derivante, in parte, dalla poca chiarezza delle diposizioni normative e dalle discordanti posizioni dottrinali sul tema dell’efficacia del giudicato.

2. Post riforma del codice di procedura civile del 1990

Dopo la riforma del codice di procedura civile degli anni 90[2], dottrina e giurisprudenza sono ritornate sul tema della sospensione, soprattutto in merito a quella discrezionale del processo civile, la quale era ammessa, nella prassi giurisprudenziale dell’epoca, in tutti in casi in cui non si applicava l’art. 295 c.p.c.[3]

La situazione mutò dopo il 1990, come dimostra, tra tutte, la sentenza Cass. 13 maggio 1997, n. 4179 per la quale non risultava più utilizzabile la sospensione facoltativa sottratta, tra l’altro, al controllo tramite regolamento di competenza, statuendo infatti che “la previsione di un controllo immediato di legittimità del provvedimento di sospensione adottato ai sensi dell’a. 295 c.p.c., implica infatti la sussistenza in concreto di condizioni previste dalla legge, sia questa rappresentata dallo stesso a. 295, ovvero da altra disposizione legislativa; ed esclude, specularmente, che il fondamento del potere di sospensione possa rinvenirsi (anche) in una definitiva e, per ciò, insindacabile, discrezionalità del giudice.”[4]

Tirando le somme a seguito di importanti approfondimenti sul tema[5], risulta possibile concludere con l’identificazione di tre ipotesi:

  1. Quando l’azione civile è proposta unicamente in sede penale sarà soggetta a quanto stabilito dalla sentenza penale nel capo civile. In caso di autonomo esercizio dell’azione civile, invece, risulta inammissibile l’esercizio contemporaneo delle due azioni e quella civile può confluire nel processo penale qualora ricorrano ragioni di economia processuale e per le stesse ragioni, si può avere una fuoriuscita dell’azione di risarcimento dalla sede penale;

  1. Se il giudizio civile è instaurato prima di quello penale, il soggetto danneggiato dal reato potrebbe rinunciare al processo civile e trasferire l’azione in quello penale, prima che sia emanata la sentenza conclusiva del giudizio civile;

  1. Nei casi in cui il giudizio penale viene instaurato prima di quello civile, se il soggetto si è costituito parte civile nel procedimento penale, in sede civile si verifica il fenomeno della pregiudizialità con annessa sospensione del giudizio civile in attesa del giudicato penale, mentre in sede penale potrebbe verificarsi la revoca della costituzione di parte civile.

3. Conclusioni alla luce della disciplina vigente e i casi di efficacia ex lege del giudicato penale nel processo civile

Oggi, sicuramente non è possibile rievocare alcun principio di prevalenza della giurisdizione penale sulle altre, infatti, con l’art. 75 il codice di procedura penale[6] del 1988, si è stabilito il principio dell’autonomia e della separazione dei giudizi penali e civili.

In realtà, il legislatore dell’epoca, per evitare il pericolo del contrasto tra giudicati ha fissato un principio di indipendenza degli stessi, ispirandosi al concetto racchiuso nel brocardo latino electa una via non datur recursus ad alteram.

Merita di essere approfondito il tema sulla relatività dell’autonomia dei giudicati, perché l’indipendenza tra i due giudizi non è assoluta, essendo previste notevoli eccezioni (per esempio: artt. 651, 652, 653, 654 c.p.p.), lo scopo, infatti, era quello di ridurre il più possibile la portata del pregiudizio del giudicato penale e di evitare menomazioni di diritti costituzionalmente garantiti.

I casi eccezionali di ingerenza del giudicato penale nel processo civile, sono previsti dalla legge e per la loro natura eccezionale sono assoggettati ad interpretazioni restrittive.

A seguire, una breve analisi di dette eccezioni:

  • 651 c.p.p. (Efficacia della sentenza penale di condanna nel giudizio civile o amministrativo di danno):

la prima riflessione porta ad un confronto con l’art. 27 del codice di rito del 1930, infatti, oggi è espressamente richiesto il previo dibattimento, garantendo pienamente il contraddittorio, inoltre, in passato ci si riferiva “alla sussistenza del fatto, alla sua illiceità e alla responsabilità del condannato” quindi si richiedeva al giudice penale, semplicemente di dichiarare la sussistenza di un fatto illecito, indipendentemente dal suo concreto accertamento, mentre, l’art. 651 c.p.p. attribuisce efficacia di giudicato all’accertamento della sussistenza del fatto e della sua illiceità penalmente rilevante, ciò vuol dire che, oggi è richiesto al giudice di porre in essere un accertamento concreto.

La disposizione in vigore prevede che una volta passata in giudicato una sentenza penale di condanna (pronunciata all’esito della fase dibattimentale) risulta essere vincolante per il giudice civile o amministrativo qualora si trovi a decidere in merito al risarcimento danno; si potrà, però, invocare il giudicato penale nell’ambito dell’azione risarcitoria, solo in presenza degli stessi elementi oggettivi (sullo stesso fatto che costituisce reato) e soggettivi (tra gli stessi soggetti).

Da questo ragionamento, deriva l’inefficacia in sede extrapenale di altre tipologie di decisioni che non garantiscono alle parti pieno esercizio delle facoltà difensive come le sentenze di proscioglimento o il decreto penale di condanna; in questi casi si esclude la valenza del giudicato in altri giudizi però il giudice civile può tenerne conto alla stregua di ogni altro possibile elemento probatorio.

Si segnala che non manca in dottrina, chi, dopo un attenta analisi delle relazioni tra i due processi, ha avuto “l’impressione di un vincolo di giudicato che nel nuovo sistema processuale si esplica in maniera per lo più casuale, e che si trasforma da strumento di garanzia dell’unitarietà dell’ordinamento in fattore di complicazione. Ciò senza che al contempo sia garantita, dalla permanenza del vincolo della sentenza penale per il giudice civile, alcuna certezza in ordine all’uniformità delle decisioni nei processi che hanno ad oggetto la domanda di risarcimento danni.”[7]

  • 652 c.p.p. (Efficacia della sentenza penale di assoluzione nel giudizio civile o amministrativo di danno):

la disposizione, molto simile all’art. 25 del vecchio codice di rito, prevede l’efficacia extrapenale (ovvero nel giudizio civile o amministrativo azionato dal danneggiato per ottenere restituzioni o risarcimenti) del giudicato intercorso su una sentenza di assoluzione in merito al concreto accertamento sull’inesistenza del fatto o sulla sua esistenza in virtù dell’adempimento di un dovere o esercizio di un diritto e sulla mancata commissione del fatto da parte dell’imputato  (“sempre che il danneggiato si sia costituito o sia stato posto in condizione di costituirsi parte civile, salvo che il danneggiato dal reato abbia esercitato l’azione in sede civile a norma dell’articolo 75 comma 2.”).

Lo stesso accade per l’assoluzione a seguito di rito abbreviato accettato dalla parte civile.

In merito all’estensione del contenuto della disposizione in esame, non vi è concordia tra dottrina e giurisprudenza di legittimità, principalmente perché la Corte di Cassazione promuove una visione di continuità tra disposizioni del vecchio (ci si riferisce, specialmente, all’art 25 summenzionato) e nuovo codice, suscitando non poche perplessità in considerazione del contenuto delle direttive di politica processuale contenute nella legge n. 81 del 1987 (Delega legislativa al Governo della Repubblica per l’emanazione del nuovo codice di procedura penale)[8].

  • 653 c.p.p. (Efficacia della sentenza penale nel giudizio disciplinare): si riferisce alle sentenze di condanna o di assoluzione passate in giudicato e alla loro valenza nei giudizi di responsabilità davanti alle pubbliche autorità.

  • 654 c.p.p. (Efficacia della sentenza penale di condanna o di assoluzione in altri giudizi civili o amministrativi): per poter applicare questo articolo, risulta necessario che il processo civile o amministrativo abbia ad oggetto un diritto o un interesse legittimo che si basi sugli stessi fatti materiali (rilevanti per il giudice penale) su cui si fonda il giudizio penale e che non si tratti di giudizi (civili o amministrativi) adibiti a restituzione o risarcimento danni per i quali valgono le disposizioni precedenti.

 

 


[1]“Se l’azione è proposta in sede civile nei confronti dell’imputato dopo la costituzione di parte civile nel processo penale o dopo la sentenza penale di primo grado, il processo civile è sospeso fino alla pronuncia della sentenza penale non più soggetta a impugnazione, salve le eccezioni previste dalla legge.” Quindi l’articolo citato prevede l’effetto sospensivo del processo civile in soli due casi: 1. l’azione civile è stata proposta in sede civile contro l’imputato ma dopo la costituzione di parte civile nel processo penale; 2. il processo penale di primo grado si è già concluso e viene proposta l’azione in sede civile.
[2] L. 26 novembre 1990, n. 353, in materia di “Provvedimenti urgenti per il processo civile”
[3] Rubricato ‘sospensione necessaria’, recita come segue “Il giudice dispone che il processo sia sospeso in ogni caso in cui egli stesso o altro giudice deve risolvere una controversia, dalla cui definizione dipende la decisione della causa”
[4]Inoltre: ” (…) con riguardo alla sospensione del giudizio civile ex art. 295 c.p.c. (come novellato dall’art. 35 l. n. 353 del 1990) in pendenza di procedimento penale (…) occorre distinguere l’ipotesi del giudizio civile avente ad oggetto l’azione riparatoria ed il risarcimento del danno , che è disciplinata dall’art. 75 c.p.p. ed è tendenzialmente dominata dal principio dell’autonomia delle giurisdizioni e quindi dal divieto di sospensione del processo civile  se non nelle  due ipotesi previste dal 3° comma della citata disposizione (se l’azione è stata proposta in sede civile nei confronti dell’imputato dopo la costituzione di parte civile nel processo penale o dopo la sentenza penale di primo grado) e l’ipotesi di ogni altro giudizio civile, che invece è retta (ex art. 211 norme att., coord. e trans., c.p.p.) dal principio della prevenzione della possibile contraddittorietà di giudicato, sicché la sospensione (necessaria) del giudizio pregiudicato è in tal caso condizionata alla ricorrenza della duplice condizione dell’avvenuto esercizio dell’azione penale e della rilevanza e dell’opponibilità del giudicato penale formatosi a seguito di giudizio dibattimentale nei limiti previsti dall’art. 654 c.p.p.. L’azione civile proposta davanti al giudice civile può essere trasferita nel processo penale fino a quando in sede civile non sia stata pronunciata sentenza di merito anche non passata in giudicato. L’esercizio di tale facoltà comporta rinuncia agli atti del giudizio; il giudice penale provvede anche sulle spese del procedimento civile. L’azione civile prosegue in sede civile se non è trasferita nel processo penale o è stata iniziata quando non è più ammessa la costituzione di parte civile. Se l’azione è proposta in sede civile nei confronti dell’imputato dopo la costituzione di parte civile nel processo penale o dopo la sentenza penale di primo grado, il processo civile è sospeso fino alla pronuncia della sentenza penale non più soggetta a impugnazione, salve le eccezioni previste dalla legge.”
[5]Per un’analisi dettagliata, vedi per tutti, Angelo Scala, Considerazioni sui nuovi rapporti fra processo penale e processo civile connesso, in Dir. e giur., 1998, 1/4, pp. 339 a 393.
[6] “L’azione civile proposta davanti al giudice civile può essere trasferita nel processo penale fino a quando in sede civile non sia stata pronunciata sentenza di merito anche non passata in giudicato. L’esercizio di tale facoltà comporta rinuncia agli atti del giudizio; il giudice penale provvede anche sulle spese del procedimento civile. L’azione civile prosegue in sede civile se non è trasferita nel processo penale o è stata iniziata quando non è più ammessa la costituzione di parte civile. Se l’azione è proposta in sede civile nei confronti dell’imputato dopo la costituzione di parte civile nel processo penale o dopo la sentenza penale di primo grado, il processo civile è sospeso fino alla pronuncia della sentenza penale non più soggetta a impugnazione, salve le eccezioni previste dalla legge.”
[7]A. Scala, Consid. sui nuovi rapp. fra proc. pen. e proc. civ. connesso, in Dir. e giur., 1998, 1/4, cit. p. 365
[8] L. 16 febbraio 1987, n. 81, art. 2: “Il codice di procedura penale deve attuare i principi della Costituzione e adeguarsi alle norme delle convenzioni internazionali ratificate dall’Italia e relative ai diritti della persona e al processo penale. Esso inoltre deve attuare nel processo penale i caratteri del sistema accusatorio, secondo i principi ed i criteri che seguono: (…) 22) vincolo del giudice civile, adito per le restituzioni o per il risarcimento del danno, alla sentenza penale irrevocabile, limitatamente all’accertamento della sussistenza del fatto, alla affermazione o alla esclusione che l’imputato lo abbia commesso e alla illiceità penale del fatto, sempre che le parti abbiano partecipato o siano state poste in grado di partecipare processo penale; 23) statuizione che la sentenza di assoluzione non pregiudica l’azione civile per le restituzioni o per il risarcimento del danno, salvo che dalla stessa risulti che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso o che esso è stato compiuto nell’adempimento di un dovere o nell’esercizio di una facoltà legittima, e sempre che il giudizio civile si svolga tra coloro che hanno partecipato o sono stati posti in grado di partecipare al processo penale; 24) disciplina degli effetti del giudicato penale in altri giudizi civili o amministrativi; statuizione che la sentenza di assoluzione non pregiudica il procedimento amministrativo per responsabilità disciplinare, salvo che dalla stessa risulti che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso; 25) statuizione che le sentenze di proscioglimento pronunciate nell’udienza preliminare non fanno stato nel giudizio civile.”

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